martedì 3 maggio 2016

Il disagio infantile: il pensiero latitante

Il disagio infantile è in serio aumento. La psichiatra francese Florence Pupier sostiene che la responsabilità non è dei genitori se i loro bambini non li ascoltano e li sovrastano. Secondo lei, il bisogno del figlio d’imporsi in qualsiasi modo non è legato a un problema educativo o relazionale, ma spesso è il segnale di una vera e propria malattia. Il Centro ospedaliero di Montpellier, dove Pupier svolge la sua attività, si basa sui lavori dello psicologo israeliano Haim Omer che teorizza che i genitori devono introdurre dei cambiamenti a partire da se stessi. Quindi, anche se non è un problema dei genitori se il figlio domina la scena famigliare con i suoi comportamenti, è il genitore che deve porsi diversamente se vuole risolvere il problema. Come paradosso non c’è male.

Il caso riportato come esempio è quello di un bambino di cinque anni che, tanto per movimentare la cena e dominare la scena, afferra un coltello e lo lancia davanti ai due atterriti genitori. Pensare che un fragile bambino in tutto e per tutto dipendente dalle figure del padre e della madre possa imporre la sua volontà con comportamenti estremi è un grave attacco alla realtà. Perché Pupier non prova a interrogarsi da dove nasca quella terribile aggressività? Ciò che sappiamo è che l’aggressività verso l’altro o verso noi stessi ha origine da frustrazioni intollerabili. Quella del bambino è una denuncia della sua sofferenza. Spesso il figlio aggressivo verso gli altri arriva anche a farsi del male: si strappa i capelli, si morde le unghie, è triste, non si appassiona a nulla, si isola e non gioca. Molti di questi bambini vivono una vita quotidiana sempre più lontana dai loro bisogni. La nostra società “liquida” è sempre meno in grado di accogliere la dipendenza dei nostri figli e la differenza dell’infanzia.
Da tempo questo tipo di approcci, sia medici sia psicologici, che fanno riferimento in modo esclusivo alle neuroscienze, mortificano la nostra complessità di specie culturale. Come si può affermare, davanti a un serio aumento delle disgrafie e delle dislessie, che questo dilagare è solo apparente, e che ci sono sempre state, ma prima genitori e insegnanti non se ne accorgevano? Ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso nelle scuole si imparava a scrivere usando l’asticciola con un pennino che s’intingeva nel calamaio. Si iniziava con le aste e c’era il quaderno di bella scrittura. Nella mia scuola, dall’asilo al liceo, eravamo circa ottocento allieve e nessuna mostrava queste sintomatologie. Come sarebbe stato possibile non accorgersene? Quando un fenomeno continua ad aumentare vuol dire che non si vuole indagare sulle cause che sono insorte negli ultimi decenni.
di Aurora Morelli

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