Nel 1962 uno studioso delle
comunicazioni di massa, il canadese Marshall McLuhan, espose in un suo libro,
“La galassia Gutenberg”, il concetto di “villaggio globale”, divenuto poi, una
delle espressioni caratterizzanti l’attuale modernità. Cosa si intende con
questa espressione che sembra a tutti gli effetti un ossimoro, dato che lega la
globalità ad una realtà piccola come il villaggio. Essa fa riferimento ad un
mondo piccolo, proprio delle dimensioni di un villaggio, all’interno del quale
le distanze fisiche, culturali, le tradizioni, gli stili di vita, vanno
gradualmente annullandosi. Da quel momento l’espressione “villaggio globale” è
stata sempre più utilizzata per descrivere il nostro mondo, che da gigantesco
globo si è pian piano ridotto ad essere un villaggio facilmente esplorabile. I
mezzi di comunicazione, i social network, hanno, è ovvio, contribuito
grandemente a rendere sempre più piccolo il nostro pianeta, fino a generare
mode e stili di vita che hanno colonizzato quasi ogni abitante della terra.
La metafora di “villaggio globale” si
sviluppa allora in seno ad una era, definita elettrica, nella quale è la
tecnologia a farla da padrone. Una “religione della tecnologia” che persegue i
“dogmi” della velocità e della uniformità. Materialismo ed individualismo sono
i suoi frutti, insieme ad una cultura dell’apparire e del sembrare che
gradualmente ha spersonalizzato gli esseri umani derubandoli della loro
unicità. Il “villaggio globale” ha ridotto sì le distanze ma ha reso al tempo
stesso tutti più anonimi ed identici.
All’uomo come fascio di percezioni, in balìa del proprio sentire e schiavo
delle sue passioni il "villaggio dell'essere" contrappone «l’uomo che è», l’essere della
persona, quel qualcosa che rimane invariato nonostante il cambiare di quegli
accidenti ed attributi che la persona possiede. La persona, prima di sembrare
qualcuno, è. In un mondo dalle distanze così ravvicinate tanto da essere
sufficiente un semplice clic per spostare dei capitali economici da una parte
all’altra del pianeta, è di fondamentale importanza che venga salvaguardato
questo “è”.
Non vi è essere senza relazione e questo "essere" è ciò che permane
anche con il mutare degli attributi che quella cosa ha. In questo modo una
persona rimane tale aldilà del colore della sua pelle, della lingua che parla,
del lavoro che fa, dell’essere alto o basso, malato o sano. «La persona umana è»
a prescindere da ogni altra cosa ed il suo essere è immutabile, non può essere oggetto
di mutamento, nemmeno di matrice sessuale. «La persona umana è» a prescindere
dalla sua volontà, «la persona umana è» di un essere che le è assolutamente donato!
Oggigiorno c'è bisogno del primato
dell’essere sull’apparire, in un’epoca in cui vi è un'immensa ricerca di certezze, di sicurezze, di verità, le quali non possono
essere affidate alla balìa dei sentimenti o di entusiasmi ed emozioni che
velocemente si accendono e altrettanto velocemente si spengono. È l’essere, ossia
ciò che accomuna ogni persona, infatti a dover rendere il nostro mondo un
“villaggio” e non i vari interessi economici e tecnologici, che stanno minando
le relazioni tra le diverse culture e i molteplici popoli che abitano il nostro
pianeta. Puntare sull’essere per riprendere l’adagio delfico “Conosci te
stesso” e poter entrare nell’interiorità di un essere umano che non ha voglia
di venire sballottato qua e là dai venti che si agitano in superficie e che lo
vorrebbero condurre alle derive del relativismo e del nichilismo.
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