Tommaso d’Aquino, nella
storia della metafisica, affronta nel De
ente et essentia la fondamentale questione del rapporto tra essere ed
essenza sia in relazione a Dio che agli spiriti finiti. Tra essenza ed essere
vi è infatti una interessante differenza. L’essenza è ciò per cui ogni cosa
possiede il suo essere, è ciò che fa in modo che ogni cosa sia quella
determinata cosa e non un’altra. L’essenza viene espressa dalla definizione e
la si può indicare con il nome di quiddità nel momento in cui diviene un ente,
ossia un essere in atto. Infatti per essenza Tommaso intende propriamente ciò per mezzo del quale e nel quale un ente
possiede l’essere (cfr. De ente et
essentia, 1,79)[1].
L’essere è il tutto, la totalità che viene studiata da quella scienza che è la
metafisica. Nelle creature l’essere viene distinto grazie all’essenza, che per
Tommaso è atto d’essere.
L’essenza è la verità
di cui si predica l’essere e coincide usualmente con una definizione. A sua
volta l’essere è ciò di cui si predica tale definizione. In questo modo sembra
abbastanza chiaro che l’essenza si predica di ciò che è, di un ente, che è
participio presente del verbo essere. L’ente è tutto ciò di cui si predica
l’atto d’essere, cioè che esso esiste ed è qualcosa. Questo qualcosa che l’ente
è in atto, ossia in un modo determinato che fa
sì che sia quella cosa e non altro, è l’essenza. L’ente è allora
l’essere in quanto atto. L’ente e l’essenza sono, quindi, presenti in tutte le
sostanze, sia che queste sono composte sia che sono semplici.
Quando Tommaso tratta
di sostanze composte (cfr. De ente et
essentia, 2, 81ss) fa riferimento a quelle che sono frutto della
combinazione della forma con la materia e la cui essenza comprende sia la forma
che la materia. Infatti, a differenza di Averroè, l’Aquinate sostiene che
«l’essenza è ciò che viene espresso attraverso la definizione della cosa, e la
definizione delle sostanze naturali contiene non soltanto la forma, ma anche la
materia […]. È chiaro dunque che l’essenza comprende la materia e la forma»,
altrimenti «tra le definizioni naturali e quelle matematiche non ci sarebbe
alcuna differenza» (De ente et essentia,
2, 83). Ma perché si produca un individuo ci deve essere una materia signata quantitate, ossia una determinata
quantità di materia che, componendosi con la forma, comporti l’attuazione
dell’ente. Questo è abbastanza evidente se pensiamo alla differenza tra Socrate
e la definizione di un uomo: Socrate lo consideriamo un individuo in quanto la
forma entra in composizione con una porzione quantitativamente signata di materia; nella definizione di
uomo non stiamo in presenza di un individuo, poiché la forma entra in
composizione con una materia non signata.
Socrate ed uomo sono entrambi un’essenza, ma solo Socrate è un ente, ossia una
quiddità determinata in atto (cfr. De
ente et essentia, 2, 85.87).
Nelle sostanze separate
(cfr. De ente et essentia, 4, 107ss),
come l’anima e le intelligenze, la distinzione tra essere ed essenza è più
significativa, poiché per Tommaso esse posseggono una capacità intellettiva che
è il loro stesso modo di essere e che se fosse affetta dalla materia non
sarebbe in grado di cogliere l’universalità. Al tempo stesso, però, non possono
essere considerate al pari della Causa prima. Secondo l’Aquinate esse devono
essere il risultato della composizione tra la forma e l’essere aventi come
essenza solo la forma. Per questo motivo esse non possono totalmente realizzare
in atto la loro essenza, a causa della presenza in esse della potenzialità e
quindi del divenire. Infatti, a differenza della Causa prima, possiedono un
essere non altrettanto semplice, ma limitato e finito poiché derivato
dall’Essere.
Generalmente, come
abbiamo detto sopra, nelle creature essere ed essenza sono ben distinti, anche
se evidenzia Tommaso l’essenza sia priva di materia. In Dio le cose sono ben
diverse, dato che in Lui essere ed essenza coincidono. Per l’Aquinate la Causa
prima ha il privilegio di possedere un essere che è in grado di realizzare
pienamente in atto la propria essenza. Essa è ente in forma totale ed assoluta,
senza la presenza della minima potenzialità e quindi del più piccolo divenire.
Dio non possiede, quindi, una quiddità, una misura di essere, la sua essenza
non rientra in un genere. La cosiddetta deità,
infatti, non può essere considerata come un genere che si realizza in atto in
un individuo, bensì è l’essere stesso in atto. Proprio per questo motivo a Dio
si attribuiscono tutte le perfezioni che si possono realizzare in atto
nell’essere. Scrive Tommaso verso la conclusione del suo saggio: «le perfezioni
[…] in Lui formano un’unità, mentre nelle altre cose rimangono distinte tra
loro» (De ente et essentia, 5, 121).
Per questo motivo
possiamo sostenere che l’unità e l’identità riguardano l’essere, mentre la
diversità e la molteplicità la determinazione dell’essere, ossia l’essenza.
Questa distinzione tra essere ed essenza permette all’ente di essere al tempo
stesso interamente uno ed interamente diverso senza subire contraddizione.
L’ente, infatti, è una sintesi di essere ed essenza e l’essenza non è
concepibile se non in rapporto all’essere. L’essere si determina nell’essenza,
ma in questo processo di determinazione esso si mantiene in se stesso, si
mantiene nella sua unità.
Dal rapporto tra essere
ed essenza è possibile riconoscere all’ente il suo essere uno come tutti gli
altri enti ed il suo essere molteplice e, quindi, diverso da tutti gli altri
enti. L’ente è interamente essere come è interamente determinazione.
La distinzione fra
essenza ed essere non riguarda però solo la sostanza. Per il Doctor Angelicus essa concerne anche gli
accidenti. Questi, infatti, sono definibili e, quindi, possono avere una
essenza, anche se in maniera diversa rispetto alle sostanze. Gli accidenti
esistono sempre in relazione ad una sostanza, per cui nella definizione di un
accidente deve sempre comparire un soggetto a cui esso fa riferimento. Per
questo motivo l’essenza degli accidenti deve essere pensata incompleta (cfr. De ente et essentia, 6, 127ss). Causa
degli accidenti, infatti, è la sostanza, che rappresenta la realtà prima e
suprema del genere dell’ente.
Intorno alla questione
del rapporto tra essenza ed essere Tommaso ha saputo rileggere tutto il reale, sia
nella sua prospettiva metafisica (semplicità divina, composizione di essenza ed
esistenza negli enti creati, composizione fisica di materia e forma nelle
sostanze composte, composizione tra soggetto ed accidente) che in quella
logica.
[1] Con il termine "natura" Tommaso intende
l’essenza della cosa per la quale essa ha una relazione con la propria
operazione. In questo modo, per esempio, dalla proprietà di attirare il ferro
riconosco la natura del magnete (cfr. De
ente et essentia, 1, 79).
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