martedì 12 luglio 2016

I Cinquecento anni del ghetto di Venezia

Si celebra con mostre, convegni e pubblicazioni il cinquecentesimo anniversario della nascita del ghetto di Venezia, creato il 29 marzo 1516. È allora che il Senato veneziano, dopo lunghe discussioni, accettò la presenza ebraica in città, purché relegata in un luogo chiuso dal tramonto all’alba, dove gli ebrei non avrebbero potuto vivere insieme ai cristiani. 
Ghetto Nuovo, Venezia  (Foto: ©Awakening/Xianpix)
L’esempio di Venezia sarebbe stato seguito ovunque in Italia a partire dalla metà del Cinquecento, tanto che alla fine, con poche eccezioni, tutte le città italiane dove erano presenti degli ebrei li avrebbero chiusi in un ghetto. Lo scrive Anna Foa aggiungendo che la storia del ghetto di Venezia è in realtà, al di là dell’aspetto evidente della chiusura e della separazione dei mondi che comportava, una storia vivace e vitale, che si intreccia strettamente non solo con la storia di Venezia ma anche con quella del Mediterraneo. E il ghetto veneziano, a differenza dei ghetti che nasceranno più tardi in Italia, a partire da quello di Roma, su iniziativa essenzialmente della Chiesa, è un luogo dove confluiscono e si intrecciano culture diverse (gli ebrei italiani, quelli tedeschi, i sefarditi, i portoghesi), un ghetto insomma che potremmo definire cosmopolita.
A questo ghetto dedica ora un libro (Venezia e il ghetto. Cinquecento anni del “recinto degli ebrei”, Bollati Boringhieri, Torino, 2016, pagine 187, euro 15), che copre tutto il periodo della sua durata, dal 1516 fino al 1797 e si estende anche all’oggi, una studiosa di valore, Donatella Calabi, architetto e urbanista. Il suo sguardo è attento alla struttura abitativa del ghetto, ai rapporti del ghetto, o meglio dei ghetti (perché a Venezia erano tre, edificati in periodi successivi) con la città sia dal punto di vista urbanistico che da quello dei contatti tra i due mondi, dei mestieri esercitati dagli ebrei, della vita religiosa e comunitaria.
Il ghetto di Venezia nasce nel 1516 non, come poi a Roma e in molti altri luoghi, dalla chiusura entro mura e portoni di una comunità preesistente, ma dalla scelta attuata dalla Repubblica di accogliere infine gli ebrei in città, dopo molte esitazioni e brevi periodi di tolleranza. Il luogo prescelto è periferico rispetto alla città, l’isola di Cannaregio, lontana dal cuore commerciale di Rialto, dove negli ultimi anni gli ebrei erano stati ammessi in via eccezionale a causa della guerra di Chioggia che devastava l’entroterra veneto. Erano, questi primi ebrei del ghetto, ebrei tedeschi, prestatori, che avevano a lungo esercitato il prestito a Mestre a parte brevi periodi in cui erano stati ammessi in città. Il primo ghetto è il ghetto Nuovo, dove le botteghe dei prestatori si aprivano sul vasto campo tuttora esistente.
E dall’isola, dove c’erano state in origine fonderie di rame, il ghetto trae il suo nome, geto, letto dai tedeschi con la g dura come ghetto. Ghetto è quindi un toponimo, destinato a una lunga vita e a progressive estensioni semantiche. Per il momento è usato a Venezia, e a fatica si affermerà poi come il termine più diffuso per designare i quartieri chiusi degli ebrei che nasceranno in Italia tra la metà del Cinquecento e il XVII secolo.
di Anna Foa

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