venerdì 7 agosto 2015

La malamovida

Quasi tutti gli adolescenti, prima o poi, si lasciano andare a qualche forma di trasgressione. Se vivono in stagioni storiche di lotte politiche magari gridano slogan rivoluzionari alle manifestazioni, se sono inghiottiti da quello che negli anni Ottanta i sociologi chiamavano il “riflusso nel privato” sfidano le regole dei padri. Qualche volta le due cose coincidono. 

Nella maggior parte dei casi cercano solamente di dimostrare che esistono in quanto entità autonome. E pare sia anche un percorso necessario a diventare adulti consapevoli. Le preoccupazioni devono intervenire quando questi comportamenti oltrepassano il livello dalla sana affermazione della propria identità. Le notizie degli ultimi giorni portano all’attenzione generale la degenerazione in condotte illegali e autolesionistiche di un fenomeno che circoscritto in opportuni confini sarebbe di normale amministrazione. L’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol, in particolare, sembrano diventati il principale interesse in alcune fasce delle ultime generazioni. Ovviamente pretendere il rispetto della legge all’interno dei locali della movida notturna, come in qualsiasi altro luogo, è un dovere delle istituzioni. Chiudere un occhio davanti allo spaccio di stupefacenti o all’abuso di alcolici da parte di minori, magari per evitare di danneggiare gli interessi economici degli esercenti, non solo è un reato ma anche un grave passo indietro rispetto alle responsabilità che una qualsiasi amministrazione ha il dovere di assumersi. Al tempo stesso, però, pensare che si possa affrontare un problema di questa portata solamente attraverso misure di ordine pubblico rischia di spostare l’attenzione sugli effetti e di far perdere di vista le cause. Senza scadere nel facile moralismo sempre in agguato, ci si può chiedere perché sempre più giovani cerchino strumenti per evadere dalle realtà piuttosto che idee per cambiarla. Se da una parte abbiamo il dovere di esigere il rispetto delle regole della convivenza civile, dall’altro dovremmo interrogare noi stessi sui motivi per cui ai nostri ai figli proprio non piace il mondo che gli stiamo lasciando.
di Marcello Filotei

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