Monoteismo e violenza:
quale connubio? La religione è veramente la causa delle molteplici guerre
presenti nel mondo? Sempre più tra gli intellettuali odierni sta tornando in
auge la tesi che mostra come il concetto di “monoteismo” nasconda in sé una
specie di giustificazione religiosa della violenza. L’ebraismo, il
cristianesimo e l’islamismo, con la loro fede in un solo Dio, si troverebbero,
allora, ad essere la manifestazione dell’anti-umanesimo. Tutti i popoli, però,
nutrono in sé la ricerca dell’infinito e dell’assoluto e si pongono domande
inerenti l’origine e la destinazione dell’universo. Essi trovano nella fede
monoteista una risposta, quella della potenza
dell’amore, la quale è ben altra cosa dall’amore della potenza. Il sostenere il contrario, secondo il teologo
Pierangelo Sequeri, dovrebbe essere considerato come un vero tradimento nei
confronti di milioni di uomini e donne che, con dedizione ed umanità,
appartengono a queste religioni definite “rivelate”.
Spesso l’opinione
pubblica accusa le religioni abramitiche di essere state, e di essere
tutt’oggi, il focolaio delle guerre presenti nel mondo. In realtà è bene
sottolineare come la religione abbia da sempre risentito della incoerenza e
della infedeltà dell’essere umano, il quale a volte ha strumentalizzato la
stessa religione. A dover essere posta, infatti, nel banco degli imputati dovrebbe
essere non tanto la religio quanto la
ratio illuminista, la quale, esaltata
come strumento di libertà ed uguaglianza, sempre più ha acconsentito a divenire
uno strumento della violenza. A partire dall’epoca moderna, infatti, si è assistito
alla progressiva nascita di un altro tipo di monoteismo, quello “razionale”, che
ha mostrato come l’ateismo e la secolarizzazione possano essere veramente
devastanti. L’essere umano non ponendo Dio come l’Altro con il quale relazionarsi
e confrontarsi, si è fatto vittima del suo delirio di onnipotenza, divenendo
egli stesso un “dio”, ma questa volta perverso ed assassino.
Il messaggio contenuto
all’interno dei libri sacri delle religioni monoteiste porta alla conclusione
che il rivelarsi di Dio e la sua alleanza con l’essere umano ha come fine la manifestazione
della sua misericordia e della sua giustizia. Riprendendo il magistero di
Benedetto XVI la Commissione Teologica Internazione (CTI) ha sottolineato come
l’amore non debba mai essere separato dalla giustizia e dalla ragione, se non
vuole giungere alla legittimazione della sopraffazione dell’altro o
all’affermazione indiscriminata dell’autofilia. Nel monoteismo cristiano il Crocefisso
ci mostra come possa essere considerata contraddittoria la violenza compiuta
“in nome di Dio”. La lotta in nome di Dio, infatti, non deve essere praticata
tra i popoli affinché uno domini sull’altro o la religione di uno su quella
dell’altro. Essa è, in realtà, la dura battaglia che ogni credente deve portare
avanti contro i suoi stessi limiti, contro le sue mancanze di amore, contro ciò
che ottenebra il suo spirito.
Molti propongono come soluzione
di ritornare ad una fede politeista, ritenendo che solo essa potrebbe essere
fautrice di un maggior clima di tolleranza all’interno della nostra società
multietnica e multirazziale. Ma non mi sembra affatto che il politeismo si sia
mostrato nella storia dell’umanità portatore di ciò, visti i suoi molteplici
racconti di lotte tra le divinità e di persecuzioni contro fedeli di altre
religioni (ricordiamo per esempio, quanto fatto dall’imperialismo ellenista nei
confronti di coloro che appartenevano alla religione ebraica e che viene
narrato nel Primo e Secondo libro dei Maccabei). Il credere
in un solo Dio, all’interno della religione ebraica e islamica, è stato il
frutto di un lento e progressivo processo di purificazione della fede
politeista da parte di questi antichi popoli, a partire dalla rivelazione di un
Dio che vuole essere il Salvatore di tutte le genti e il Creatore
dell’universo. Secondo la CTI il monoteismo è stato giudicato da molti studiosi
della storia della civiltà umana come «la forma culturalmente più evoluta della
religione: ossia, il modo di pensare il divino più coerente con i principi
della ragione». Questo Dio vuole condurre l’uomo al superamento di ogni
conflitto per divenire il senso della sua vita, il suo principio e il suo fine.
È quindi illogico chiamare in causa Dio in quegli episodi nei quali la violenza
dicesi essere richiesta da Dio stesso. Dio è relazione, Dio si trova nella
relazione, nel dialogo, e non incita alla violenza, dato che questa produce
solo la fine di ogni relazione.
La violenza, allora, è
il frutto dell’uomo e colpisce Dio rendendolo una sua vittima. Il Dio unico è
il padre di tutti gli uomini e, in quanto tale, desidera la pace per tutti. Non
così, invece, il “monoterrorismo”, che crede di porre la fede nell’unico Dio
come giustificazione del suo terrificante operato. Dinanzi alla violenza
perpetuata nei confronti della sua persona, Gesù comanda al suo discepolo di
non fare altrettanto, ma di “riporre la spada nel fodero” (Gv 18,11). Mentre,
infatti, l’amore per la potenza costruisce il suo dominio generando il terrore
e la paura attraverso l’uccisione di molte persone, la potenza dell’amore e
della fede fa del tutto per risparmiare il sangue altrui fino al sacrificio di
se stessi.
L’essere umano,
inoltre, mira alla conoscenza della verità tramite la fede e la ragione. Queste
ultime non sono nemiche o ostili tra loro, ma traggono forza l’una dall’altra.
La fede, infatti, è sostenuta dall’intelligenza così come è desiderio
dell’intelletto l’indagare il mistero e il raggiungere la sua comprensione
(Agostino, Tommaso, Florenskij). Ma ciò non può essere accompagnato da manifestazioni
di violenza. Afferma il teologo domenicano Gilles Emery: «Il riconoscimento
della verità non comporta né violenza né intolleranza. L’adesione al vero
suscita la gioia e il desiderio di comunicare la verità ad altri, proprio per
mezzo dell’intelligenza, e dunque senza violenza». Dio, quindi, provoca la
ragione umana e libera la libertà dell’uomo promuovendo la ricerca della
verità. Il “monoterrorismo” taccia, invece, l’anelito di verità presente nell’essere
umano come un pericolo e così cerca di limitare con la violenza l’autonomia del
soggetto, privandolo della sua libertà. Chi possiede la verità deve dominare
sugli altri che ne sono privi. Il “monoterrorismo” presenta così il tipico
connubio verità-volontà di potenza, proprio dei fondamentalismi religiosi, che
però lo pone ben lontano dall’essere una religione autentica. Quest’ultima,
infatti, come ogni vero umanesimo, è sempre contraddistinta dal rispetto per
gli altri e per Dio, cosa di cui il “monoterrorismo” è privo.
Dinanzi ai dolorosi
avvenimenti che si susseguono in questi giorni mi sembra importante sottolineare
come la fede monoteista abbia il grande pregio di esaltare l’unicità e l’unità
della persona umana, favorendo un’etica della relazione e della cura fra gli
individui. Il “monoterrorismo”, invece, non è altro che una corruzione della
religione dovuta ad interessi economici e politici. Esso si serve della
religione di alcuni popoli per soggiogarli e dominarli ed è una vera minaccia
per l’essere umano e per tutta la società. La risposta ad esso non può
consistere né nell’ateismo né nel politeismo, in quanto il primo annullerebbe e
vanificherebbe i desideri che albergano nell’animo dell’essere umano, mentre il
secondo non apporterebbe affatto una maggiore tolleranza. Al “monoterrorismo”,
a mio parere, può far fronte solo una fede monoteista che si mostri credibile,
in quanto non si rende portavoce della frammentarietà nella quale si vuole
dissolvere l’esistenza dell’essere umano, ma che sa praticare la via del
dialogo e testimoniare l’unità e la semplicità di un Dio appassionato dell’uomo
in quanto suo creatore. Parafrasando, quindi, ciò che sosteneva Voltaire nel Trattato sulla tolleranza: “Se volete credere
in Dio, siate martiri e non carnefici”.
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