
Aveva sempre sostenuto l’idea che non si poteva vivere senza il passato. «Se dimentichiamo il passato, la nostra umanità ne viene mutilata» affermava in un’intervista a «Le Figaro» nel 1998, anno in cui organizzò un convegno internazionale sul tema «Memoria e storia», tramite l’Accademia universale delle culture che presiedette dal 1993, nell’intento di lottare contro la xenofobia, l’antisemitismo e ogni forma di discriminazione. A tale riguardo, Papa Francesco, ricevendo il premio Carlo Magno nel maggio scorso, ha richiamato il tema prediletto di Wiesel usando l’espressione «trasfusione della memoria», che gli era tanto cara. La trasfusione della memoria, ricordava il Pontefice, «ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana».
Il comitato norvegese che gli conferì il premio Nobel per la pace nel 1986 definì Wiesel un «messaggero dell’umanità» e «una delle guide spirituali più grandi in un mondo di violenza, di repressione e di razzismo». Fu autore di più di cinquanta opere — tradotte in numerosissime lingue — tra cui La notte (1958), racconto autobiografico, primo volume di una trilogia sull’inferno concentrazionario comprendente anche L’alba e Il giorno — considerato uno dei pilastri della letteratura della Shoah. In uno dei passi più noti del volume si legge: «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo». E più avanti: «Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».
Insignito di numerose onorificenze internazionali, nel 2006 il premier Ehud Olmert gli aveva offerto l’incarico di presidente dello Stato d’Israele: offerta che declinò perché si considerava «solo uno scrittore».
In eredità ha lasciato soprattutto l’appello alla responsabilità collettiva di fronte all’orrore e l’invito a unire la capacità di ogni persona a fare il bene.
Il comitato norvegese che gli conferì il premio Nobel per la pace nel 1986 definì Wiesel un «messaggero dell’umanità» e «una delle guide spirituali più grandi in un mondo di violenza, di repressione e di razzismo». Fu autore di più di cinquanta opere — tradotte in numerosissime lingue — tra cui La notte (1958), racconto autobiografico, primo volume di una trilogia sull’inferno concentrazionario comprendente anche L’alba e Il giorno — considerato uno dei pilastri della letteratura della Shoah. In uno dei passi più noti del volume si legge: «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo». E più avanti: «Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».
Insignito di numerose onorificenze internazionali, nel 2006 il premier Ehud Olmert gli aveva offerto l’incarico di presidente dello Stato d’Israele: offerta che declinò perché si considerava «solo uno scrittore».
In eredità ha lasciato soprattutto l’appello alla responsabilità collettiva di fronte all’orrore e l’invito a unire la capacità di ogni persona a fare il bene.
di Solène Tadié
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