La matematica come
porta di accesso alla filosofia. È quello che è avvenuto nella vita dello scienziato
Pavel Florenskij (1882-1937). Iscritto alla facoltà di fisica e matematica
dell’università di Mosca il giovane Pavel ebbe l’opportunità di incontrare due
grandi matematici del suo tempo, Bugaev (1837-1903), decano della stessa
facoltà, e Cantor (1845-1918). Florenskij approdava allo studio della matematica
dopo anni di lotta adolescenziale nei quali desiderava giungere alla conoscenza
della verità, ossia alla comprensione onnicomprensiva e non frammentaria della realtà. Secondo colui
che venne in seguito apostrofato come il “Leonardo da Vinci dell’Oriente”, la
matematica poteva offrire una nuova comprensione (Weltanschauung) del reale,
permettendo a Florenskij di realizzare una visione scientifico-filosofica del
mondo.
Bugaev amava parlare
della matematica pura come un nuovo metodo di conoscenza avente come strumenti
di lavoro il numero e la misura. Questo professore era giunto alla conclusione
che la matematica non fosse altro che la teoria delle funzioni continue e
discontinue. Delle prime si occupa l’analisi matematica mentre delle seconde la
aritmologia. Il loro lavoro congiunto avrebbe portato allo sviluppo di una
concezione scientifico-filosofica del mondo, che avrebbe rifiutato però
l’assolutismo dell’idea di causalità in cambio di una maggiore attenzione
dell’idea di discontinuità. In questo modo il pensiero matematico di Bugaev si
indirizzava quasi esclusivamente sulla aritmologia. Per questo matematico russo
la vita dell’universo dipende non dalla causalità che lega le leggi
psico-fisiche, ma dagli elementi del mondo, tra cui in primis vi è l’essere umano. Costui, con la sua volontà libera, è
in grado di agire in maniera autonoma all’interno del processo evolutivo
dell’universo verso la sua perfezione, o come dirà in seguito Florenskij, verso
la sua divinizzazione.
La perfezione di cui tratta Bugaev non è tanto
il faticoso piegarsi dell’essere umano alle leggi inscritte nell’universo,
quanto, invece, la ricerca della verità, di quella Verità che è Dio e che accompagna
il graduale cammino dell’uomo verso la sua piena realizzazione. Il pensiero del
matematico russo è denominato “monadologia evolutiva”, dato che pone nella
monade l’elemento vivo. Questa monade è caratterizzata dalla costanza e
dall’essere capaci di cambiamenti coscienti. Le monadi sono tutte diverse tra loro
e possono entrare in relazione l’una con l’altra, influendo una sull’altra. Lo
scopo dell’esistenza della monade è prettamente etico: essa deve perfezionarsi
e perfezionare le altre monadi. Con la sua volontà la monade può decidere di realizzare
il bene. Florenskij non rimane indifferente alle provocazioni matematiche di
Bugaev, tanto che inizia a coltivare il desiderio di concretizzare la
matematica, non rendendola un mero insieme di formule.
Oltre Bugaev, Cantor.
Grazie a quest’ultimo il giovane Pavel incontra la teoria degli insiemi e
l’idea di gruppo. Per il matematico tedesco con “gruppo” si deve intendere un
insieme in cui si trovano degli elementi che lo costituiscono e che sono
distinti tra loro. In questa idea Florenskij trova l’armonia tra quelli che
sono i due concetti fondamentali della filosofia, l’uno ed il molteplice. Ma
c’è di più. In Cantor il nostro filosofo russo intuisce l’esistenza
dell’infinito nelle condizioni del finito. Infatti il matematico tedesco si era
occupato principalmente dell’infinità attuale, da lui pensata in un duplice
modo, cioè sia come ciò che è maggiore di ogni realtà finita sia come ciò che è
in relazione con una realtà più grande di essa, detta “sovrafinità”. Secondo Cantor,
in maniera più concreta, si può ritenere di venire in contatto con l’infinità
attuale in tre modi: in maniera assoluta e perfetta (Absolutum), nel mondo creato (Transfinito)
e in maniera spirituale ed astratta nei numeri transfiniti, i quali sono il
simbolo dell’infinito.
Da quanto abbiamo
cercato di mostrare si comprende come la matematica, secondo Florenskij, sia
considerata come quella disciplina che può permettergli la conoscenza della verità
sull’uomo e su Dio, sul finito e sull’Infinito e su ciò che li lega insieme. Il
filosofo russo vuole sapere chi sia Dio e chi sia l’uomo, per cui la sua filosofia
della religione segue una duplice via, quella della teodicea e quella della antropodicea.
Due percorsi distinti ma al tempo stesso inseparabili. E la cosa interessante è
proprio il considerare come la matematica sia stata una delle principali porte
(oltre alle sue esperienze risalenti all’infanzia o a quelle religiose) che lo
hanno condotto a filosofare, ossia alla ricerca dell’unica Verità. Così scrive
nella lettera seconda dedicata al dubbio ne La
colonna e il fondamento della verità:
Io non ho la Verità in me, ma l’idea
della Verità mi brucia; non ho i dati per affermare che cosa sia la Verità e
che io la raggiungerò […]. Tuttavia l’idea della Verità brucia in me come “fuoco
divoratore” e la segreta speranza di incontrarla a faccia a faccia incolla la
mia lingua al palato; è essa il torrente infuocato che mi ribolle e gorgoglia
nelle vene.
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