giovedì 27 agosto 2015

La delusione di Origene

L’avvenimento centrale, nell’ambito dell’intera attività di Origene, fu il trasferimento da Alessandria a Cesarea di Palestina a seguito della condanna che Demetrio, il vescovo della metropoli egizia, gli aveva fatto infliggere per essere stato ordinato presbitero intorno al 233 da Teoctisto, vescovo di quella città palestinese, senza che egli lo avesse previamente autorizzato. In effetti Origene, maestro nella scuola catechetica di Alessandria, aspirava al presbiterato, al fine di poter predicare in chiesa e perciò allargare di molto l’ambito di quanti potessero fruire del suo insegnamento. 
Particolare della conclusione della prima omelia di Origene sul salmo 80
E proprio questo Demetrio non voleva, già a disagio a causa del prestigio che aureolava la fama di Origene, in quanto studioso della Scrittura, ben al di là di Alessandria, e che perciò dava ombra a quel vescovo autoritario e accentratore. La condanna inflitta a Origene dalla Chiesa di Alessandria non fu considerata valida dai vescovi della Palestina e di altre regioni di oriente, sì che a Cesarea Origene poté affiancare all’insegnamento scolastico anche la predicazione rivolta all’intera comunità, presente a volte anche il vescovo.
La predicazione si esplicava soprattutto nell’ambito di assemblee liturgiche infrasettimanali, la cui finalità era di istruire i fedeli nella conoscenza della Scrittura che la Chiesa aveva ereditato e accolto dai giudei (in sostanza l’attuale Antico Testamento), ma la cui validità era fortemente contestata da fedeli di origine pagana, i più radicali dei quali — gli gnostici — si erano separati, anche se non solo per questo motivo, dalla Chiesa. In queste assemblee, che si riunivano con grande frequenza, a volte addirittura in giorni contigui, venivano proclamati libri interi della Scrittura, o ampie parti di essi, e di volta in volta uno dei testi previamente letti era oggetto di una omelia, che ne illustrava i significati.
In questo ambito Origene predicò sistematicamente, e svariate raccolte di sue omelie furono allora messe per scritto e sono a giunte a noi. Stante la perdita di gran parte dei suoi scritti nell’originale greco, provocata dalle varie condanne che gli furono comminate post mortem, queste raccolte omiletiche sono giunte a noi quasi tutte in latino nelle traduzioni di Girolamo e Rufino (su Genesi, Esodo, Levitico e così via). Nell’originale greco conosciamo soltanto una raccolta di omelie su Geremia, alla quale di recente si è aggiunta un’altra sui Salmi, da poco individuata nel codice Monacensis Graecus 314 e pubblicata a opera di un’équipe di studiosi italiani diretta da Lorenzo Perrone.
Origene aveva addirittura sfidato la condanna pur di poter entrare in contatto con l’intera comunità dei fedeli tramite la predicazione, ma essa a Cesarea non incontrò affatto l’incontrastato successo che, data la sua già ben affermata fama di maestro e scrittore, ci si sarebbe potuto attendere. Da vari spunti polemici che si leggono in alcune omelie, per esempio, sulla Genesi, appare chiaro che una parte degli ascoltatori, non quantitativamente rilevabile ma per certo tutt’altro che trascurabile, non gradiva il modo di predicare di Origene.
Nella prima omelia sul Levitico egli stesso sintetizza le critiche che gli venivano rivolte nell’espressione «contorcimenti (strophài) di parole e nebbia di allegorie». Il secondo appunto coglie l’aspetto più specifico dell’esegesi di Origene, che in questo continuava la tradizione esegetica giudeoellenistica di Alessandria, da noi conosciuta soprattutto grazie agli scritti di Filone. Finalità di questa esegesi alessandrina era la ricerca della congruenza tra Scrittura ebraica e filosofia greca, il che era realizzabile soltanto grazie a una massiccia interpretazione allegorica del testo: i fiumi del paradiso sono simbolo delle virtù, Abramo dell’uomo sapiente e così via.
di Manlio Simonetti

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