mercoledì 7 gennaio 2015

Essere ed essenza


Tommaso d’Aquino, nella storia della metafisica, affronta nel De ente et essentia la fondamentale questione del rapporto tra essere ed essenza sia in relazione a Dio che agli spiriti finiti. Tra essenza ed essere vi è infatti una interessante differenza. L’essenza è ciò per cui ogni cosa possiede il suo essere, è ciò che fa in modo che ogni cosa sia quella determinata cosa e non un’altra. L’essenza viene espressa dalla definizione e la si può indicare con il nome di quiddità nel momento in cui diviene un ente, ossia un essere in atto. Infatti per essenza Tommaso intende propriamente ciò  per mezzo del quale e nel quale un ente possiede l’essere (cfr. De ente et essentia, 1,79)[1]. L’essere è il tutto, la totalità che viene studiata da quella scienza che è la metafisica. Nelle creature l’essere viene distinto grazie all’essenza, che per Tommaso è atto d’essere.

L’essenza è la verità di cui si predica l’essere e coincide usualmente con una definizione. A sua volta l’essere è ciò di cui si predica tale definizione. In questo modo sembra abbastanza chiaro che l’essenza si predica di ciò che è, di un ente, che è participio presente del verbo essere. L’ente è tutto ciò di cui si predica l’atto d’essere, cioè che esso esiste ed è qualcosa. Questo qualcosa che l’ente è in atto, ossia in un modo determinato che fa  sì che sia quella cosa e non altro, è l’essenza. L’ente è allora l’essere in quanto atto. L’ente e l’essenza sono, quindi, presenti in tutte le sostanze, sia che queste sono composte sia che sono semplici.

Quando Tommaso tratta di sostanze composte (cfr. De ente et essentia, 2, 81ss) fa riferimento a quelle che sono frutto della combinazione della forma con la materia e la cui essenza comprende sia la forma che la materia. Infatti, a differenza di Averroè, l’Aquinate sostiene che «l’essenza è ciò che viene espresso attraverso la definizione della cosa, e la definizione delle sostanze naturali contiene non soltanto la forma, ma anche la materia […]. È chiaro dunque che l’essenza comprende la materia e la forma», altrimenti «tra le definizioni naturali e quelle matematiche non ci sarebbe alcuna differenza» (De ente et essentia, 2, 83). Ma perché si produca un individuo ci deve essere una materia signata quantitate, ossia una determinata quantità di materia che, componendosi con la forma, comporti l’attuazione dell’ente. Questo è abbastanza evidente se pensiamo alla differenza tra Socrate e la definizione di un uomo: Socrate lo consideriamo un individuo in quanto la forma entra in composizione con una porzione quantitativamente signata di materia; nella definizione di uomo non stiamo in presenza di un individuo, poiché la forma entra in composizione con una materia non signata. Socrate ed uomo sono entrambi un’essenza, ma solo Socrate è un ente, ossia una quiddità determinata in atto (cfr. De ente et essentia, 2, 85.87).

Nelle sostanze separate (cfr. De ente et essentia, 4, 107ss), come l’anima e le intelligenze, la distinzione tra essere ed essenza è più significativa, poiché per Tommaso esse posseggono una capacità intellettiva che è il loro stesso modo di essere e che se fosse affetta dalla materia non sarebbe in grado di cogliere l’universalità. Al tempo stesso, però, non possono essere considerate al pari della Causa prima. Secondo l’Aquinate esse devono essere il risultato della composizione tra la forma e l’essere aventi come essenza solo la forma. Per questo motivo esse non possono totalmente realizzare in atto la loro essenza, a causa della presenza in esse della potenzialità e quindi del divenire. Infatti, a differenza della Causa prima, possiedono un essere non altrettanto semplice, ma limitato e finito poiché derivato dall’Essere.

Generalmente, come abbiamo detto sopra, nelle creature essere ed essenza sono ben distinti, anche se evidenzia Tommaso l’essenza sia priva di materia. In Dio le cose sono ben diverse, dato che in Lui essere ed essenza coincidono. Per l’Aquinate la Causa prima ha il privilegio di possedere un essere che è in grado di realizzare pienamente in atto la propria essenza. Essa è ente in forma totale ed assoluta, senza la presenza della minima potenzialità e quindi del più piccolo divenire. Dio non possiede, quindi, una quiddità, una misura di essere, la sua essenza non rientra in un genere. La cosiddetta deità, infatti, non può essere considerata come un genere che si realizza in atto in un individuo, bensì è l’essere stesso in atto. Proprio per questo motivo a Dio si attribuiscono tutte le perfezioni che si possono realizzare in atto nell’essere. Scrive Tommaso verso la conclusione del suo saggio: «le perfezioni […] in Lui formano un’unità, mentre nelle altre cose rimangono distinte tra loro» (De ente et essentia, 5, 121).

Per questo motivo possiamo sostenere che l’unità e l’identità riguardano l’essere, mentre la diversità e la molteplicità la determinazione dell’essere, ossia l’essenza. Questa distinzione tra essere ed essenza permette all’ente di essere al tempo stesso interamente uno ed interamente diverso senza subire contraddizione. L’ente, infatti, è una sintesi di essere ed essenza e l’essenza non è concepibile se non in rapporto all’essere. L’essere si determina nell’essenza, ma in questo processo di determinazione esso si mantiene in se stesso, si mantiene nella sua unità.

Dal rapporto tra essere ed essenza è possibile riconoscere all’ente il suo essere uno come tutti gli altri enti ed il suo essere molteplice e, quindi, diverso da tutti gli altri enti. L’ente è interamente essere come è interamente determinazione.

La distinzione fra essenza ed essere non riguarda però solo la sostanza. Per il Doctor Angelicus essa concerne anche gli accidenti. Questi, infatti, sono definibili e, quindi, possono avere una essenza, anche se in maniera diversa rispetto alle sostanze. Gli accidenti esistono sempre in relazione ad una sostanza, per cui nella definizione di un accidente deve sempre comparire un soggetto a cui esso fa riferimento. Per questo motivo l’essenza degli accidenti deve essere pensata incompleta (cfr. De ente et essentia, 6, 127ss). Causa degli accidenti, infatti, è la sostanza, che rappresenta la realtà prima e suprema del genere dell’ente.

Intorno alla questione del rapporto tra essenza ed essere Tommaso ha saputo rileggere tutto il reale, sia nella sua prospettiva metafisica (semplicità divina, composizione di essenza ed esistenza negli enti creati, composizione fisica di materia e forma nelle sostanze composte, composizione tra soggetto ed accidente) che in quella logica.




[1] Con il termine "natura" Tommaso intende l’essenza della cosa per la quale essa ha una relazione con la propria operazione. In questo modo, per esempio, dalla proprietà di attirare il ferro riconosco la natura del magnete (cfr. De ente et essentia, 1, 79).

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