A torto o a ragione, Piero Martinetti
(1872-1943) è considerato uno dei pensatori italiani più creativi del primo
Novecento. Indubbiamente, il filosofo piemontese si distinse per l’originalità
e persino per l’eccentricità, almeno per quell’epoca, di alcune sue scelte:
basti pensare ai suoi studi sulla razionalità degli animali o alla sua passione
per la più antica tradizione filosofica indiana, la Sākhya, che lo influenzò
nella sua opzione in favore del vegetarianismo e dell’animalismo. Lo scrive
Carlo Maria Polvani aggiungendo che strenuo oppositore della prima guerra
mondiale, nel 1923 Martinetti rinunciò alla nomina alla Reale Accademia dei
Lincei, nel 1925 non aderì né al Manifesto degli intellettuali fascisti di
Giovanni Gentile né al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto
Croce e, nel 1931, fu il solo filosofo universitario a rifiutarsi di firmare il
giuramento di fedeltà al fascismo. Bandito dall’insegnamento, diresse in vesti
officiose la «Rivista di filosofia» e scrisse Gesù Cristo e il Cristianesimo e
Il Vangelo, che furono messi all’indice dal 1937, in quanto riducevano la
figura di Gesù a quella di un maestro ebraico propositore di una dottrina
sapienziale e moraleggiante.
Questi atteggiamenti iconoclastici rendono
ancora più intrigante la decisione dall’editrice Castelvecchi di rieditare —
corredandolo da una interessante prefazione del professor Niccolò Argentieri —
un affascinante articolo che Martinetti pubblicò nel 1927 con il titolo Il
numero. L’obiettivo che il filosofo di Pont Canavese si prefissava in tale
breve saggio era quello di esplorare il concetto di numero da una prospettiva
genuinamente gnoseologica, ossia di indagare l’origine del linguaggio numerico
per capire se esso precedesse l’esperienza — e, quindi, era da ritenersi innato
all’uomo — o se esso derivasse dall’esperienza e, pertanto, era da considerarsi
di origine empirica.
Nessun commento:
Posta un commento