soltanto all’interno della categoria della modernità liquida. Certamente, quell’aggettivo “liquido” sarà associato per sempre all’opera intellettuale del sociologo polacco, scomparso ieri novantunenne, ma altrettanto certamente, da solo, non riesce a esprimere l’itinerario biografico-culturale di un intellettuale che ha attraversato tutto il Novecento venendo a contatto diretto con gli orrori del XX secolo: l’invasione nazista della Polonia nel 1939 che lo obbligò a fuggire in Unione Sovietica; e l’antisemitismo del regime comunista di Gomulka che nel 1968 lo costrinse ad abbandonare il proprio Paese.
Esperienze di vita che saranno ben presenti anche nella sua riflessione
intellettuale. «Gli orrori del XX
secolo — scrive nel 1998 in un volume collettaneo intitolato Nazismo,
fascismo, comunismo — derivano dai tentativi pratici di creare la felicità»
e dal potere totale necessario a instaurare quell’ordine. «Se il piano nazista
prevedeva che certuni venissero uccisi per ciò che erano e non potevano fare a
meno di essere — afferma Bauman — il modello comunista di costruzione del nuovo
ordine richiedeva che le persone venissero assassinate per ciò che facevano o
pensavano».
Al fallimento epocale di tutte le elaborazioni soteriologiche novecentesche
che si prefiggevano di costruire un nuovo ordine politico che avrebbe dovuto
liberare l’uomo dal giogo delle proprie catene millenarie, si sostituisce, dopo
il 1989, un mondo nuovo. Un mondo complesso e globale, al tempo stesso opulento
e fragile, di cui Bauman è stato, senza dubbio, uno dei più acuti e vivaci
interpreti.
La genesi e il successo dell’espressione “modernità liquida” si devono
soprattutto alla sua collocazione storica: quando alla fine degli anni Novanta
la globalizzazione (termine abusato quanto, per ora, insostituibile) sembra
essere la caratteristica peculiare di un contesto internazionale segnato da un
“nuovo disordine mondiale” e la categoria della “post-modernità biodegradabile”
sembra non riuscire più a racchiudere quella lunga e continua
trasformazione/transizione delle società occidentali. Una transizione verso
quale destinazione? Risiede probabilmente in questa domanda — che evoca un
mutamento sociale percepito come veloce, continuo e obnubilante — il successo
della categoria della modernità liquida.
Una categoria che, sebbene sia entrata nel senso comune collettivo in modo
epidermico e talvolta come sbrigativa chiave interpretativa del mondo
contemporaneo, contiene una forza simbolico-evocativa assolutamente non comune.
Evoca, ad esempio, l’incertezza e la “solitudine del cittadino globale”, il
“destino della libertà” nella società attuale e una nuova tappa antropologica
dell’uomo moderno: quella di essere diventato, essenzialmente, un homo consumens.
Ma è anche vicino a quella critica al relativismo che ha caratterizzato il
pensiero di Joseph Ratzinger.
Siamo entrati, afferma Bauman, in quel periodo storico dove le istituzioni
classiche destinate a formare e ad attribuire un’identità e un’idoneità sociale
degli individui, come le scuole, gli ospedali, gli eserciti e le famiglie,
stanno vivendo una crisi strutturale.
Una crisi che produce il venir meno del principio di responsabilità
pubblica. Ogni individuo, liberamente ma in solitudine, diventa soltanto «il
sorvegliante e l’insegnante di se stesso». In questa nuova società globale le
persone vivono una solitudine conformistica e una forma di disagio esistenziale
caratterizzato dall’incertezza, dalla precarietà lavorativa e dall’insicurezza.
«L’insicurezza odierna — scrive Bauman — assomiglia alla sensazione che
potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di
pilotaggio è vuota».
La società dei consumi, evidenzia il sociologo polacco, forgia «le proprie
fortune sulla premessa di soddisfare i desideri umani in modo impossibile e
inimmaginabile per qualsiasi altra società precedente» e su una sindrome
consumistica che si basa sulla velocità, sull’eccesso e sullo scarto. In
definitiva, sostiene Bauman, la società individualizzata — liquido-moderna e
consumistica — è di fatto un luogo di produzione di “esseri umani di scarto”.
Di quegli uomini-zombie, cioè, come i rifugiati e gli esuli, che sono privati
di ogni mezzo di sopravvivenza e che vengono scartati, ovvero messi ai margini
della società.
Le “vite di scarto” di Bauman rimandano immediatamente alla cultura dello
scarto denunciata in più occasioni da Francesco. In più occasioni, infatti,
negli ultimi anni, il sociologo polacco ha manifestato apprezzamento per
l’azione del Papa. Il dialogo e la solidarietà sono le due parole che più
spesso ricorrono in questi interventi. Due parole che, forse, sintetizzano
meglio di altre una strada comune da percorrere insieme, anche in futuro, tra
credenti e non credenti.
di Andrea Possieri
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