L’occasione che ci ha riunito tutti insieme
attorno all’Arcivescovo Bruno Forte è stata la presentazione del libro del
sacerdote veronese don Damiano Modena, “Carlo Maria Martini. Il silenzio della
Parola”, edito dalla San Paolo e riguardante in particolar modo l’ultima
stagione di vita del Cardinale. Don Damiano è stato, infatti, scelto da Martini
per accompagnarlo nei suoi ultimi istanti di vita.
Dopo le parole del moderatore della
tavola rotonda, don Emiliano Straccini, ha preso la parola padre Arcivescovo in
quanto amico e confidente del cardinal Martini fin da quando era arcivescovo di
Milano. Padre Bruno ha evidenziato come monsignor Martini fosse un uomo di
grande umiltà e di attento ascolto. Di lui il porporato ha messo in risalto tre
aspetti che lo hanno caratterizzato, ossia quello di biblista, di sacerdote e
di pastore.
Martini era un biblista, professore di
critica testuale. Un amore alla Parola che lo ha portato ad esprimersi sempre
attraverso un denso immaginario biblico. Aveva consuetudine con il testo biblico,
sapeva porre domande ad esso, scavava nel testo traendo nel pozzo della Parola
cose antiche e nuove. Egli aveva ben chiaro di come la Parola di Dio fosse Dio
stesso e non un testo morto e di come fosse essenziale porre ad essa domande
vere e forti, che interpellano nel profondo la vita del cristiano.
Ma egli non era stato, secondo padre
Bruno, solamente uno studioso, ma anche un modello di gesuita, capace di ascolto
radicale della Parola. Cosa questa che aveva ereditato dal suo direttore
spirituale il gesuita padre Georg Sporschill, un uomo di pochissime parole e
pubblicazioni. Egli gli aveva insegnato ad accostare in maniera autentica la
Parola di Dio, con scavo paziente e ritorno perseverante.
Biblista, gesuita ed anche pastore di
una grande metropoli, Milano. Pastore di questa città, Milano, si ritira in una
città, Gerusalemme, la città della straordinaria bellezza, sapienza e dolore.
Tre elementi che Martini aveva ritrovato anche a Milano, nella quale seppe
mettere in luce i valori e la bellezza dello spirito e della liturgia
ambrosiana. Ma non solo. In quella che poteva essere una autentica palestra
culturale il pastore Martini seppe porsi in dialogo con i non credenti
inventandosi la “cattedra dei non credenti”. Ma Milano fu anche la città del
dolore durante gli anni di piombo del terrorismo. Il cardinale Martini seppe
abitare il dolore degli uomini con rispetto e con la sua pronta e premurosa
presenza.
Densa e ricca di contenuti è stata anche
la relazione del professore Enrico Galavotti, docente di Storia del
Cristianesimo presso l’Università “D’Annunzio” di Chieti, ha sottolineato dal
canto suo come il cardinale Martini sia divenuto un punto di riferimento per molti,
anche al di fuori della sua diocesi. Egli è stato un custode del Concilio
Vaticano II in un momento in cui il Concilio veniva contestato. Ha anche messo
nelle mano dei cristiani la Bibbia, credendo nella sinodalità e prendendo sul
serio la crisi della Chiesa dinanzi alla modernità. Lui capiva che era
necessario annunciare in modo nuovo il Vangelo. Meriti di Martini questi, per i
quali egli è stato anche vilipeso e attaccato dalla stampa cattolica, come
“campione del progressismo cattolico”.
Martini è stato, secondo l’illustre
docente, un vescovo italiano “anomalo”, perché sempre pronto a parlare e a
sollevare questioni dinanzi ad un episcopato italiano un po’ afono e malato di
“pappagallismo” e compiacente nei
confronti del Santo Padre.
Il libro di Modena permette al lettore
di entrare con umiltà ed in punta di piedi all’interno della fase finale della
sua vita. Esso però non è solo un “diario della fine” ma un testo di grande
attualità, dato che affronta il tema della morte e del “fine vita”. Tutti ne
facciamo esperienza. Ogni morte è una storia a sé, ci svela qualcosa di chi
muore e di noi stessi. Martini chiede a don Damiano di accompagnarlo verso la
morte. Un libro particolare ed istruttivo, visto che tratta lo spinoso tema del
“fine vita”. Tratta della malattia che condusse Martini alla fine…un tremolio
alla mano che non riuscì a controllare, spogliandolo e denudandolo del
desiderio di trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Gerusalemme. Gli
tolse la voce, proprio a lui che era stato una voce importante all’interno
della Chiesa italiana.
Nella malattia subentra anche il dubbio,
il quale però non riuscì ad offuscare la fede del cardinale Martini, tanto che in
una delle sue ultime celebrazioni della messa ebbe a dire: «Se anche dall’altra
parte non vi fosse nulla sono felice di aver vissuto questa vita e di averla
condivisa con voi». Da anziano malato ha
più tempo per guardare la televisione e visitare i cimiteri. Non si intristiva al vedere delle tombe
abbandonate, ma quelle sfarzose, che non rimandano alla loro verità di essere semplici
luoghi di passaggio. Poco prima di morire dirà: «Io ho rinunciato a tutto e sto
molto bene», frase che testimonia come egli non abbia mai rinunciato ad essere
un maestro ed un testimone autentico di quella Sacra Parola che ha nella sua
vita creduto, studiato e amato, tanto da poter divenire a pieno titolo il
traghettatore dell’umanità nel Nuovo Millennio.