giovedì 23 febbraio 2017

Carlo Maria Martini. Il silenzio della Parola



L’occasione che ci ha riunito tutti insieme attorno all’Arcivescovo Bruno Forte è stata la presentazione del libro del sacerdote veronese don Damiano Modena, “Carlo Maria Martini. Il silenzio della Parola”, edito dalla San Paolo e riguardante in particolar modo l’ultima stagione di vita del Cardinale. Don Damiano è stato, infatti, scelto da Martini per accompagnarlo nei suoi ultimi istanti di vita.
Dopo le parole del moderatore della tavola rotonda, don Emiliano Straccini, ha preso la parola padre Arcivescovo in quanto amico e confidente del cardinal Martini fin da quando era arcivescovo di Milano. Padre Bruno ha evidenziato come monsignor Martini fosse un uomo di grande umiltà e di attento ascolto. Di lui il porporato ha messo in risalto tre aspetti che lo hanno caratterizzato, ossia quello di biblista, di sacerdote e di pastore.

Martini era un biblista, professore di critica testuale. Un amore alla Parola che lo ha portato ad esprimersi sempre attraverso un denso immaginario biblico. Aveva consuetudine con il testo biblico, sapeva porre domande ad esso, scavava nel testo traendo nel pozzo della Parola cose antiche e nuove. Egli aveva ben chiaro di come la Parola di Dio fosse Dio stesso e non un testo morto e di come fosse essenziale porre ad essa domande vere e forti, che interpellano nel profondo la vita del cristiano.

Ma egli non era stato, secondo padre Bruno, solamente uno studioso, ma anche un modello di gesuita, capace di ascolto radicale della Parola. Cosa questa che aveva ereditato dal suo direttore spirituale il gesuita padre Georg Sporschill, un uomo di pochissime parole e pubblicazioni. Egli gli aveva insegnato ad accostare in maniera autentica la Parola di Dio, con scavo paziente e ritorno perseverante.

Biblista, gesuita ed anche pastore di una grande metropoli, Milano. Pastore di questa città, Milano, si ritira in una città, Gerusalemme, la città della straordinaria bellezza, sapienza e dolore. Tre elementi che Martini aveva ritrovato anche a Milano, nella quale seppe mettere in luce i valori e la bellezza dello spirito e della liturgia ambrosiana. Ma non solo. In quella che poteva essere una autentica palestra culturale il pastore Martini seppe porsi in dialogo con i non credenti inventandosi la “cattedra dei non credenti”. Ma Milano fu anche la città del dolore durante gli anni di piombo del terrorismo. Il cardinale Martini seppe abitare il dolore degli uomini con rispetto e con la sua pronta e premurosa presenza.

Densa e ricca di contenuti è stata anche la relazione del professore Enrico Galavotti, docente di Storia del Cristianesimo presso l’Università “D’Annunzio” di Chieti, ha sottolineato dal canto suo come il cardinale Martini sia divenuto un punto di riferimento per molti, anche al di fuori della sua diocesi. Egli è stato un custode del Concilio Vaticano II in un momento in cui il Concilio veniva contestato. Ha anche messo nelle mano dei cristiani la Bibbia, credendo nella sinodalità e prendendo sul serio la crisi della Chiesa dinanzi alla modernità. Lui capiva che era necessario annunciare in modo nuovo il Vangelo. Meriti di Martini questi, per i quali egli è stato anche vilipeso e attaccato dalla stampa cattolica, come “campione del progressismo cattolico”.

Martini è stato, secondo l’illustre docente, un vescovo italiano “anomalo”, perché sempre pronto a parlare e a sollevare questioni dinanzi ad un episcopato italiano un po’ afono e malato di “pappagallismo”  e compiacente nei confronti del Santo Padre.

Il libro di Modena permette al lettore di entrare con umiltà ed in punta di piedi all’interno della fase finale della sua vita. Esso però non è solo un “diario della fine” ma un testo di grande attualità, dato che affronta il tema della morte e del “fine vita”. Tutti ne facciamo esperienza. Ogni morte è una storia a sé, ci svela qualcosa di chi muore e di noi stessi. Martini chiede a don Damiano di accompagnarlo verso la morte. Un libro particolare ed istruttivo, visto che tratta lo spinoso tema del “fine vita”. Tratta della malattia che condusse Martini alla fine…un tremolio alla mano che non riuscì a controllare, spogliandolo e denudandolo del desiderio di trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Gerusalemme. Gli tolse la voce, proprio a lui che era stato una voce importante all’interno della Chiesa italiana.

Nella malattia subentra anche il dubbio, il quale però non riuscì ad offuscare la fede del cardinale Martini, tanto che in una delle sue ultime celebrazioni della messa ebbe a dire: «Se anche dall’altra parte non vi fosse nulla sono felice di aver vissuto questa vita e di averla condivisa con  voi». Da anziano malato ha più tempo per guardare la televisione e visitare i cimiteri.  Non si intristiva al vedere delle tombe abbandonate, ma quelle sfarzose, che non rimandano alla loro verità di essere semplici luoghi di passaggio. Poco prima di morire dirà: «Io ho rinunciato a tutto e sto molto bene», frase che testimonia come egli non abbia mai rinunciato ad essere un maestro ed un testimone autentico di quella Sacra Parola che ha nella sua vita creduto, studiato e amato, tanto da poter divenire a pieno titolo il traghettatore dell’umanità nel Nuovo Millennio.

mercoledì 8 febbraio 2017

Tzvetan Todorov: la letteratura mi aiuta a vivere

«Ho sempre amato la letteratura perché mi aiuta a vivere» soleva dire Tzvetan Todorov, uno dei massimi intellettuali contemporanei, morto martedì 7 all’età di 77 anni. Allievo del celebre semiologo Roland Barthes, il pensatore bulgaro naturalizzato francese si distinse infatti sin da giovane, a Parigi, nell’ambito accademico e saggistico, ma ben presto la sua attività di studioso finì per investire altri ambiti, dalla storia alla filosofia, dalla critica strutturalista alla sociologia.
I suoi interessi storici, in particolare, si sono concentrati su temi cruciali, come i campi di concentramento stalinisti e nazisti: emblematica, al riguardo, è l’opera Di fronte all’estremo (1992), incisiva riflessione sugli orrori dei gulag e dei lager, in cui mette in guardia dall’illusione che simili atrocità — lette come il prodotto perverso della società di massa — non si ripeteranno più. Appassionato lettore di Montaigne, Rousseau, Constant, maturò nel tempo un crescente interesse sulla complessa questione del rapporto dell’uomo con l’altro. Una problematica analizzata nel libro La conquista dell’America. Il problema dell’altro (1984) dove prevale una concezione austera e pessimista: Todorov denuncia infatti l’effetto distruttivo della colonizzazione europea sulla cultura indigena, nel segno di un processo di assimilazione forzata che va necessariamente a ledere l’identità e la dignità dei nativi. Al tema del rapporto interpersonale, concepito come basilare per la costruzione di una civiltà armonica ed egualitaria, è dedicata anche l’opera Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana (1989). È del 2009 uno dei suoi libri più noti, La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà, in cui teorizza il rischio della «deriva violenta» dell’Europa. E subito dopo l’attentato di Nizza del 14 luglio 2016, in un’intervista ammonì: «Dobbiamo evitare di diventare anche noi dei “barbari”, di diventare torturatori come quelli che ci odiano». Affermazione sostenuta dalla consapevolezza che non c’è attentato, anche il più sanguinoso, che «possa mettere in pericolo la sopravvivenza della democrazia».