Per
millenni le civiltà arcaiche sono sopravvissute affidandosi all’efficacia
riparatrice del meurtre fondateur o della vittima divinizzata che risolve le
crisi del «tutti contro tutti» quando la rivalità mimetica contagia i componenti
di una comunità. Così, secondo la visione dello studioso delle religioni, il
francese René Girard, per il quale la tomba della vittima è il primo segno e la
prima tomba è la tomba di una vittima, l’altare su cui è stata sacrificata.
Scomparso circa un mese fa, René Girard ha lasciato libri celebri come Delle
cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Il capro espiatorio e La violenza
e il sacro, pubblicati in Italia da Adelphi. Senonché con la venuta di Cristo il
meccanismo fondatore per cui il sacro è «la violenza che ferma la violenza» non
è stato soltanto rivelato, ma è anche stato reso inoperante.
A questo punto
si sono aperte due strade: proseguire su quella della violenza fino all’estremo
della distruzione oppure scegliere la via della riconciliazione imitando Cristo.
Questo in sintesi il pensiero di René Girard per apprezzare il quale possono essere utili alcuni commenti riguardanti in special modo la violenza e le conseguenze del desiderio (da non confondersi col bisogno). Desiderio che in quanto mimetico è dipendente, relazionale, suggerito, triangolare, contagioso ed endemico, non autonomo, né originale, ma copiato e influenzato. Prospettiva questa che trova applicazione fin nel commercio, là dove per promuovere un prodotto e suscitare il desiderio di acquisto si afferma «che piace alla gente che piace».
Un commento riguarda il tema della difesa della vittima, l’uso politico e demagogico che se ne fa, abuso definito da Girard souci victimaire, la compassione obbligatoria in vigore nella nostra società che autorizza nuove forme di crudeltà. Girard si riferisce a quella particolare arte in grado di creare nuove vittime fingendo di andare in loro soccorso. In questo senso la difesa della vittima come arte è il nostro assoluto globalizzato, planetario e secolarizzato. Quando è messo in moto dalle rivalità mimetiche prende forme aberranti e si trasforma in una sorta di ingiunzione totalitaria e di inquisizione permanente. Detta anche «coscienza vittimaria». Contraddittoria, nel senso che «produce» più solidarietà, più soccorso, più compassione, più diritti umani, più giustizia verso le vittime quante più sono le vittime che vengono fatte. Nella corsa alla pietà per le vittime l’Onu scavalca a sinistra il cristianesimo secolarizzandolo, appropriandosi dei suoi i meriti e dando via libera all’aborto e all’eutanasia.
Preoccupazione vittimaria è stare dalla parte delle vittime spinti dal desiderio, talora contorto, di interpretare Cristo, talmente sollecitati dal risentimento verso l’ingiustizia, talmente accecati da questo bisogno, da non capire che, esagerando, si finisce per creare nuove vittime: posizione questa che dà origine all’emergenza umanitaria e degenera nelle varie forme di falsificazioni e totalitarismi del bene.
Privata del sistema protettivo del meurtre fondateur, la violenza che produceva il sacro non fonda più niente. Perduta la sua fecondità, la violenza non è in grado di produrre giustizia se non quella ottenuta con il rispetto del rito e l’applicazione formale delle regole rituali.
Il fusibile che salvava dalla violenza fuori controllo funzionava perché era segreto, nascosto nel religioso arcaico del mito.
La sopravvenuta mancanza delle stampelle sacrificali e il depotenziamento del vaccino sacrificale liberano la violenza riducendone la capacità di produrre niente altro che se stessa.
Rivelando l’innocenza della vittima e togliendo all’uomo le stampelle sacrificali, la Rivelazione priva l’uomo del sacrificale, del mito e del “religioso”. A questo punto Nietzsche — che aveva capito il potere destrutturante della Rivelazione — sceglie nonostante tutto Dioniso col quale almeno formalmente si ritorna al sacro e al capro espiatorio. Senonché in una società nel frattempo trasformata dalla rivelazione di Cristo e pertanto privata delle forme di contenimento della violenza un tempo strutturante (Satana), la violenza diventa violenza libera, apocalittica e in decomposizione. In altre parole quanto detto sopra stabilisce che la perdita del sacrificio, unico sistema in grado di contenere la violenza riporta la violenza tra noi.
«Se la Passione porta la guerra — scrive Girard nel suo ultimo libro pubblicato in vita, Portando Clausewitz all’estremo — è perché dice la verità sugli uomini, che si trovano privati di ogni meccanismo sacrificale. Il religioso normale, quello che crea gli dei, è lo stesso che ha bisogno dei capri espiatori. Dal momento in cui la Passione insegna agli uomini che le vittime sono innocenti essi combattono, cosa che precisamente le vittime espiatorie impedivano loro di fare. Una volta scomparso il sacrificio rimane solo la rivalità mimetica ed essa tende all’estremo».
Nell’affermare che «l’apocalisse non è altro che l’incarnazione del cristianesimo nella storia» perché la religione cristiana è la vera demistificazione del religioso che denuncia l’errore su cui si fonda la religione arcaica, ne deriva che non rimane altro che l’imitazione di Cristo. Imitare Cristo che imita il Padre per evitare l’imitazione del prossimo e la rivalità.
Questo in sintesi il pensiero di René Girard per apprezzare il quale possono essere utili alcuni commenti riguardanti in special modo la violenza e le conseguenze del desiderio (da non confondersi col bisogno). Desiderio che in quanto mimetico è dipendente, relazionale, suggerito, triangolare, contagioso ed endemico, non autonomo, né originale, ma copiato e influenzato. Prospettiva questa che trova applicazione fin nel commercio, là dove per promuovere un prodotto e suscitare il desiderio di acquisto si afferma «che piace alla gente che piace».
Un commento riguarda il tema della difesa della vittima, l’uso politico e demagogico che se ne fa, abuso definito da Girard souci victimaire, la compassione obbligatoria in vigore nella nostra società che autorizza nuove forme di crudeltà. Girard si riferisce a quella particolare arte in grado di creare nuove vittime fingendo di andare in loro soccorso. In questo senso la difesa della vittima come arte è il nostro assoluto globalizzato, planetario e secolarizzato. Quando è messo in moto dalle rivalità mimetiche prende forme aberranti e si trasforma in una sorta di ingiunzione totalitaria e di inquisizione permanente. Detta anche «coscienza vittimaria». Contraddittoria, nel senso che «produce» più solidarietà, più soccorso, più compassione, più diritti umani, più giustizia verso le vittime quante più sono le vittime che vengono fatte. Nella corsa alla pietà per le vittime l’Onu scavalca a sinistra il cristianesimo secolarizzandolo, appropriandosi dei suoi i meriti e dando via libera all’aborto e all’eutanasia.
Preoccupazione vittimaria è stare dalla parte delle vittime spinti dal desiderio, talora contorto, di interpretare Cristo, talmente sollecitati dal risentimento verso l’ingiustizia, talmente accecati da questo bisogno, da non capire che, esagerando, si finisce per creare nuove vittime: posizione questa che dà origine all’emergenza umanitaria e degenera nelle varie forme di falsificazioni e totalitarismi del bene.
Privata del sistema protettivo del meurtre fondateur, la violenza che produceva il sacro non fonda più niente. Perduta la sua fecondità, la violenza non è in grado di produrre giustizia se non quella ottenuta con il rispetto del rito e l’applicazione formale delle regole rituali.
Il fusibile che salvava dalla violenza fuori controllo funzionava perché era segreto, nascosto nel religioso arcaico del mito.
La sopravvenuta mancanza delle stampelle sacrificali e il depotenziamento del vaccino sacrificale liberano la violenza riducendone la capacità di produrre niente altro che se stessa.
Rivelando l’innocenza della vittima e togliendo all’uomo le stampelle sacrificali, la Rivelazione priva l’uomo del sacrificale, del mito e del “religioso”. A questo punto Nietzsche — che aveva capito il potere destrutturante della Rivelazione — sceglie nonostante tutto Dioniso col quale almeno formalmente si ritorna al sacro e al capro espiatorio. Senonché in una società nel frattempo trasformata dalla rivelazione di Cristo e pertanto privata delle forme di contenimento della violenza un tempo strutturante (Satana), la violenza diventa violenza libera, apocalittica e in decomposizione. In altre parole quanto detto sopra stabilisce che la perdita del sacrificio, unico sistema in grado di contenere la violenza riporta la violenza tra noi.
«Se la Passione porta la guerra — scrive Girard nel suo ultimo libro pubblicato in vita, Portando Clausewitz all’estremo — è perché dice la verità sugli uomini, che si trovano privati di ogni meccanismo sacrificale. Il religioso normale, quello che crea gli dei, è lo stesso che ha bisogno dei capri espiatori. Dal momento in cui la Passione insegna agli uomini che le vittime sono innocenti essi combattono, cosa che precisamente le vittime espiatorie impedivano loro di fare. Una volta scomparso il sacrificio rimane solo la rivalità mimetica ed essa tende all’estremo».
Nell’affermare che «l’apocalisse non è altro che l’incarnazione del cristianesimo nella storia» perché la religione cristiana è la vera demistificazione del religioso che denuncia l’errore su cui si fonda la religione arcaica, ne deriva che non rimane altro che l’imitazione di Cristo. Imitare Cristo che imita il Padre per evitare l’imitazione del prossimo e la rivalità.
di Oddone Camerana
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