La domanda se siamo soli nell’universo continua ad affascinare l’opinione pubblica e gli scienziati. Perfino Papa Francesco, parlando dello Spirito Santo che spinge sempre la Chiesa oltre i limiti, si poneva questo interrogativo nell’omelia della messa a Santa Marta il 12 maggio 2014: «Se domani venisse una spedizione di marziani, per esempio, e alcuni di loro venissero da noi, ecco... marziani, no? Verdi, con quel naso lungo e le orecchie grandi, come vengono dipinti dai bambini (...). E uno dicesse: “Ma, io voglio il battesimo!”. Cosa accadrebbe?».La domanda sulla vita extraterrestre è una costante nella storia del pensiero filosofico e religioso. Nel secolo XIII Alberto Magno commentava: «Dal momento che una delle questioni più meravigliose e nobili in natura è se c’è un mondo o molti (...). Sembra opportuno indagare». Tra i filosofi greci il dibattito della pluralità dei mondi è stato più intenso tra gli epicurei (a favore della pluralità) e gli aristotelici (a favore di unicità). Niccolò Cusano aveva sostenuto l’idea di altri mondi abitati, speculando sulla natura degli alieni. Giordano Bruno adottò l’eliocentrismo di Niccolò Copernico trasformandolo in una visione dell’universo infinito ed eterno con stelle, come il sole, con mondi circostanti e abitati. Bruno criticò Copernico perché si era fermato alla matematica, non affrontando i problemi filosofici della nuova visione del mondo. Così per Bruno, la terra è un pianeta simile ad altri che possono essere chiamate “altre terre”. Meno noto è il caso dell’astronomo gesuita Angelo Secchi, uno dei fondatori della moderna astrofisica, direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano. Secchi nel XIX secolo si occupò dell’esistenza di altri mondi abitati, di cui era convinto.La nostra galassia contiene più di cento miliardi di stelle. Considerando il numero di pianeti extrasolari scoperti, sembra che la stragrande maggioranza delle stelle nella nostra galassia sia, almeno potenzialmente, in grado di avere dei pianeti in cui la vita si sarebbe potuta sviluppare. Anche se non sappiamo con certezza se il fenomeno “terra” sia raro o comune. Come segnala Sara Seager, esperto mondiale nel campo dei pianeti extrasolari: «Quando e se troveremo che le altre terre sono comuni e vedremo che alcune di loro hanno segni di vita, avremo finalmente completato la rivoluzione copernicana, uno spostamento finale e concettuale della terra, e dell’umanità, lontano dal centro dell’universo. La rilevazione e la caratterizzazione di mondi abitabili sono la promessa e la speranza della ricerca dei pianeti extrasolari».Poche settimane fa sono stato invitato dal Nasa Ames Research Center per tenere una conferenza sul futuro dell’universo. Durante la visita, ho avuto il privilegio di incontrare il team della missione Kepler. Mi sono sentito molto onorato da William Borucki, ricercatore principale del telescopio spaziale Kepler, che molto gentilmente mi ha fatto una presentazione della missione. Ho potuto apprendere di prima mano non solo l’importanza dei risultati scientifici, ma anche di tutto lo sforzo che un’impresa del genere comporta. Con questa scoperta, e con quelle immagini che sono arrivati dal lontano Plutone nei giorni scorsi, abbiamo avuto l’occasione di constatare che la scienza è portata avanti da un team e non da singoli. Inoltre abbiamo potuto osservare che per arrivare a risultati scientifici importanti c’è bisogno di pazienza e tempo. Ci sono voluti quasi dieci anni per arrivare a Plutone e venti anni dalla scoperta del primo pianeta extrasolare per rilevare l’esistenza di un’altra terra. La collaborazione e la pazienza sono alcune delle virtù che possiamo imparare dagli scienziati e che possono ispirare le giovani generazioni.La ricerca astrobiologica — con le domande e il fascino che suscita negli scienziati e nell’opinione pubblica — apre una strada di frontiera, verso le periferie, esistenziali e fisiche, più lontane e più profonde. Mentre tutto ciò che possiamo fare è aspettare con pazienza le sorprese di Dio: «Vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Genesi 1, 31), sapendo che Egli è la prima e l’ultima Parola, la definitiva.
di José Gabriel Funes