mercoledì 16 dicembre 2015

Agostino di Ippona interprete della Genesi

L'11 dicembre sono iniziati a Fornole, vicino ad Amelia (TR), gli incontri del tanto atteso TE' FILOSOFICO inaugurati con la lectio magistralis dello studioso di filosofia politica Saverio Monitillo intorno alla figura di Agostino di Ippona, a cui hanno preso parte oltre una ventina di persone.
Riportiamo qui di seguito il testo della sua relazione:



Vita

Nace a Tagaste (Numidia/Algeria) il 13 novembre 354. Muore il 28 agosto 430 a Ippona

 Tappe della vita:

1.      Lettura dell’Ortensio di Cicerone (373) segue l’incontro con la filosofia

2.      373-382 incontro con i Manichei. Interpretazione della Sacra Scrittura gnostica: razionalismo che esclude la fede. Il cristianesimo spirituale è solo per pochi eletti

3.      383-384 crisi scettica iniziata a Roma

4.      384 a Milano incontra la filosofia neoplatonica. Lascia la donna con la quale aveva vissuto e il figlio Adeodato

5.      386. La conversione. Conosce il vescovo di Milano Ambrogio. Nel 387 nella notte di Pasqua riceve il battesimo

6.      387-388 rientra a Tagaste dove con alcuni amici si ritira nella casa del padre per meditare sulla Sacra Scrittura. Nel 391 viene ordinato presbytero. 396 Vescovo. Tra il 397 e il 429 scrisse molte sue opere.

Lo stesso Agostino nelle Retractationes recensisce 93 opere divise in 252 libri. Ne ricordiamo solo alcuni: Contra Academicos, Soliloquia, De Libero Arbitrio, De vera religione, De cathechizandis rudibus, Confessiones (397-400), De Trinitate, De Civitate Dei, De doctrina Christiana.



Vediamo solo alcuni aspetti del suo pensiero.



Il pensiero di s. Agostino

La filosofia di sant’Agostino nasce dalla sua stessa esperienza, cioè, da una presa di coscienza dell’esserci, del vivere e dell’esistere e del pensare. Per Agostino filosofare significa elevarsi secondo un preciso itinerario mentis, dall’esteriorità all’interiorità, a Dio, dalla scientia alla Sapientia. E’ un percorso platonico porfiriano: dai corpi all’anima e dall’anima all’Essere. “Nel ricercare infatti la ragione per cui apprezzavo la bellezza dei corpi sia celesti che terresti… scoprii al di sopra della mia mente mutabile l’eternità immutabile e vera della verità. E così ascesi per gradi dai corpi fino all’anima, che sente attraverso il corpo, dall’anima alla sua potenza interiore, cui i sensi del corpo comunicano la realtà esterna, che è la facoltà massima delle bestie. Di qui poi ascesi ulteriormente all’attività razionale, al cui giudizio sono sottoposte le percezioni dei sensi corporei; ma poiché anche quest’ultima mia attività si riconobbe mutevole, si sollevò fino all’intelletto. Allora distolse il pensiero dalle sue consuetudini, sottraendosi alle contraddizioni della fantasia turbinosa,  per scoprire sia il lume da cui era pervasa quando proclamava senza alcuna esitazione che è preferibile ciò che non muta a ciò che muta, sia la fonte da cui derivava il concetto stesso d’immutabilità, concetto che in qualche modo doveva possedere, altrimenti non avrebbe  potuto anteporre con certezza ciò che non muta. Così giunse, in un impeto della visione trepida, all’Essere stesso”.  (Conf 7,17,23). Questo percorso permette all’uomo di raggiungere la felicità.

Dopo aver girato le Varie scuole filosofiche Agostino trova la vera felicità nel cristianesimo. Perché? Lo dice lo stesso Agostino quando afferma che la vita felice viene raggiunta con l’esperienza e conservata dalla conoscenza; la conoscenza è la scienza dell’interiorità che per essere vera e per giungere alla contemplazione e alla felicità deve essere unita all’amore. Dunque la vita felice dell’uomo la si ottiene tramite la contemplazione e l’amore per Essere eterno che è Dio, Verità e Sapienza.  La mens dell’uomo è in grado di conoscere e possedere l’eternità della verità; la conoscenza di questa verità, unita all’amore, sono la causa della vita beata. “Che cos’è la vita beata se non possedere, mediante la conoscenza, qualcosa di eterno? Eterno infatti è solo ciò di cui si è eternamente convinti che non può essere tolto a chi l’ama; l’eterno ppi è lo stesso di possere e conoscere. L’eternità è la più eccellente di tutte le cose, e perciò non possiamo averla se non per mezzo della facoltà che ci rende superiori, cioè la mente. Ora ciò che si possiede con la mente si ha conoscendolo, e nessun bene è conosciuto perfettamente se non si ama perfettamente. Ma come la mente da sola non può conoscere, così da sola non può amare. L’amore infatti è una tensione e noi vediamo che anche nelle altre parti dell’animo c’è un appetito il quale, se è in accordo con la mente e la ragione, permetterà di contemplare con la mente, in questa pace e tranquillità, ciò che è eterno.  L’animo deve quindi amare anche con le altre sue parti questo bene così grande che bisogna conoscere con la mente. E poiché l’oggetto amato configura necessariamente di sé il soggetto che ama, avviene che l’eterno, aato così renda eterna l’anima. Di conseguenza la vita beata è in definitiva la vita eterna. Ma qual è il bene eterno, che rende eterna l’anima, se non Dio?”  (De diversis questionibus otaginta tribus 35,2).

L’orizzonte sapienziale cristiano è quello trinitario. Le rationes aeterne presenti nell’interiorità della mens della creatio sono il legame tra il pensiero e la verità, tra il sapere e la sapienza. Le idee divine, in quanto razionalità dell’eterno, costituiscono con la parola interiore che dalle origini illumina l’uomo; queste idee sono nell’interiorità dell’uomo  e si possono con la ragione. L’illuminazione interiore permette la comprensione della verità. Il Logos è il Principium che fonde la totalità dell’essere e che permette al pensiero di farsi intellegibile a se stesso e di ascendere interiormente e ritornare al proprio fondamento. Dio è intelligibilis lux è la Sapientia illuminatio, è la partecipazione del pensiero del verbo eterno Il Verbo è lux mentis. La Sapientia è Dio.



Visibilità della  Sapienza di Dio. La sacra Scrittura

In Sant’Agostino abbiamo due punti principali del suo pensiero: Dio e l’uomo. L’uomo come ontologia triadica delle persone; Dio come espressione metafisica della Trinità. Il creato riflette l’unità-distinzione che è in Dio. Dio fa si che la creatura partecipi al suo Essere intessendo così una via dialogica cioè una relazione tra il creatore e la creatura. Agostino usa espressioni proprie della metafisica greca per definire Dio: Uno. Immobile ma la novità sta proprio nella realtà unità-distinzione di Dio stesso. Dio è in se autocomunicazione e amore e all’interno di questa dinamica si instaura l’uomo con la conoscenza e l’amore. Ora è proprio la categoria aristotelica di relazione che permette ad Agostino di spiegare il Dio del Nuovo Testamento che è Padre, Figlio e Spirito Santo (unica sostanza) ma si differenziano nelle relazioni personali. Nel De vera religione Agostino stesso ci dice che la nozione di Trinità può essere compresa con la mente filosofica mentre la nozione di Incarnazione richiede la fede. Con la sua filosofia dell’essere Agostino spiega anche i due nomi di Dio che noi troviamo nell’Antico testamento:

1)      “Io sono colui che è”. Nome della Sua eternità. Nome come Essere- Pensiero, nell’eternità del Logos-Verbo

2)      “Io sono il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe” Nome della sua misericordia. Nome come Essere-Parola, Logos della creazione e della rivelazione.

Gli anni di Dio sono l’eternità e a questa si contrappone la temporalità dell’uomo. All’immutabilità divina si contrappone la mutabilità umana. Eternità di Dio è la permanenza dell’esserci di Dio, sempre.



Essenza e sostanza di Dio

L’essenza è ciò che permette a Dio di essere Dio al di fuori del tempo è l’eternità di Dio; mentre la substantia è ciò che permette all’essere Dio di eliminare ogni altra differenza. Comprendiamo meglio cosa è scritto in Es 3,14 “Dio  disse a Mosè: “Io sono colui che sono”. E aggiunse: “Così dirai agli israeliti Io sono mi ha mandato a voi” Agostino commenta dicendo “Dio è tutto ciò che ha eccetto le relazioni per cui ciascuna persona si riferisce all’altra” (De civitate Dei). Dio ha tutte le perfezioni. Il Padre ha il Figlio ma non è il Figlio e viceversa. Così per lo Spirito Santo. “Crediamo, accettiamo e fedelmente insegniamo che il Padre ha generato il Verbo, cioè la Sapienza per mezzo della quale sono state create tutte le cose, Figlio unigenito, uno da uno, eterno da eterno, sommamente buono da egualmente buono e che lo Spirito Santo è insieme lo Spirito del Padre e del Figlio, anche egli consustanziale e coeterno ad entrambi” (De civitate Dei 11,24).

L’Essere è detto nella rivelazione; Cristo è la sapienza di Dio, il Figlio è l’immagine sapiente di Dio, cioè, il Verbo coeterno del Padre. L’Essere è detto nella Creazione soprattutto nel suo De Genesis. Dio è (Essere); è l’Intelletto Pensiero (Sapienza-Idee) e Parola, nell’unità dell’Amore Trinitario. La creazione avviene nella Parola che esprime le Idee della Sapienza Divina.



Creazione. Tempo. Caino e Abele

Il concetto di creazione è difeso da agostino contro i manichei e i neoplatonici, perché la creazione di Dio avviene “non dalla sua sostanza ma dal nulla”. Creazione dal nulla significa che non pre-esiste  qualcosa perché Dio non precede il tempo con il tempo ma con l’eternità; la creazione è avvenuta quindi con il tempo. Nell’atto eterno della creazione viene costituito il tempo. Il tempo è per Agostino la distensio animi. Da un lato Agostino dissolve la nozione del presente costituito di durata e di estensione; il passato non è più, il futuro non è ancora; il presente “è la mia attenzione per la quale il futuro si traduce in passato”.

Tutti conosciamo il brano di Caino e Abele nella lettura cristiana Caino diventa il prototipo del Malvagio, il secondo rappresenta la figura del giusto. Il sacrificio di Abele sarà portato a compimento da Cristo. Il centro è l’agape, l’Amore. Caino e Abele hanno avuto entrambi un dono da Dio ma la violenza di Caino contro Abele destituisce questa donazione. Ai sacrifici pagani, S. Agostino, oppone il vero sacrificio, quello di Cristo, precisando che questo ha la sua origine non nell’immolazione, ma nella fedeltà al Padre. Il sacrificio di Cristo è verissimo perché è andato sino in fondo. Dunque anche l’Eucarestia è capibile alla luce di questo concetto di sacrificio: ci ricorda la vita donata dal Cristo che produce la vita donata al seguito del Cristo. Agostino dice: “In Caino non vi fu carità e se non ci fosse stata più carità in Abele Dio non avrebbe gradito la sua offerta. Avendo entrambi offerto un sacrificio, l’uno i frutti del suolo, l’altro i primogeniti del gregge, perché secondo voi, fratelli miei, Dio ha rifiutato i frutti del suolo e gradito i primogeniti del gregge? Dio non ha guardato le mani, ma ha visto il cuore: vedendo che l’offerta dell’altro era accompagnata dall’invidia, non gradì il suo sacrificio”: (Comm alla prima lettera di san Giovanni). Senza la carità il sacrificio non ha senso.



Per un Giubileo della Misericordia

DISCORSO 358/A

TRATTATO DI SANT' AGOSTINO SUL VALORE DELLA MISERICORDIA..



La vera misericordia è immedesimazione nelle pene altrui.

1. Desidero darvi, o buoni fedeli, qualche avvertimento sul valore della misericordia. Per quanto abbia sperimentato che voi siete disponibili a ogni opera buona, tuttavia è necessario che su questo argomento tenga con voi un discorso di particolare impegno. Vediamo dunque: che cosa è la misericordia? Non è altro se non un caricarsi il cuore di po' di miseria [altrui]. La parola " misericordia " deriva il suo nome dal dolore per il " misero ". Tutt'e due le parole ci sono in quel termine: miseria e cuore. Quando il tuo cuore è toccato, colpito dalla miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia. Fate attenzione pertanto, fratelli miei, come tutte le buone opere che facciamo nella vita riguardano veramente la misericordia. Ad esempio: tu dài del pane a chi ha fame; daglielo con la partecipazione del cuore, non con noncuranza, per non trattare come un cane l'uomo a te simile. Quando dunque compi un atto di misericordia comportati [così]: se porgi un pane, cerca di essere partecipe della pena di chi ha fame; se dài da bere, partecipa alla pena di chi ha sete; se dài un vestito, condividi la pena di chi non ha vestiti; se dài ospitalità condividi la pena di chi è pellegrino; se visiti un infermo quella di chi ha una malattia; se vai a un funerale ti dispiaccia del morto e se metti pace fra i litiganti pensa all'affanno di chi ha una contesa. Se amiamo Dio e il prossimo non possiamo fare queste cose senza una pena nel cuore. Queste sono le opere buone che provano il nostro essere cristiani. il santo Apostolo dice infatti: Mentre ne abbiamo l'occasione, operiamo il bene verso tutti 1. Parimenti lo stesso Apostolo che cosa dice nello stesso passo sempre sul ben operare? Questo vi dico: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà 2. Chi ha parlato di seminagione, ha promesso il raccolto.

In cielo non vi saranno opere di misericordia. Impegno della seminagione. Esempio del contadino.

2. Quando semini, poiché fai un'opera di misericordia, se sei partecipe del dolore di colui che ne è l'oggetto, semini tra le lacrime 3. Ma un giorno tuttavia, raggiunto il nostro fine, non ci sarà più bisogno di questa seminagione di misericordia; perché in quel regno non ci saranno degli infelici che come qui hanno sofferto angustie a causa di Dio. Nel luogo della ricompensa infatti, a chi porgi il pane se nessuno ha fame? Quale nudità potrai rivestire se tutti sono vestiti d'immortalità? A chi dài ospitalità se tutti vivono nella loro patria? Quali i malati da visitare se c'è eterna salute? Quali morti da seppellire lì dove si vive eternamente? Quali litigiosi puoi mettere d'accordo lì dove ha raggiunto pienezza quella pace che qui viene promessa? Non ci saranno dunque lì opere di misericordia. Perché? Perché non semini più: porti i manipoli di grano. Perciò non stanchiamoci di operare. Seminiamo tra le lacrime, cioè con fatica e dolore. Pertanto non venite meno nelle opere di misericordia perché riceverete la ricompensa della vostra seminagione 4. D'inverno si semina con fatica. Ma l'asprezza dell'inverno non ha mai distolto il contadino dal gettare nella terra il frutto selezionato con tanta fatica. Egli procede e getta in terra il seme che aveva raccolto dalla terra, che dalla terra era stato selezionato. Non si arresta, lo getta in terra, tremando di freddo, ma sollecito. Perché sollecito nonostante il freddo? Scuotono la pigrizia fede e speranza. Non vede certo la messe ma ha fede che spunterà. Non raccoglie già ora i frutti ma spera di raccoglierli; e si rianima con questa fede, con questa speranza, così che sopportando il grande disagio del freddo, butta il seme nella terra ed è sicuro di poter raccogliere con l'aiuto di Dio frutti abbondanti secondo il suo lavoro e la sua fatica.





Conclusione

In conclusione possiamo dire che Agostino se non è riuscito a mettere tutto il mare di Dio nella buca della nostra mente almeno ne ha fatto entrare poche gocce. Queste poche gocce ci permettono di fare un passo in avanti nella comprensione umana di tale mistero. Dio è e rimane sempre un mistero.  Ogni riflessione su Dio è tale nel momento in cui diviene non tanto ricerca della sua esistenza ma quanto comunione con la sua certa presenza.

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