martedì 10 gennaio 2017

Deceduto Zygmun Bauman, lo studioso della "società liquida"

Sarebbe un errore imperdonabile racchiudere Zygmunt Bauman
soltanto all’interno della categoria della modernità liquida. Certamente, quell’aggettivo “liquido” sarà associato per sempre all’opera intellettuale del sociologo polacco, scomparso ieri novantunenne, ma altrettanto certamente, da solo, non riesce a esprimere l’itinerario biografico-culturale di un intellettuale che ha attraversato tutto il Novecento venendo a contatto diretto con gli orrori del XX secolo: l’invasione nazista della Polonia nel 1939 che lo obbligò a fuggire in Unione Sovietica; e l’antisemitismo del regime comunista di Gomulka che nel 1968 lo costrinse ad abbandonare il proprio Paese.
Esperienze di vita che saranno ben presenti anche nella sua riflessione intellettuale. «Gli orrori del XX secolo — scrive nel 1998 in un volume collettaneo intitolato Nazismo, fascismo, comunismo — derivano dai tentativi pratici di creare la felicità» e dal potere totale necessario a instaurare quell’ordine. «Se il piano nazista prevedeva che certuni venissero uccisi per ciò che erano e non potevano fare a meno di essere — afferma Bauman — il modello comunista di costruzione del nuovo ordine richiedeva che le persone venissero assassinate per ciò che facevano o pensavano».
Al fallimento epocale di tutte le elaborazioni soteriologiche novecentesche che si prefiggevano di costruire un nuovo ordine politico che avrebbe dovuto liberare l’uomo dal giogo delle proprie catene millenarie, si sostituisce, dopo il 1989, un mondo nuovo. Un mondo complesso e globale, al tempo stesso opulento e fragile, di cui Bauman è stato, senza dubbio, uno dei più acuti e vivaci interpreti.
La genesi e il successo dell’espressione “modernità liquida” si devono soprattutto alla sua collocazione storica: quando alla fine degli anni Novanta la globalizzazione (termine abusato quanto, per ora, insostituibile) sembra essere la caratteristica peculiare di un contesto internazionale segnato da un “nuovo disordine mondiale” e la categoria della “post-modernità biodegradabile” sembra non riuscire più a racchiudere quella lunga e continua trasformazione/transizione delle società occidentali. Una transizione verso quale destinazione? Risiede probabilmente in questa domanda — che evoca un mutamento sociale percepito come veloce, continuo e obnubilante — il successo della categoria della modernità liquida.
Una categoria che, sebbene sia entrata nel senso comune collettivo in modo epidermico e talvolta come sbrigativa chiave interpretativa del mondo contemporaneo, contiene una forza simbolico-evocativa assolutamente non comune. Evoca, ad esempio, l’incertezza e la “solitudine del cittadino globale”, il “destino della libertà” nella società attuale e una nuova tappa antropologica dell’uomo moderno: quella di essere diventato, essenzialmente, un homo consumens. Ma è anche vicino a quella critica al relativismo che ha caratterizzato il pensiero di Joseph Ratzinger.
Siamo entrati, afferma Bauman, in quel periodo storico dove le istituzioni classiche destinate a formare e ad attribuire un’identità e un’idoneità sociale degli individui, come le scuole, gli ospedali, gli eserciti e le famiglie, stanno vivendo una crisi strutturale.
Una crisi che produce il venir meno del principio di responsabilità pubblica. Ogni individuo, liberamente ma in solitudine, diventa soltanto «il sorvegliante e l’insegnante di se stesso». In questa nuova società globale le persone vivono una solitudine conformistica e una forma di disagio esistenziale caratterizzato dall’incertezza, dalla precarietà lavorativa e dall’insicurezza. «L’insicurezza odierna — scrive Bauman — assomiglia alla sensazione che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di pilotaggio è vuota».
La società dei consumi, evidenzia il sociologo polacco, forgia «le proprie fortune sulla premessa di soddisfare i desideri umani in modo impossibile e inimmaginabile per qualsiasi altra società precedente» e su una sindrome consumistica che si basa sulla velocità, sull’eccesso e sullo scarto. In definitiva, sostiene Bauman, la società individualizzata — liquido-moderna e consumistica — è di fatto un luogo di produzione di “esseri umani di scarto”. Di quegli uomini-zombie, cioè, come i rifugiati e gli esuli, che sono privati di ogni mezzo di sopravvivenza e che vengono scartati, ovvero messi ai margini della società.
Le “vite di scarto” di Bauman rimandano immediatamente alla cultura dello scarto denunciata in più occasioni da Francesco. In più occasioni, infatti, negli ultimi anni, il sociologo polacco ha manifestato apprezzamento per l’azione del Papa. Il dialogo e la solidarietà sono le due parole che più spesso ricorrono in questi interventi. Due parole che, forse, sintetizzano meglio di altre una strada comune da percorrere insieme, anche in futuro, tra credenti e non credenti.
di Andrea Possieri

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