venerdì 26 febbraio 2016

La misericordia e le sfide della contemporaneità



Il nucleo della Evangelii gaudium ruota intorno alla figura del “discepolo-missionario” come dimensione permanente dell’evangelizzatore. Costui è chiamato ad annunciare un vangelo di misericordia sapendo che non ne potrà mai essere né il padrone né il maestro, ma il custode e il discepolo. Dinanzi al Vangelo non si fa carriera accademica ma si resta sempre scolari, non ne si diviene “ordinari” ma servi.

Papa Francesco, inoltre, compie la scelta preferenziale di percorrere la via della misericordia come percorso di annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo è inserita all’interno della opzione fondamentale di amore sincero e totale verso i poveri. Sono gli anawim biblici, i piccoli e miserabili, ad essere oggetto dell’attenzione della cura del nostro Pontefice. Aumenta sempre più il numero di coloro che si sentono ridotti alla condizione di  persone “orfane”, “sole”, “emarginate”, vittime di un bullismo praticato sociale ed economico nel quale si viene sempre più ridotti ad “avanzi e scarti urbani”. Proprio in questa società avversa ad una esistenza che possa definirsi umana, diviene assolutamente indispensabile per il Papa recuperare una visione dell’altro come “il sacramento di Dio”. L’altro è sacro, evidenzia l’Evangelii gaudium, è terra sacra, la quale deve essere calpestata con ossequioso rispetto, attenzione e cura. L’altro è sacro, in quanto dovrebbe ripresentare la grandezza e la sacralità di Dio.

Ma non solo. L'altro diviene anche “specchio” del mio modo di amarmi. L’altro è così misura del perdono di cui sono capace verso me stesso, di accettazione delle mie pause, dei miei bisogni. Il mio rapporto con il prossimo diviene la cartina al tornasole della relazione d’amore o meno che sto intessendo con me stesso, la quale diviene di assoluta importanza secondo l’esortazione evangelica di amare gli altri come se stessi.  L’altro interpella e provoca la mia capacità di cura nei confronti del prossimo, dove curare è ri-alzare gli altri, ri-donare dignità ed onore agli altri, ri-arricchire gli altri di speranza volgendo il loro sguardo al futuro di Dio. E la cura del prossimo passa sempre attraverso l’attenzione al volto del prossimo, un volto che, se non guardato, diviene materia senza vita, come amava affermare lo scrittore svizzero Max Picard.

Le opere di misericordia corporale e spirituale non esigono una scelta di fede religiosa, ma il loro esercizio pone in risalto l’umanità di cui l’essere umano è capace. Esse vanno a compensare delle omissioni di bene nelle quali molte volte ognuno incappa anche a causa di distrazione, superficialità e mancanza di cura verso chi ci vive ed abita accanto. Il Catechismo delle Chiesa Cattolica ne parla a commento del settimo comandamento, quello che ordina di non rubare, proprio perché il non praticarle rappresenta dei furti di umanità che si compiono nei confronti dell’altro senza nemmeno esserne coscienti. Secondo l’Evangelii gaudium, queste opere siano delle vere e proprie risposte nei confronti di quei mali e sfide della società odierna che sono l’individualismo, la ricerca di tornaconti personali, l’attenzione al prestigio, il calo di fervore nella missione che svolgiamo.

Papa Francesco fa della misericordia non solo il nucleo dell’annuncio evangelico ma anche una questione di stile: la misericordia va annunciata con misericordia, utilizzando un linguaggio materno, che sappia parlare al cuore delle persone ed essere vicino alla storia di coloro che lo ricevono. Un annuncio che più che essere gridato va mostrato con gesti concreti di natura corporale o spirituale, come sono le opere di misericordia. Esse nutrono il cuore delle persone, poiché trovano nel cuore dell’essere umano la loro origine, misurandone la grandezza d’animo piuttosto che la debolezza. Lo stile della misericordia è quindi la premura, l’occuparsi e il pre-occuparsi dell’altro in quanto sacramento di Dio e terra sacra da custodire e coltivare.

Ma quale relazione tra misericordia e giustizia? Una relazione strettissima, come si evince dalla tradizione della Chiesa, con Ambrogio che definiva Gesù “giudice giusto” in quanto “giudice buono”, e dal magistero pontificio di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Proprio quest’ultima ricordava nella sua enciclica sociale, Caritas in veritate (2009), come la giustizia e la misericordia appartengano all’unico amore del Cristo, la prima essendone la misura minima, la seconda la sua sovrabbondanza. Per cui ha ragione il cardinal Walter Kasper a definire la misericordia come la "giustizia specifica di Dio".


venerdì 12 febbraio 2016

L'orbita della formica

Nella mattinata dell'11 febbraio scorso, alcuni scienziati del Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (LIGO) hanno annunciato il primo rilevamento di onde gravitazionali. La scoperta è stata un’importante conferma di una predizione fatta per la prima volta dalla teoria della relatività generale di Einstein, pubblicata poco più di cento anni fa, nel novembre 1915.
La fisica di Newton aveva chiamato in causa il concetto di gravità come forza per spiegare i movimenti dei pianeti intorno al sole, oppure la caduta di una mela sulla Terra. Ma Newton aveva descritto solo il comportamento della gravità; non aveva mai cercato di comprendere che cosa la gravità realmente fosse. Quando gli fu chiesto di spiegare quella forza misteriosa, come è noto rispose: “hypotheses non fingo” (non invento ipotesi).
Una simulazione computerizzata dell’influenza delle masse solare e terrestre sulla struttura spazio tempo (Reuters)
Più di duecento anni dopo, però, Einstein propose una spiegazione della gravità nella sua teoria della relatività generale. Spazio e tempo, suggeriva, sono solo dimensioni diverse di una realtà chiamata spazio-tempo; e la gravità è la curvatura di spazio-tempo.
È difficile per noi immaginare come un normale spazio tridimensionale possa essere “curvato”. Ma se si immagina che lo spazio sia solo un piano bidimensionale, la presenza di un oggetto massiccio piegherebbe quello spazio proprio come un grande peso posto su un foglio di gomma darebbe a questo foglio una forma distorta. Una formica che camminasse sul foglio deformato finirebbe col girare e girare intorno al peso, poiché la curva nella gomma curverebbe il suo cammino. Allo stesso modo, suggeriva Einstein, i pianeti orbitano intorno a una stella perché la massa della stella ha curvato lo spazio circostante, trasformando un movimento retto in un sentiero attorno alla stella.
Ma se lo spazio-tempo può essere curvato, è possibile che quella curvatura agisca come un’onda che si allontana dalla fonte della distorsione? All’inizio lo stesso Einstein non ne era certo; dopo aver suggerito proprio questo effetto quando per la prima volta descrisse la relatività generale, in seguito cambiò più volte idea prima di concludere matematicamente che tali onde erano inevitabili.
Il rilevamento di giovedì è un trionfo sia della fisica teorica sia di quella sperimentale. I fisici teorici erano riusciti a calcolare esattamente che sorta di segnali questo rilevatore avrebbe potuto captare e che cosa sarebbe stato necessario per poterlo fare; quelli sperimentali erano riusciti a ideare esattamente il tipo di strumento d’alta precisione che occorreva per rilevarli.
Più che limitarsi a confermare la teoria di Einstein, l’esperimento è anche già all’altezza del suo nome di “osservatorio”. Con questo rilevamento, l’equipe del LIGO non ha solo dimostrato che le onde gravitazionali esistono; ha anche imparato qualcosa di nuovo sui buchi neri, oggetti che non è mai stato possibile vedere direttamente, poiché la loro massa e densità impedisce alla luce o alle onde radio di sfuggire alla loro gravità.
Guy Consolmagno
Direttore della Specola Vaticana

martedì 9 febbraio 2016

Il Novecento: dominio del terrore

Il problema che la storia del Novecento, con il suo susseguirsi di genocidi, sistemi concentrazionari, stermini e migrazioni forzate ci pone, è anche il problema di trovare un filo rosso che li colleghi, che leghi fra loro le più o meno diverse violenze di Stati a percorsi ideologici differenti, quali la Turchia dei Giovani Turchi, la Germania nazista, il sistema del terrore nell’Impero sovietico. Che trovi costanti e uniformità in episodi di violenza di massa ognuno diverso e specifico, ma tutti caratterizzati dal fatto di contrapporre “l’atroce all’umano”, per usare la terminologia adoperata da Claudio Vercelli nel suo libro “Il dominio del terrore.
Un gulag sovietico
Deportazioni, migrazioni forzate e stermini nel Novecento” (Salerno Editrice, pagine 166, euro 12), dedicato al dominio del terrore nel secolo XX. Lo scrive Anna Foa, aggiungendo che uno dei fili attraverso cui si dipana l’analisi di Vercelli è quello dell’istituzione “campo di concentramento”, un’invenzione della fine dell’Ottocento perfezionatasi nel Novecento, dalle prime forme embrionali con la guerra di secessione americana, alla guerra di Cuba del 1896-98 fino alla guerra anglo-boera, dove viene introdotto il filo spinato, divenuto oggi simbolo del campo. Poco usati, se non come campi di transito, nel grande genocidio armeno, i campi di concentramento, già presenti nell’URSS degli anni Venti, vedono il loro culmine negli anni Trenta del secolo, nel nascere dopo il 1933 del sistema concentrazionario nazista, e nel formarsi di quello sovietico con il gulag (il gulag, non i gulag, dal momento che si tratta di un acronimo per il burocratese Direzione principale dei campi di lavoro collettivo).
Il salto qualitativo è introdotto dal campo di sterminio, cioè nella trasformazione del campo da campo di lavoro forzato sia pure ad altissimo degrado e mortalità, a campo di sterminio pianificato attraverso l’introduzione delle camere a gas. Un salto che viene compiuto dai soli nazisti.
Il volume va oltre la fine del nazismo e del comunismo e del loro sistema concentrazionario. Esso arriva all’oggi, attraverso un’analisi a volo d’uccello sia sul dopoguerra e sulla risistemazione dei rapporti politici ed etnici sia sui genocidi più recenti: dall’autogenocidio di Pol Pot ai genocidi in Ruanda e in Bosnia, a pochi chilometri dai confini dell’Unione Europea. Genocidi non ancora del tutto relegati al passato, che possono lasciare spazio a nuovi massacri. Fino ai nessi tra i massacri del Medioriente (in particolare, in Siria) e i grandi fenomeni migratori che si riacutizzano oggi. Se quella delineata da Vercelli è la storia del Novecento, il secolo che abbiamo iniziato non lascia presagire molto di meglio.

venerdì 5 febbraio 2016

I "grandi passi" della Chiesa



Alle ore 20.24 del 13 marzo 2013 il cardinale Bergoglio, in quel momento già papa Francesco, si
affaccia alla loggia della Basilica vaticana rivolgendo ai fedeli di tutto il mondo il suo saluto: «Buonasera». Il primo pontefice sudamericano non sapeva cosa dire a tutte quelle persone che puntavano gli occhi su di lui, alle quali egli ha offerto la semplicità e la premura di un saluto affettuoso. Un saluto che contiene una benedizione, ormai scontata per tutti noi che lo pronunciamo con vana routine. Ma è proprio in quel “buonasera” che possiamo rileggere il programma degli eventi che hanno interessato la chiesa in questi ultimi mesi facendole compiere dei “grandi passi” di rinnovamento spirituale con l’unico progetto di vedere ogni essere umano come il sacramento di Dio.
A Firenze, il papa ha avuto modo nel mese di novembre di incontrare la Chiesa italiana, radunata in questa bellissima città d’arte per riflettere sul nuovo umanesimo offertole da Cristo. Non si è presentato alla fine, per chiudere il convegno nazionale, come di consueto facevano i precedenti pontefici, ma all’inizio per darne le linee guida. Quale immagine di Chiesa ha raffigurato papa Francesco a Firenze? Una Chiesa che vive in mezzo alla sua gente, che tocca l’esperienza quotidiana del suo popolo, inquieta ma non ossessionata da potere e bramosie di carriera. Una Chiesa che si pone dalla parte dei poveri e del dialogo.
Una Chiesa che sa comunicare, che sa prendere decisioni confrontandosi insieme per saper rispondere alle sofferenze e ai problemi della sua gente. È ciò che il mese prima, ad ottobre, papa Francesco chiedeva ai presuli convenuti per il Sinodo Straordinario sulla Famiglia per guardare in faccia i fallimenti di amore, le famiglie ferite  che spesso abitano ai margini delle varie comunità parrocchiali. Una Chiesa aperta agli altri, aperta per gli altri. Una Chiesa che sa leggere le realtà con gli occhi di Dio, che sa camminare insieme non diffondendo condanne ed anatemi, ma proclamando la misericordia di Dio.
Ed è ciò che il papa ha fatto concretamente con l’apertura della porta santa dell’anno giubilare straordinario della misericordia nella cattedrale di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, prima dell’apertura ufficiale nella basilica vaticana. Papa Francesco ha voluto così mostrare, da pioniere della misericordia, che Bangui è la capitale della misericordia e della preghiera in una terra piena di sofferenze e di scontri armati. La misericordia va oltre alla differenze di religione e di razza; la misericordia non appartiene ad una religione o ad una razza ben precisa. Così il pontefice è salito sulla papamobile insieme all’imam del luogo per salutare le persone convenute, gesto che è stato recentemente contraccambiato dalla comunità islamica di Roma, la quale per la prima volta ha invitato un pontefice ad entrare nella moschea capitolina. Come ha recentemente evidenziato il Presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, Izzedin Elzir, papa Francesco «non è solo un bene per il mondo cristiano ma per tutta la comunità perché sta trattando temi cari a credenti e a non credenti».

Giubileo ed indulgenza



Il 24 dicembre 1999, poco prima della Messa di Mezzanotte del Natale, il papa Giovanni Paolo II apriva, nella Basilica di San Pietro, la porta santa, dando avvio all’anno di misericordia e di grazia del Duemila. Passano poco più di quindici anni e papa Francesco ripete lo stesso gesto nella mattina dell’8 dicembre del 2015 inaugurando un anno santo straordinario della misericordia, straordinario in quanto l’anno giubilare dovrebbe essere celebrato ogni venticinque anni, secondo il decreto di papa Paolo II del 1470. Papa Francesco non poteva però aspettare tutto questo tempo, tanto era il suo ardore di immergere l’intera comunità cristiana (e non solo!) nel cuore del vangelo, ossia nella misericordia di Dio.
Ma cosa è nello specifico il “giubileo”? Questo termine deriva dall’ebraico Jobel, che era il corno
che si suonava all’inizio dell’anno sabbatico, voluto da Dio, secondo la legge mosaica, nello scadere di ogni cinquantesimo anno, e durante il quale non si lavorava la terra, venivano liberati gli schiavi e condonati i debiti. Nell’antico popolo di Israele venivano così chiamati tutti gli abitanti del paese per essere liberati dalla loro condizione di miseria, di sofferenza e di emarginazione.
La Chiesa cattolica riprende dalla tradizione ebraica la pratica del giubileo ed il primo sembra risalire al 1300 sotto il pontificato di Bonifacio VIII, il quale aveva esortato i cristiani a farse pellegrini presso la tomba degli apostoli Pietro e Paolo per invocare la remissione dei propri peccati. Il pellegrinaggio era considerato metafora del “cammino dell’essere umano”. Quest’anno, per la prima volta nella storia della Chiesa, la pratica giubilare non richiede di recarsi a Roma, in quanto il papa ha inviato ogni diocesi del mondo ad aprire delle porte sante in ogni luogo, affinché tutti possano fare esperienza dell’amore di Dio con sovrabbondanza.
Alla pratica del giubileo è legata anche un’indulgenza speciale, ossia la remissione della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa attraverso il sacramento della confessione, la contrizione del cuore ed  il proposito di non farli più. L’indulgenza, quindi, è l’espressione dell’amore paziente e misericordioso di Dio nei confronti dell’uomo peccatore. Oltretutto l’indulgenza connessa al giubileo è detta totale, dato che è una grazia straordinaria che guarisce completamente l’essere umano, rendendolo una nuova creatura.
Quale è il primo frutto della indulgenza? Condurre il fedele al ravvedimento, alla conversione, giustificandolo. E questo perché Dio è fedele. Come scriveva nel lontano 1918 il teologo Karl Barth, a commento della lettera di san Paolo apostolo ai Romani, la fedeltà di Dio può essere ingannata, ma non annullata, può incontrare ingratitudine ma non verrà mai ritirata da Dio. Essa, infatti, permane sopra il salire e il calare delle onde della storia, nonostante l’infedeltà umana, anzi, nella  storia infedele dell’essere umano.

martedì 2 febbraio 2016

NOVITA'

Sta per uscire in libreria il mio nuovo libro

IL DIO FEDELE

 della TAU editrice:



La resurrezione è soprammobile della fede cristiana o porta aperta sulla novità? La teologia ha faticato a mantenersi all’altezza del mistero pasquale di Cristo. Ci si rende conto che non si può farne a meno, ma finisce facilmente tra i silenzi obbligati. La resurrezione non fa share. Perché? E’ un problema solo di credibilità? Eppure duemila anni di cristianesimo sono la testimonianza più seria di una fede capace di scrivere la storia (dalla Prefazione di Bruno Bignami).