La sentenza della Consulta che permette di
selezionare gli embrioni sani in caso di grave malattia trasmissibile geneticamente
non è arrivata imprevista: sono anni che viene denunciata quella che si ritiene
— ed effettivamente è — una contraddizione legislativa.
Lo scrive Lucetta
Scaraffia aggiungendo che finora lo stesso feto malato che non si poteva
eliminare a stadio embrionale poteva invece essere abortito secondo la legge
194. Naturalmente, sarebbe stato possibile — e auspicabile — risolvere la
contraddizione nel modo opposto, cioè eliminando la possibilità di effettuare
il cosiddetto “aborto terapeutico”, che già dal nome rivela l’imbarazzo e la
manipolazione: qui non si tratta di terapie per curare l’embrione malato, ma di
eliminazione. Le definizioni hanno il potere di cambiare il segno morale di
un’azione, e questa dicitura ha la pretesa di rendere non solo giustificabile,
ma quasi encomiabile, questo tipo di aborto.
Oggi la contraddizione è stata cancellata da
una sentenza che permette l’eliminazione già in stadio embrionale, come al
solito cercando di alleggerire la gravità di questo atto prevedendo che questa
selezione si potrà effettuare solo nei
casi di gravi malattie. Ma sappiamo già che, come è stato per la legge 194, si
tratta di una severità facilmente aggirabile, anche solo invocando l’incapacità
psicologica della madre di accettare il figlio imperfetto qualora la malattia
non sia così grave in se stessa.
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