«Ho sempre amato la letteratura perché mi aiuta a vivere» soleva dire Tzvetan
Todorov, uno dei massimi intellettuali contemporanei, morto martedì 7 all’età di
77 anni. Allievo del celebre semiologo Roland Barthes, il pensatore bulgaro
naturalizzato francese si distinse infatti sin da giovane, a Parigi, nell’ambito
accademico e saggistico, ma ben presto la sua attività di studioso finì per
investire altri ambiti, dalla storia alla filosofia, dalla critica
strutturalista alla sociologia.
I suoi interessi storici, in particolare, si
sono concentrati su temi cruciali, come i campi di concentramento stalinisti e
nazisti: emblematica, al riguardo, è l’opera Di fronte all’estremo (1992),
incisiva riflessione sugli orrori dei gulag e dei lager, in cui mette in guardia
dall’illusione che simili atrocità — lette come il prodotto perverso della
società di massa — non si ripeteranno più. Appassionato lettore di Montaigne,
Rousseau, Constant, maturò nel tempo un crescente interesse sulla complessa
questione del rapporto dell’uomo con l’altro. Una problematica analizzata nel
libro La conquista dell’America. Il problema dell’altro (1984) dove prevale una
concezione austera e pessimista: Todorov denuncia infatti l’effetto distruttivo
della colonizzazione europea sulla cultura indigena, nel segno di un processo di
assimilazione forzata che va necessariamente a ledere l’identità e la dignità
dei nativi. Al tema del rapporto interpersonale, concepito come basilare per la
costruzione di una civiltà armonica ed egualitaria, è dedicata anche l’opera Noi
e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana (1989). È del 2009
uno dei suoi libri più noti, La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle
civiltà, in cui teorizza il rischio della «deriva violenta» dell’Europa. E
subito dopo l’attentato di Nizza del 14 luglio 2016, in un’intervista ammonì:
«Dobbiamo evitare di diventare anche noi dei “barbari”, di diventare torturatori
come quelli che ci odiano». Affermazione sostenuta dalla consapevolezza che non
c’è attentato, anche il più sanguinoso, che «possa mettere in pericolo la
sopravvivenza della democrazia».
LA CONQUISTA DELL'AMERICA
RispondiEliminaIl problema dell'altro (Todorov)
Come ricordo del grande pensatore bulgaro-francese vorrei presentare una rassegna del libro suddetto. A posteriori intendo fare anche un commento personale.
Todorov afferma che il problema è stato sempre l'altro, quel barbaro diverso da me. Barbaro e ogni singolo, ma anche ogni popolo che parla una lingua diversa dalla mia, giacché non si la capisce, è inintelligibile (animale)
Todorov divide il suo libro in tre parti:
Scoprire
Sempre per l'autore, Colombo ha una religiosità anacronistica, un crociato ma del secolo XV che sogna di somministrare le risorse per una futura ri-conquista di Gerusalemme.
Colombo giudica gli indi a partire della propria cultura europea. A volte accusa di stupidità ai nativi ma -disse l'autore- lo stupito è lui che non capisce e non riesce a conoscere gli abitanti dell'America.
Egli considera ai nativi come animali ed è crudele e disumano: in certe occasioni tortura ed uccide pure.
Conquistare
Cortés invece è un avido avventuriero che si interessa di conoscere gli indi ma soltanto per poter sfruttargli meglio. E' anche brutale e massacra senza esitare gli indi che si ribellano.
Si discute ancora come egli riesca a sottomettere Moctezuma che aveva un esercito molto superiore... Quando i successori di Mctzma combattono Cortés, questo ha già l'appoggio del esercito tlaxcalteca che può fare fronte agli aztechi e vincergli. Todorov riconosce onestamente che ad oggi non c'è una spiegazione all'atteggiamento passivo di Mctzma ma solo delle ipotesi. Cortés sembra riuscire a manipolare psicologicamente l'imperatore.
Critica di Todorov a Las Casas
Las Casas difende gli indi ma in pratica gli idealizza (uomini senza malvagità). In realtà Las Casas non conosce gli indi e neppure si interessa a conoscergli. Il suo amore e la sua opposizione alla violenza e allo sfruttamento risponde a uno scopo strumentale o meglio a un doppio scopo: convertire i nativi alla “vera religione” e sottomettergli al re spagnolo (pagamento di tasse)
Todorov riconosce tuttavia l'influsso storico positivo che ha avuto il religioso domenicano nei confronti delle popolazioni dell'America. In altre parole, l'autore riconosce la nobiltà di un'agire non esento tuttavia di una strumentalizzazione dei nativi a favore della sua idea-lizzazione.
Gabriel Maine
Un commento personale sul libro PARTE SECONDA
RispondiEliminaPremessa
Todorov è un intellettuale e il suo analisi è di sostanza. Allievo di Roland Barthes (cf filosofia del linguaggio), Todorov è uno specialista del linguaggio. Egli impiega anche il sapere dell'antropologia culturale ma non è un antropologo “puro”. Infatti non cita esplicitamente termini come “relativismo culturale”, de-culturazione, in-culturazione, a-culturazione, trans-culturazione, voci appartenenti al corpus teorico specifico dell'antropologia classica. In sintesi, egli si serve di questa moderna scienza ma cerca alla fine, una via di mezzo che considera più adeguata, più vicina alla verità, quella che non si riconosce nella distruzione delle culture indigene (de-culturazione) ma nemmeno nell'agire di coloro che hanno un tale rispetto di queste culture che li lasciano intatte, inviolate, senza nessuna possibilità di modificazione (forse qui l'autore fa allusione agli antropologi contemporanei)
Commento sulla critica di Todorov a Las Casas
Todorov sintetizza la sua accusa nel fatto che Las Casas non conosce gli indiani ma questa sua critica si rivolge contro di lui: Todorov non conosce Las Casas:
a) Non si può giudicare Las Casas per il fatto che non abbia agito nel XVI secolo secondo i principi culturali che solo verranno esplicitati da una scienza nata nel XIX (antropologia culturale)
b) Quando Las Casas idealizza gli indiani non lo fa in modo ingenuo ed irrealistico ma il suo discorso è quello di un avvocato, di un “PM” davanti al Re spagnolo e alla sua corte di fronte agli eccessi commessi dai conquistadores.
c) La sua sudditanza al cospetto del Re è vera e personalmente penso che sia sincera tanto come la sua vocazione religiosa. Il rispetto e la fedeltà verso il sovrano erano una caratteristica distintiva dell'epoca e questa “venerazione” diventava sovente sacra in quanto si univa al sentimento religioso cristiano (cf ad es. il rapporto fra il popolo russo e il loro Zar)
d) Todorov manifesta una scarsa conoscenza del fenomeno religioso. Nello stesso modo che molti intellettuali contemporanei, l'autore parte del presupposto che la religione, in questo caso il cattolicesimo così come le diverse credi dei popoli nativi dell'America, non sia altro che un “importante” elemento culturale. Ogni religione è solo un mito, ogni religione non ha una esistenza reale, così come un' unico Dio oppure diversi dei non esistono ma questo principio costituisce un pregiudizio: perché non esiste? Perché è irrazionale! Perché è irrazionale? Perché lo è!!!
In questa maniera, l'autore non è in grado di capire né il cristianesimo né la vocazione domenicana di Las Casas... Cosa lo ha spinto ad fare i voti di povertà, di castità e di obbedienza? E' stato un semplice motivo di rivendicazione sociale mascherato di religiosità oppure è stato un sentimento genuino che Todorov non considera? Una conoscenza vaga del cristianesimo ed in particolare modo del cattolicesimo, una ignoranza dichiarata della sua teologia, delle sue istituzioni giuridiche, l'uso sbagliato dei termini teologici risulta sovente qualcosa di “chic”, un segno di buon gusto fra gli intellettuali. Il problema sorge quando essi giudicano con categorie intellettuali fenomeni come quello della religione di cui dicono disinteressarsi. In questi casi si può dire che l'intellettuale rinuncia alla sua intellettualità e fa necessariamente un'analisi che solo porta a creare più confusione che chiarezza.
e) Todorov denuncia spesso lo schematismo del pensiero altrui ma è lui stesso a cadere talvolta in questa rigidità. Infatti, l'autore tende ad assolutizzare il suo universo mentale, la sua specialità di filosofo del linguaggio ma non prende troppo in considerazione il fatto che essa rimane una specialità e come tale è incapace di presentare una comprensione più ampia della realtà, senza l'ausilio delle altre scienze umanistiche e sociali.
Gabriel maine latinoamerica
Il problema dell'altro PARTE TERZA
RispondiEliminaCommento sulla interpretazione di Todorov rispetto alla profezia de Las Casas
Todorov cita la conosciuta profezia: nel futuro Dio riverserà sulla Spagna il suo furore in ragione di tutta la crudeltà praticata a danno delle popolazioni indigene dell'America. L'autore suggerisce che essa deve essere intesa non verso la sola Spagna ma diretta a tutta l'Europa occidentale. Infatti se la Spagna è stata la più brutale, le altre nazioni europee hanno commesso gli stessi crimini contro i popoli colonizzati.
A posteriori, l'autore identifica in maniera riduttiva l'impero azteca con la “cultura del sacrificio umano” e parallelamente il regno spagnolo con la “cultura del massacro”. Penso che questa affermazione contenga dei limiti e che, nella realtà storica, ogni popolo potente, sia europeo, americano, africano o asiatico ha abbracciato e operato automaticamente, nella misura delle sue possibilità, la “cultura del massacro” in ordine a imporre la propria volontà. Alessandro Magno, gli imperatori romani, i faraoni dell'Egitto, l'impero ottomano, l'impero mogol di Genguis Khan costituiscono alcuni esempi di un passato di oppressori ed oppressi che si rigenera oggi nel doppio massacro, praticato prevalentemente, in entrambi i casi, contro vittime civile innocenti: quello attuato da una parte del Islam contro alcuni paesi dell'Occidente, quello attuato da una parte del Occidente contro alcuni paesi islamici. Noi condannammo le vittime civili degli attentati contro Parigi, Londra, le Torre gemelle ma facciamo altrettanto con quelle moltissimi vittime civile di ogni giorno che tuttavia non vengono rilevate dall'informazione poiché poveri, poiché non appartenenti alla civilizzazione occidentale europea-americana. Il massacro nella America latina, gli armeni, ex-Iugoslavia, Iraq, Afghanistan, Sierra Leona ed oggi i curdi, i palestinesi, la Libia e la Siria... tutti stermini di massa dove l'occidente ha avuto una responsabilità diretta o indiretta... Per dare un esempio, nella prima guerra contro l'Iraq, promossa dal presidente Bush senior ed appoggiato dalla Nato, sono morti circa 300.000 civili iracheni. Diranno molti “loro hanno fatto o avrebbero fatto molto di peggio di noi” ma questo non credo sia una giustificazione seria. Cosa pensate?
Gabriel Maine
TL