domenica 29 maggio 2016

Maria Signora della Premura



1.      A. Cura, sollecitudine verso persona, cosa, affare o problema che sta molto a cuore. Con senso concr., atto di attenzione affettuosa con cui tale sollecitudine si manifesta; spesso al plur.

B. estens. Urgenza, fretta: aver p., avere fretta: ho p. di arrivare, di sbrigare questa faccenda; sollecitare mostrando di aver fretta, di avere urgenza di qualche cosa; insistere, raccomandare caldamente. Di premura, come locuz. avv., di fretta: andare, lavorare di p.; come locuz. agg., urgente o, anche, importante, che preme, che sta a cuore: è un affare di premura.

2.      Scrive Franco Giulio Brambilla: «La premura è segno di una libertà ritrovata, di una scioltezza che ha liberato il proprio desiderio dalle pastoie di una ricerca ripiegata su di sé e l’ha immesso nel mare aperto della testimonianza» (Il Crocifisso risorto. Risurrezione di Gesù e fede dei discepoli, 19992, p.287).

3.      Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium sull’annuncio del vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013) papa Francesco fa riferimento a Maria usando il titolo di “Madre dell’Evangelizzazione” (nn. 284-287) e di “Signora della Premura” (n. 288) alla fine del quinto ed ultimo capitolo dedicato agli “evangelizzatori con Spirito”.

Ø  Maria è Signora della premura:

ü  Maria è colei che trasforma una grotta per animali nella casa di Gesù con alcune fasce e una montagna di tenerezza (n. 286)
ü  Maria è l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita
ü  Maria è colei che, avendo il cuore trafitto da una spada, comprende tutte le pene
ü  Maria è la donna della fede, che cammina nella fede (n. 287)
ü  Maria è la donna del nascondimento e della fatica negli anni trascorsi a Nazaret mentre Gesù cresceva
ü  In Maria l’umiltà e la tenerezza si mostrano non come virtù dei deboli, ma dei forti, ossia di coloro che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti (n. 288)
ü  Maria è “Signora della Premura” in quanto parte senza indugio (Lc 1, 39), “di fretta”  e “con inquietudine” per aiutare la cugina Elisabetta (cfr. meditazione del 15.06.2013 a santa Marta intitolata “La fretta del cristiano”)

Ø  Maria è Madre dell’evangelizzazione con Spirito:

o   perché prega e lavora (n. 262) senza guardare ai suoi doveri come un pesante obbligo da tollerare (n. 261)
§  fa esperienza di essere salvata da Dio e prova l’intenso desiderio di comunicarlo (n. 264)
§  nutre il desiderio di rimanere vicino alle piaghe di suo Figlio e della gente del suo popolo, toccandone la miseria umana
·         fuggire dagli altri è un lento suicidio
·         ogni uomo è immensamente sacro
§  vive la risurrezione e il senso del mistero
·         Dio può agire in qualsiasi circostanza anche in mezzo ad apparenti fallimenti
·         E’ Lui che rende fecondi i suoi sforzi

4.      Il 19 marzo 2013 nella omelia di inizio del ministero petrino papa Francesco parla della premura come custodia attraverso la figura di san Giuseppe. Su di lui tornerà il 21 dicembre 2013 nel discorso di augurio natalizio alla curia romana.

5.      Il 10 settembre 2013 nel discorso tenuto nel Centro Astalli per i rifugiati a Roma papa Francesco evidenzia come la solidarietà faccia paura al mondo sviluppato, a tal punto da considerarla quasi una “parolaccia” da non pronunciare.

6.      Il 16 gennaio 2014 salutando gli addetti di anticamera con i loro familiari evidenzia come la premura sia testimoniata dallo spirito di accoglienza e dall’amore per la Chiesa.


7.      Il 7 febbraio 2014 papa Francesco raccomanda in un suo discorso ai Pastori della Polonia, alla vigilia della canonizzazione del beato Giovanni Paolo II, di coltivare l’unità nella premura per il bene dei fedeli come punto di riferimento per coloro che cercano orientamento nel cammino di fede. La premura diviene bussola.

8.      Il 24 febbraio 2014 nel motu proprio Fidelis dispensator et prudens con il quale costituisce una nuova struttura di coordinamento degli affari economici e amministrativi della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, papa Franscesco raccomanda la premura nei confronti dei bisognosi come fine della responsabilità e dell’attenzione nella custodia dei propri beni.

9.      Il 15 giugno 2014 nel discorso di visita alla Comunità di Sant’Egidio a Trastevere il papa Francesco evidenzia la premura nei confronti degli stranieri contrassegnata dalla conoscenza e dall’aiuto.

10.  Il 23 novembre 2014 papa Francesco tiene una omelia per la canonizzazione di alcuni beati ed evidenzia quali siano i verbi che rimandano alla premura del pastore: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere.

11.  Il 17 dicembre 2014 nell’udienza generale dedicata alla famiglia papa Francesco entra nel mistero di Nazaret e sostiene come tutti (madri, padri e figli) hanno da apprendere molto guardando alla premura vissuta all’interno della Sacra Famiglia.


12.  Nella enciclica Laudato sì sulla cura della casa comune (24 maggio 2015) il termine “premura” non compare neanche una volta sostituito da quello di “cura” presente ben 92 volte. Possiamo sostenere che in questo caso i termini “premura” e “cura” indichino la stessa cosa dato che papa Francesco, il 14 giugno 2013, in un suo discorso, aveva raccomandato alla comunità degli scrittori de La civiltà cattolica di avere una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza di Dio come alleati nel “custodire con cura il creato” (nella lingua spagnola “custodiar con premura la creación”).

13.  Nell’esortazione apostolica Amoris laetitia sull’amore nella famiglia (19 marzo 2016) papa Francesco sottolinea come:
Ø  la verginità sia una forma di amore che rimanda alla premura per il Regno e all’urgenza di dedicarsi senza riserve al servizio della evangelizzazione (n. 159);
Ø  la premura sia indice del grado di fraternità che è presente nella famiglia (n. 195);
Ø  la premuta sia lo stile con cui la Chiesa deve accompagnare i suoi figli più fragili feriti nell’amore (n. 291)

* La mancanza di premura porta all’indifferenza, ossia all’atteggiamento di chiusura sistematica verso ogni generosità senza remore e senza rimorsi (Luciano Eusebi p. 90)
**Premura è misericordia, la quale è “il cuore pulsante del Vangelo” (Misericordiae vultus, n. 12)
*** La misericordia comporta (Luciano Eusebi, pp. 90-91):
-          giustizia di inclusione che giustifica il penitente progettando un percorso di recupero non finalizzato alla semplice condanna, che il più delle volte non fa altro che riprodurre il male
-          perdono, non inteso come ignorare il male ricevuto ma come superamento del male
**** L’amore non elimina la giustizia: la giustizia è la misura minima dell’amore mentre l’amore è il massimo dell’impegno sociale (Benedetto XVI, Lettera enciclica sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità Caritas in veritate (2009), n.6.

Scrive il teologo Piero Coda nel suo Diario l’11 maggio 1995:
Mamma:
parola di luce
prima e spesso ultima,
che dell’esistere
disvela il segreto
in Colei che per noi
tutto racchiude
nell’unico Verbo della Vita,
Madre celeste
del Bell’Amore.

domenica 15 maggio 2016

La dimensione spirituale della scienza


Carissimi lettori, voglio riportare in questo blog un breve scritto di un mio amico professore di filosofia della scienza all'Università del Salento, Mario Castellana:

La vasta e non omogenea letteratura epistemologica, prodotta nell’intero Novecento, ha cercato di fare emergere quella che i suoi padri fondatori, come Federigo Enriques e Moritz Schlick, hanno chiamato rispettivamente  «la filosofia implicita» nelle scienze e la loro «anima filosofica in virtù della quale esse sono propriamente scienze». Ma dato che la dimensione filosofica «abita nel profondo di tutte le scienze, ma non in tutte è ugualmente pronta a rivelarsi»[1], è stato ed è ancora oggi più che mai necessario un lavorio costante di riflessione critica che faccia emergere le diverse articolazioni di tale ‘anima’, da quella più propriamente teoretico-conoscitiva a quella storica. Pertanto, i vari filoni di indagine venuti a maturazione in più paesi, che hanno arricchito di diverse ottiche e di precisi orientamenti quel vasto capitolo che è la filosofia della scienza, hanno indagato e indagano a vario modo la struttura e la storia del pensiero scientifico; com’è noto, si sono sviluppate diverse tradizioni di ricerca, a volte alternative fra di loro, ma nel loro insieme hanno contribuito a creare quello che abbiamo chiamato, sulla scia di Pierre Duhem e Ludovico Geymonat, un vero e proprio «patrimonio epistemologico» o, per dirla con Dario Antiseri, un autentico e sui generis «arsenale epistemologico-ermeneutico»[2] in grado di offrirci tecniche e strumenti concettuali sempre più adeguati a comprendere in profondità le diverse ‘anime’ della conoscenza scientifica. Ma tutti questi grandi, accesi e a volte pure contraddittori dibattiti hanno avuto come conseguenza la definitiva e irreversibile presa d’atto dell’autentico ‘valore’, nel senso di Henri Poincaré, culturale della scienza e della necessità di un sapere specifico in grado di comprenderne l’importanza strategica per ogni teoria della conoscenza, come aveva sottolineato a più riprese lo stesso Schlick; nello stesso tempo la ricca e dinamica letteratura epistemologica che ne è scaturita, a partire dai Problemi della scienza del 1906 di Federigo Enriques, ha portato, grazie al pieno riconoscimento della dimensione insieme teoretica e storica, a considerare la scienza nel suo complesso pensiero tout court come è stato ben messo in evidenza in particolar modo dalla tradizione di ricerca  francese e soprattutto dai lavori di Gaston Bachelard. Non è poi pertanto un caso se l’abbondante letteratura sulla ‘crisi della scienza’ nelle sue diverse variabili a partire dalla ‘reazione idealistica contro la scienza’, che com’è noto si è sviluppata a fine Ottocento e che si è protratta per gran parte del Novecento, abbia proprio insistito sul suo non essere ‘pensiero’, aspetto questo che, come ha detto ultimamente Dominique Lecourt, è stato ed è ancora spesso «il grande dimenticato da parte sia dello scientismo che dell’antiscienza»[3], opzioni a vario modo sempre in agguato.
Uno dei compiti, pertanto, della filosofia della scienza anche grazie al rilevante peso epistemico apportato dalla costituzione della storia delle scienze come sapere  sviluppatosi e consolidatosi parallelamente con proprie e specifiche metodologie, sin dal momento della sua costituzione come sapere critico-riflessivo, è stato e continua ad essere proprio quello di salvaguardarne l’aspetto storico-veritativo come  ‘pensiero’ tout court, in quanto  le diverse  conoscenze scientifiche  sono strategie di ordine cognitivo messe in atto per indagare, come già diceva Leonardo Da Vinci, le «infinite ragioni» del reale che vengono continuamente «disegnate» e costruite  dalla mente dello «speculatore delle cose» ed in grado, pertanto, di andare sempre oltre il dato empirico immediato in quanto tali ‘ragioni’ «non furono mai in isperienza»[4].
Questa intrinseca  e specifica dimensione della scienza che si potrebbe chiamare lato sensu ‘spirituale’, anche se è data quasi per scontata, non ha comunque ricevuto una costante e adeguata attenzione critica nell’ampia letteratura con qualche eccezione da parte di alcune figure di area francese come Gaston Bachelard, Hélène Metzger e Albert Lautman, di Federigo Enriques in Italia; negli anni ‘30 questi autori, preceduti dalle profonde riflessioni di Pavel Florenskij, grazie alla loro ottica storico-epistemologica al di là delle posizioni positivistiche, hanno considerato la scienza, come dice più propriamente la Metzger, «la corazza dello spirito umano» da coltivare continuamente per non farle assumere «il ruolo del diavolo tentatore»[5]. Nello stesso tempo se, come hanno sostenuto e continuano a sostenere posizioni di impronta strumentalista e convenzionalista, si considerano marginali le questioni relative ai suoi rapporti col reale, se come diceva Lautman si tende a «sopprimere i legami fra il pensiero ed il reale col rifiutare anche di dare alla scienza il valore di una esperienza spirituale, si rischia di avere solo un’ombra della scienza e di rigettare lo spirito alla conquista del reale verso attitudini violente con cui la ragione non ha nulla da fare. La filosofia delle scienze non può accettare questo atto di dimissione»[6].  La ragione scientifica grazie ai suoi processi di ristrutturazione  si autorigenera  continuamente col riconquistare la sua appartenenza alle forze spirituali dell’uomo entrando in dialogo costante  con le altre dimensioni, col comprendere sempre di più di trovare la sua «matrice costruttiva nelle forme di organizzazione della vita umana», così come diceva negli anni ’70 Aldo Gargani[7].
Pertanto occorre lavorare per fare in modo che la filosofia della scienza con l’aiuto della storia delle scienze non ‘si dimetta’ da questo essenziale compito, di contribuire a spazzare via quella che Popper in varie occasioni ha chiamato ‘filosofia dubbia’ nei  suoi confronti incapace di sviscerane le varie ‘anime’ e di capirne l’aspetto di fondo; nello stesso tempo, vero e proprio supplemento d’anima della scienza tipico di ogni autentica riflessione che si confronta con i percorsi di verità messi in atto, deve essere in grado in primis di prendere definitivamente atto di quella che recentemente Mauro Ceruti ha chiamato «la fine dell’onniscienza»[8] per  i processi di autocomprensione antropologica messi in atto.
[1] F. Enriques, Scienza e razionalismo, (1912), Bologna, Zanichelli, 1990, p. 145 e M. Schlick, Teoria generale della conoscenza, (1918), trad. it., Milano, F. Angeli Ed., 1986, p. 11.
[2] Cfr. ns.  Alle origini della ‘nuova epistemologia’. Il Congrès Descartes del 1937, Lecce, Il Protagora, 1990 e G. Reale-D. Antiseri, Quale ragione?, Milano, R. Cortina Ed., 2001, p. 226.
[3] D. Lecourt, «La philosophie  dans les sciences», in Revue de synthèse,  t. 126, 2, 2005, pp. 451-454.
[4] Leonardo Da Vinci, L’uomo e la natura,  a cura di M. De Micheli, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 52-53.
[5] H. Metzger, La scienza, l’appello alla religione e la volontà, trad. it, Lecce-Brescia, Pensa Multimedia-Pensée des sciences, 2014, p. 20; cf. anche F. Enriques, L’anima religiosa della scienza, Roma, Castelvecchi, 2015.
[6] A. Lautman, «Mathématiques et réalité» (1935) in Les mathématiques, les idées et le réel physique, Paris, Vrin,p. 50.
[7] A. Gargani, Il sapere senza fondamenti, Torino, 1975, p. VIII.
[8] Cf. M. Ceruti, La fine dell’onniscienza, Roma, Studium, 2014.

martedì 3 maggio 2016

Il disagio infantile: il pensiero latitante

Il disagio infantile è in serio aumento. La psichiatra francese Florence Pupier sostiene che la responsabilità non è dei genitori se i loro bambini non li ascoltano e li sovrastano. Secondo lei, il bisogno del figlio d’imporsi in qualsiasi modo non è legato a un problema educativo o relazionale, ma spesso è il segnale di una vera e propria malattia. Il Centro ospedaliero di Montpellier, dove Pupier svolge la sua attività, si basa sui lavori dello psicologo israeliano Haim Omer che teorizza che i genitori devono introdurre dei cambiamenti a partire da se stessi. Quindi, anche se non è un problema dei genitori se il figlio domina la scena famigliare con i suoi comportamenti, è il genitore che deve porsi diversamente se vuole risolvere il problema. Come paradosso non c’è male.

Il caso riportato come esempio è quello di un bambino di cinque anni che, tanto per movimentare la cena e dominare la scena, afferra un coltello e lo lancia davanti ai due atterriti genitori. Pensare che un fragile bambino in tutto e per tutto dipendente dalle figure del padre e della madre possa imporre la sua volontà con comportamenti estremi è un grave attacco alla realtà. Perché Pupier non prova a interrogarsi da dove nasca quella terribile aggressività? Ciò che sappiamo è che l’aggressività verso l’altro o verso noi stessi ha origine da frustrazioni intollerabili. Quella del bambino è una denuncia della sua sofferenza. Spesso il figlio aggressivo verso gli altri arriva anche a farsi del male: si strappa i capelli, si morde le unghie, è triste, non si appassiona a nulla, si isola e non gioca. Molti di questi bambini vivono una vita quotidiana sempre più lontana dai loro bisogni. La nostra società “liquida” è sempre meno in grado di accogliere la dipendenza dei nostri figli e la differenza dell’infanzia.
Da tempo questo tipo di approcci, sia medici sia psicologici, che fanno riferimento in modo esclusivo alle neuroscienze, mortificano la nostra complessità di specie culturale. Come si può affermare, davanti a un serio aumento delle disgrafie e delle dislessie, che questo dilagare è solo apparente, e che ci sono sempre state, ma prima genitori e insegnanti non se ne accorgevano? Ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso nelle scuole si imparava a scrivere usando l’asticciola con un pennino che s’intingeva nel calamaio. Si iniziava con le aste e c’era il quaderno di bella scrittura. Nella mia scuola, dall’asilo al liceo, eravamo circa ottocento allieve e nessuna mostrava queste sintomatologie. Come sarebbe stato possibile non accorgersene? Quando un fenomeno continua ad aumentare vuol dire che non si vuole indagare sulle cause che sono insorte negli ultimi decenni.
di Aurora Morelli

lunedì 2 maggio 2016

"Se tu conoscessi il dono di Dio" (Gv 4, 10)

Nel capitolo 4 del vangelo secondo Giovanni si narra dell'incontro
avvenuto tra Gesù e una donna samaritana nei pressi della regione di Sicàr dove si trovava il famoso pozzo di Giacobbe. Un incontro dai toni assai interessanti, in quanto Gesù mostra di non essere prigioniero di una certa mentalità presente al suo tempo: egli si mette ad intessere un dialogo con una donna, per giunta samaritana. I Giudei non consideravano affatto le donne, peggio ancora i samaritani, i quali erano da loro emarginati poichè non adoravano Dio a Gerusalemme ma sul monte Garizim, seguivano un altro candelario rituale...
La donna, nel racconto giovanneo, sta accanto al pozzo a prendere dell'acqua. Gesù ha sete e si avvicina al pozzo per bere. Iniziano a dialogare e lui parla a lei del "dono di Dio". 
Cosa è questo dono di Dio?
Precedentemente Giovanni ha raccontato di un altro incontro, avvenuto di notte, tra Gesù e il fariseo Nicodemo (cfr. Gv 3). Mentre i due dialogano Gesù mostra a Nicodemo quale sia il grande dono che Dio vuole fare agli uomini con la sua venuta:
- il suo amore
- la vita eterna
- la salvezza
- la fiducia
Nel racconto dell'incontro con la samaritana al pozzo, il dono viene  a concidere con Gesù stesso. Egli, infatti, non ha nessun cestello per cogliere l'acqua, dato che è proprio lui l'acqua viva , è lui la sorgente e la fonte di ogni dono.
Il dono di Dio è l'amore (lo Spirito Santo nella economia trinitaria), un dono vero, gratis dato, che non si può acquisire se non con il coraggio di aver fiducia di Dio e degli altri. Un dono che non ha prezzo, non può essere comperato come voleva fare Simone il mago nel racconto di Atti 8: nè comperato, nè venduto!!!
Ma nel racconto di Gv 4 il dono di Dio di cui parla Gesù e che è Gesù stesso va ad essere messo a relazione dall'autore con l'amore della samaritana. Questa donna non ha pregiudizi, si fida di Gesù, accoglie la sua rivelazione di essere il Messia, non lo schernisce, non gli volta le spalle. Questa donna ha sete della verità, coltiva in sè il desiderio di amare e di essere amata in maniera forte. Lei ha vissuto l'esperienza del fallimento dell'amore (si trova alla quinta relazione amorosa), esclusa dalla vita sociale di ogni giorno eppure in lei non vince la rassegnazione. E Gesù la provoca proprio sull'amore.
In un recente romanzo di Massimo Bisotti intitolato La luna blu ho letto dei passi interessanti che volevo condividere con voi, cari lettori, a conclusione di questi miei pensieri:


a) «L’amore non è implicito. Può nutrirsi di riservatezza, ma ha fame di verità. E la verità ama cantare ed essere ascoltata. È preferibile stonare e riallineare i toni che vestire le emozioni in maschera senza comunicazione»;
b) «Siamo un controsenso, viviamo controtempo, andiamo contromano, ci mettiamo controvento, ci prendiamo in contropiede. Ma Controcuore non possiamo andare»;
c) «L’Amore è un luogo vero e proprio che racchiude tutti i nostri altri luoghi interiori, è un modo di abitare la vita»;
d) «Star bene non è amare. L’amore, se lo senti, ti prende tutto o non ti prende nulla. E se te lo fai andare bene è un quasi amore, ma non è amore. Puoi fingere di amare ma non puoi convincerlo, l’amore».