martedì 17 febbraio 2015

La matematica come porta di accesso al filosofare


La matematica come porta di accesso alla filosofia. È quello che è avvenuto nella vita dello scienziato Pavel Florenskij (1882-1937). Iscritto alla facoltà di fisica e matematica dell’università di Mosca il giovane Pavel ebbe l’opportunità di incontrare due grandi matematici del suo tempo, Bugaev (1837-1903), decano della stessa facoltà, e Cantor (1845-1918). Florenskij approdava allo studio della matematica dopo anni di lotta adolescenziale nei quali desiderava giungere alla conoscenza della verità, ossia alla comprensione onnicomprensiva  e non frammentaria della realtà. Secondo colui che venne in seguito apostrofato come il “Leonardo da Vinci dell’Oriente”, la matematica poteva offrire una nuova comprensione (Weltanschauung) del reale, permettendo a Florenskij di realizzare una visione scientifico-filosofica del mondo.

Bugaev amava parlare della matematica pura come un nuovo metodo di conoscenza avente come strumenti di lavoro il numero e la misura. Questo professore era giunto alla conclusione che la matematica non fosse altro che la teoria delle funzioni continue e discontinue. Delle prime si occupa l’analisi matematica mentre delle seconde la aritmologia. Il loro lavoro congiunto avrebbe portato allo sviluppo di una concezione scientifico-filosofica del mondo, che avrebbe rifiutato però l’assolutismo dell’idea di causalità in cambio di una maggiore attenzione dell’idea di discontinuità. In questo modo il pensiero matematico di Bugaev si indirizzava quasi esclusivamente sulla aritmologia. Per questo matematico russo la vita dell’universo dipende non dalla causalità che lega le leggi psico-fisiche, ma dagli elementi del mondo, tra cui in primis vi è l’essere umano. Costui, con la sua volontà libera, è in grado di agire in maniera autonoma all’interno del processo evolutivo dell’universo verso la sua perfezione, o come dirà in seguito Florenskij, verso la sua divinizzazione.

 La perfezione di cui tratta Bugaev non è tanto il faticoso piegarsi dell’essere umano alle leggi inscritte nell’universo, quanto, invece, la ricerca della verità, di quella Verità che è Dio e che accompagna il graduale cammino dell’uomo verso la sua piena realizzazione. Il pensiero del matematico russo è denominato “monadologia evolutiva”, dato che pone nella monade l’elemento vivo. Questa monade è caratterizzata dalla costanza e dall’essere capaci di cambiamenti coscienti. Le monadi sono tutte diverse tra loro e possono entrare in relazione l’una con l’altra, influendo una sull’altra. Lo scopo dell’esistenza della monade è prettamente etico: essa deve perfezionarsi e perfezionare le altre monadi. Con la sua volontà la monade può decidere di realizzare il bene. Florenskij non rimane indifferente alle provocazioni matematiche di Bugaev, tanto che inizia a coltivare il desiderio di concretizzare la matematica, non rendendola un mero insieme di formule.

Oltre Bugaev, Cantor. Grazie a quest’ultimo il giovane Pavel incontra la teoria degli insiemi e l’idea di gruppo. Per il matematico tedesco con “gruppo” si deve intendere un insieme in cui si trovano degli elementi che lo costituiscono e che sono distinti tra loro. In questa idea Florenskij trova l’armonia tra quelli che sono i due concetti fondamentali della filosofia, l’uno ed il molteplice. Ma c’è di più. In Cantor il nostro filosofo russo intuisce l’esistenza dell’infinito nelle condizioni del finito. Infatti il matematico tedesco si era occupato principalmente dell’infinità attuale, da lui pensata in un duplice modo, cioè sia come ciò che è maggiore di ogni realtà finita sia come ciò che è in relazione con una realtà più grande di essa, detta “sovrafinità”. Secondo Cantor, in maniera più concreta, si può ritenere di venire in contatto con l’infinità attuale in tre modi: in maniera assoluta e perfetta (Absolutum), nel mondo creato (Transfinito) e in maniera spirituale ed astratta nei numeri transfiniti, i quali sono il simbolo dell’infinito.

Da quanto abbiamo cercato di mostrare si comprende come la matematica, secondo Florenskij, sia considerata come quella disciplina che può permettergli la conoscenza della verità sull’uomo e su Dio, sul finito e sull’Infinito e su ciò che li lega insieme. Il filosofo russo vuole sapere chi sia Dio e chi sia l’uomo, per cui la sua filosofia della religione segue una duplice via, quella della teodicea e quella della antropodicea. Due percorsi distinti ma al tempo stesso inseparabili. E la cosa interessante è proprio il considerare come la matematica sia stata una delle principali porte (oltre alle sue esperienze risalenti all’infanzia o a quelle religiose) che lo hanno condotto a filosofare, ossia alla ricerca dell’unica Verità. Così scrive nella lettera seconda dedicata al dubbio ne La colonna e il fondamento della verità:

 

Io non ho la Verità in me, ma l’idea della Verità mi brucia; non ho i dati per affermare che cosa sia la Verità e che io la raggiungerò […]. Tuttavia l’idea della Verità brucia in me come “fuoco divoratore” e la segreta speranza di incontrarla a faccia a faccia incolla la mia lingua al palato; è essa il torrente infuocato che mi ribolle e gorgoglia nelle vene.

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