sabato 7 febbraio 2015

Non confondiamo il monoteismo con il "monoterrorismo"


Monoteismo e violenza: quale connubio? La religione è veramente la causa delle molteplici guerre presenti nel mondo? Sempre più tra gli intellettuali odierni sta tornando in auge la tesi che mostra come il concetto di “monoteismo” nasconda in sé una specie di giustificazione religiosa della violenza. L’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo, con la loro fede in un solo Dio, si troverebbero, allora, ad essere la manifestazione dell’anti-umanesimo. Tutti i popoli, però, nutrono in sé la ricerca dell’infinito e dell’assoluto e si pongono domande inerenti l’origine e la destinazione dell’universo. Essi trovano nella fede monoteista una risposta, quella della potenza dell’amore, la quale è ben altra cosa dall’amore della potenza. Il sostenere il contrario, secondo il teologo Pierangelo Sequeri, dovrebbe essere considerato come un vero tradimento nei confronti di milioni di uomini e donne che, con dedizione ed umanità, appartengono a queste religioni definite “rivelate”.

Spesso l’opinione pubblica accusa le religioni abramitiche di essere state, e di essere tutt’oggi, il focolaio delle guerre presenti nel mondo. In realtà è bene sottolineare come la religione abbia da sempre risentito della incoerenza e della infedeltà dell’essere umano, il quale a volte ha strumentalizzato la stessa religione. A dover essere posta, infatti, nel banco degli imputati dovrebbe essere non tanto la religio quanto la ratio illuminista, la quale, esaltata come strumento di libertà ed uguaglianza, sempre più ha acconsentito a divenire uno strumento della violenza. A partire dall’epoca moderna, infatti, si è assistito alla progressiva nascita di un altro tipo di monoteismo, quello “razionale”, che ha mostrato come l’ateismo e la secolarizzazione possano essere veramente devastanti. L’essere umano non ponendo Dio come l’Altro con il quale relazionarsi e confrontarsi, si è fatto vittima del suo delirio di onnipotenza, divenendo egli stesso un “dio”, ma questa volta perverso ed assassino.

Il messaggio contenuto all’interno dei libri sacri delle religioni monoteiste porta alla conclusione che il rivelarsi di Dio e la sua alleanza con l’essere umano ha come fine la manifestazione della sua misericordia e della sua giustizia. Riprendendo il magistero di Benedetto XVI la Commissione Teologica Internazione (CTI) ha sottolineato come l’amore non debba mai essere separato dalla giustizia e dalla ragione, se non vuole giungere alla legittimazione della sopraffazione dell’altro o all’affermazione indiscriminata dell’autofilia. Nel monoteismo cristiano il Crocefisso ci mostra come possa essere considerata contraddittoria la violenza compiuta “in nome di Dio”. La lotta in nome di Dio, infatti, non deve essere praticata tra i popoli affinché uno domini sull’altro o la religione di uno su quella dell’altro. Essa è, in realtà, la dura battaglia che ogni credente deve portare avanti contro i suoi stessi limiti, contro le sue mancanze di amore, contro ciò che ottenebra il suo spirito.

Molti propongono come soluzione di ritornare ad una fede politeista, ritenendo che solo essa potrebbe essere fautrice di un maggior clima di tolleranza all’interno della nostra società multietnica e multirazziale. Ma non mi sembra affatto che il politeismo si sia mostrato nella storia dell’umanità portatore di ciò, visti i suoi molteplici racconti di lotte tra le divinità e di persecuzioni contro fedeli di altre religioni (ricordiamo per esempio, quanto fatto dall’imperialismo ellenista nei confronti di coloro che appartenevano alla religione ebraica e che viene narrato nel Primo e Secondo libro dei Maccabei). Il credere in un solo Dio, all’interno della religione ebraica e islamica, è stato il frutto di un lento e progressivo processo di purificazione della fede politeista da parte di questi antichi popoli, a partire dalla rivelazione di un Dio che vuole essere il Salvatore di tutte le genti e il Creatore dell’universo. Secondo la CTI il monoteismo è stato giudicato da molti studiosi della storia della civiltà umana come «la forma culturalmente più evoluta della religione: ossia, il modo di pensare il divino più coerente con i principi della ragione». Questo Dio vuole condurre l’uomo al superamento di ogni conflitto per divenire il senso della sua vita, il suo principio e il suo fine. È quindi illogico chiamare in causa Dio in quegli episodi nei quali la violenza dicesi essere richiesta da Dio stesso. Dio è relazione, Dio si trova nella relazione, nel dialogo, e non incita alla violenza, dato che questa produce solo la fine di ogni relazione.

La violenza, allora, è il frutto dell’uomo e colpisce Dio rendendolo una sua vittima. Il Dio unico è il padre di tutti gli uomini e, in quanto tale, desidera la pace per tutti. Non così, invece, il “monoterrorismo”, che crede di porre la fede nell’unico Dio come giustificazione del suo terrificante operato. Dinanzi alla violenza perpetuata nei confronti della sua persona, Gesù comanda al suo discepolo di non fare altrettanto, ma di “riporre la spada nel fodero” (Gv 18,11). Mentre, infatti, l’amore per la potenza costruisce il suo dominio generando il terrore e la paura attraverso l’uccisione di molte persone, la potenza dell’amore e della fede fa del tutto per risparmiare il sangue altrui fino al sacrificio di se stessi.

L’essere umano, inoltre, mira alla conoscenza della verità tramite la fede e la ragione. Queste ultime non sono nemiche o ostili tra loro, ma traggono forza l’una dall’altra. La fede, infatti, è sostenuta dall’intelligenza così come è desiderio dell’intelletto l’indagare il mistero e il raggiungere la sua comprensione (Agostino, Tommaso, Florenskij). Ma ciò non può essere accompagnato da manifestazioni di violenza. Afferma il teologo domenicano Gilles Emery: «Il riconoscimento della verità non comporta né violenza né intolleranza. L’adesione al vero suscita la gioia e il desiderio di comunicare la verità ad altri, proprio per mezzo dell’intelligenza, e dunque senza violenza». Dio, quindi, provoca la ragione umana e libera la libertà dell’uomo promuovendo la ricerca della verità. Il “monoterrorismo” taccia, invece, l’anelito di verità presente nell’essere umano come un pericolo e così cerca di limitare con la violenza l’autonomia del soggetto, privandolo della sua libertà. Chi possiede la verità deve dominare sugli altri che ne sono privi. Il “monoterrorismo” presenta così il tipico connubio verità-volontà di potenza, proprio dei fondamentalismi religiosi, che però lo pone ben lontano dall’essere una religione autentica. Quest’ultima, infatti, come ogni vero umanesimo, è sempre contraddistinta dal rispetto per gli altri e per Dio, cosa di cui il “monoterrorismo” è privo.

Dinanzi ai dolorosi avvenimenti che si susseguono in questi giorni mi sembra importante sottolineare come la fede monoteista abbia il grande pregio di esaltare l’unicità e l’unità della persona umana, favorendo un’etica della relazione e della cura fra gli individui. Il “monoterrorismo”, invece, non è altro che una corruzione della religione dovuta ad interessi economici e politici. Esso si serve della religione di alcuni popoli per soggiogarli e dominarli ed è una vera minaccia per l’essere umano e per tutta la società. La risposta ad esso non può consistere né nell’ateismo né nel politeismo, in quanto il primo annullerebbe e vanificherebbe i desideri che albergano nell’animo dell’essere umano, mentre il secondo non apporterebbe affatto una maggiore tolleranza. Al “monoterrorismo”, a mio parere, può far fronte solo una fede monoteista che si mostri credibile, in quanto non si rende portavoce della frammentarietà nella quale si vuole dissolvere l’esistenza dell’essere umano, ma che sa praticare la via del dialogo e testimoniare l’unità e la semplicità di un Dio appassionato dell’uomo in quanto suo creatore. Parafrasando, quindi, ciò che sosteneva Voltaire nel Trattato sulla tolleranza: “Se volete credere in Dio, siate martiri e non carnefici”.

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