Se è noto ormai l’impegno profuso da Giovanni Paolo II durante il suo
pontificato alla riapertura del ‘caso Galilei’ e alla sostanziale
riabilitazione dello scienziato pisano, meno noto è il percorso che lo
ha condotto a questa scelta ritenuta strategica non solo per la Chiesa
ma per il mondo intero, percorso caratterizzato in un primo momento dal
ruolo trainante affidato all’Accademia Pontificia delle Scienze con
l’obiettivo di far dialogare fra di loro scienziati di ogni nazionalità
credenti o meno e dopo dall’interesse sempre crescente verso la
riflessione epistemologica. È da tenere presente che tale interesse si
sviluppa e arriva a determinate prese di posizione da un lato man mano
che le ricerche sulle complesse vicende del ‘caso Galilei’ si
intensificavano in quanto gli hanno permesso di prendere atto del ruolo
non secondario avuto dai dibattiti dell’epoca sulla natura della nuova
scienza e sulle sue ‘verità’; e dall’altra la stessa attiva
partecipazione alle plenarie dell’Accademia con gli incontri con
scienziati di ogni tendenza gli ha consentito di verificare direttamente
che la maggior parte dei dibattiti avvenivano proprio su questioni
relative alla ‘verità’ delle diverse teorie scientifiche all’interno
delle varie discipline. Basta, infatti, scorrere i suoi interventi a
partire dai primi mesi del 1979 sino agli ultimi anni che culmineranno
nella ‘Fides e ratio’ del 1998, per verificare il suo crescente
interesse verso l’epistemologia sempre più ritenuta una disciplina
necessaria e strategica fino a fare entrare nella stessa Accademia
alcune figure di filosofi e di storici della scienza; questi interventi[1]
se all’inizio erano d’occasione e di benvenuto ai partecipanti man mano
arrivano a proporre dei punti di vista elaborati in funzione di un
determinato obiettivo, quello di trovare una soluzione che aiuti a
superare i secolari conflitti fra le verità della scienza e le verità
della fede o quanto meno a fornire nuovi strumenti di dialogo critico e
costruttivo fra il mondo della scienza e il mondo della Chiesa e dei
credenti in genere.
A tale riguardo il pontefice polacco ritiene il ‘caso Galilei’
istruttivo per tutta una serie di fattori, da cui ritiene di dover
partire per non incorrere negli stessi errori e per evitare quei
dolorosi fraintendimenti che hanno costellato i non lineari rapporti
della Chiesa col pensiero filosofico-scientifico moderno; come dice in
una lettera del 1992 inviata all’allora Rettore dell’Università di
Padova in occasione di un convegno su Galilei, «una delle conseguenze
benefiche derivanti dalla ‘Questione Galileiana’ è stata quella di
stimolare la riflessione epistemologica». In seguito, «il moltiplicarsi
delle ricerche epistemologiche da parte degli uomini di scienza è, al
riguardo, molto incoraggiante […] Quanto ai teologi, occorre riconoscere
che, sotto la spinta delle scoperte scientifiche via via attuate, essi
sono stati progressivamente condotti a una riflessione più approfondita
circa l’ermeneutica biblica […] Nel secolo XVII gli avversari di
Galilei, disorientati dalla teoria copernicana […] non seppero veder
chiaro nella controversa materia»[2].
Ma ciò che mise ulteriormente in difficoltà gli ‘avversari’ di Galilei
fu un fatto inedito nella storia del pensiero umano, cioè la comparsa
sulla scena dei dibattiti della riflessione epistemologica da parte
dello scienziato pisano come momento costitutivo e strutturale della
stessa attività scientifica, come vera e propria filosofica militia
nel senso propugnato da Federico Cesi quando fondò a Roma nei primi
anni del ‘600 l’Accademia dei Lincei; quando si osserva il «gran theatro
della natura« grazie alla «penetrazione dell’occhio della mente» come
«l’oculatissima lince» è necessario «rimuovere tutti li ostacoli»[3], spazzare via pregiudizi e false verità anche se secolari e messe a base di vari saperi.
Galilei ha spiazzato i suoi ‘avversari’ già molto ‘disorientati’ con
le sue penetranti analisi sul valore delle ipotesi, delle teorie e sul
ruolo costitutivo della matematica; ma non si è limitato a fornirci
nuovi strumenti di investigazione critica del ‘continente’ scienza col
dare alla cesiana ‘filosofica militia’ una più organica valenza
teoretica, ma ne ha esteso i risultati ad altri saperi ed in primis
alla stessa teologia spiazzandola ed obbligandola a rivedere il proprio
statuto. Questo è stato il primo ‘miracolo’ ottenuto dalla ‘filosofica
militia’, dalla riflessione epistemologica; la riflessione critica,
condotta da parte di Galilei, sulla struttura concettuale della nuova
scienza e soprattutto sulle modalità con cui nuove ‘verità’ sono venute a
galla, è stata coscientemente utilizzata per rivedere altre ‘verità’,
quelle bibliche, liberandole definitivamente da quella che Giovanni
Paolo II ha chiamato ‘la tirannia del letteralismo bibllico’, su cui si
attardavano ancora i teologi del ‘600, grazie a quel «piccolo trattato
di ermeneutica biblica»[4]
costituito dalle Lettere copernicane. Per questo motivo il pontefice
polacco ritiene la riflessione epistemologica sempre più necessaria per
le varie discipline, proprio per le ulteriori conoscenze che esse
continuano incessantemente a produrre sempre più bisognose di essere
chiarite nei loro aspetti storico-concettuali; i benefici, poi, ottenuti
dalla filosofia e dalla storia della scienza si ripercuotono sugli
altri saperi costringendoli ad essere più critici, ad allargare i propri
orizzonti conoscitivi e ad aprirsi a diverse prospettive, a ridefinire i
rispettivi ambiti ed ad evitare riduzionismi sempre in agguato.
L’altro ‘miracolo’ della riflessione epistemologica è stato quello di
ridare a Galilei il suo giusto ruolo, di ammettere gli errori compiuti
nei suoi confronti e di riaprire il mondo della Chiesa al mondo della
scienza[5];
tutti i suoi interventi all’Accademia Pontificia delle Scienze sono un
invito costante a non sottovalutare la riflessione filosofica in
generale e quella epistemologica in particolare, ritenute in grado di
affrontare su nuove basi il dialogo fra verità della scienza e verità
bibliche, e soprattutto di dare strumenti in grado di individuare i
travisamenti ideologici che a volte subiscono le teorie scientifiche,
soprattutto alcune interpretazioni della teoria dell’evoluzione. Uno
degli insegnamenti di natura più generale che il pontefice polacco trae
dalle contraddittorie vicende storiche dei rapporti fra scienza e fede è
di finirla una volta per tutte con quelle che egli chiama nella lettera
a Padre Coyne ‘insidie epistemologiche’, posizioni di cui sono vittime
credenti ed non credenti: concordismo da parte dei credenti e
contrapposizione netta da parte dei non credenti. Il concordismo, cioè
quella posizione venuta prima a maturazione fra ‘700 e ‘800 da parte di
alcuni scienziati e poi divenuta quasi ovvia per il credente, è quella
di cercare delle conferme delle verità di fede in alcune teorie; la
contrapposizione netta è quella opposta portata avanti da scienziati
atei e da non credenti in genere che in nome di alcune teorie
scientifiche ritengono infondate e se senza senso per l’uomo le verità
dell’esperienza di fede. Per Giovanni Paolo II, la comprensione
storico-critica del ‘Caso Galilei’ rende arretrate e ingenue, per non
dire infantili queste due posizioni contrapposte, sino a diventare vere e
proprie ‘insidie’ nel senso che portano entrambe al conflitto fra le
verità della scienza e quelle della fede; per questo motivo egli si
ritiene su questi argomenti un galileiano, certamente sui generis, nel
senso che accetta l’autonomia di questi ambiti, ma nello stesso tempo
essi vengono ritenuti interdipendenti perché soprattutto possono
arricchirsi a vicenda senza sovrapporsi, come nel caso di Galilei.
Questo ‘miracolo’, inoltre, porta dall’epistemologia all’ermeneutica e
potremmo dire, sulla scia di Dario Antiseri, che «epistemologia ed
ermeneutica ‘unum et idem sunt’»[6].
La lezione storico-epistemologica del ‘Caso Galilei’ ha innescato
quindi queste riflessioni da parte di Giovanni Paolo II, che certamente
non si vuole far passare per un epistemologo, ma solo far vedere come
l’interesse costante per la filosofia della scienza abbia avuto un ruolo
non secondario nelle scelte strategiche di un pontificato.
Mario Castellana
[1] Cfr. Giovanni Paolo II, Scienza e verità,
a cura di M. Castellana, Lecce-Brescia, Pensa Multimedia, 2010; è da
notare che molti incontri su sua espressa volontà sono stati volutamente
dedicati a grandi scienziati del passato e del ‘900 come Galilei,
Newton, Darwin, Mendel, Einstein, Grossman, ecc. Altri incontri
vertevano su problemi dell’astrofisica, della biologia, delle
neuroscienze, delle scienze della complessità, delle scienze applicate
come anche delle scienze sociali ed economiche.
[2]
Tale lettera di Giovanni Paolo II si trova nel ns. «Epistemologia ed
ermeneutica. Le benefiche conseguenze del ‘Caso Galilei’ per Giovanni
Paolo II», in Foedus, 39, 2014, pp. 58-69.
[3] F. Cesi, Il natural desiderio di sapere. The Natural Desir for Knowledge, a cura di C. Vinti, Vatican City, Pontificia Academia Scientiarum, 2003, p. 126.
[4] Cfr. Giovanni Paolo II, «Lettera al Rettore dell’Università di Padova» e «Lettera a Padre Coyne» (1998), in Scienza e verità, op. cit., pp. 107-118.
[5]
Significativa a tale riguardo il fatto che nei primi anni del nuovo
secolo l’introduzione contestuale nei seminari degli insegnamenti di
‘Epistemologia’ e di ‘Ermeneutica’, come è significativo il fatto che
col successivo pontificato tali insegnamenti sono scomparsi sostituiti
da insegnamenti più tradizionali.
[6] D. Antiseri, «Quando, come e perché epistemologia ed ermeneutica ‘unum et ideem sunt’», in H. Albert-D. Antiseri, Epistemologia, ermeneutica e scienze sociali, Roma, Ed. LUISS, 2002, pp. 51-109.
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