In un discorso su «La santità come criterio esemplare del
principio cristiano», John Henry Newman approfondisce alcuni pensieri. Come è
per lui usuale, parte dalla coscienza, da quell’istinto del cuore che
«suggerisce all’uomo la differenza tra il bene e il male e costituisce il
criterio per valutare i pensieri e le azioni» (Sermoni cattolici, 57).

La luce
della coscienza ci è data per guidare l’anima nel suo cammino verso il cielo,
«per additarci il nostro dovere in ogni circostanza, per istruirci in
particolare intorno alla natura del peccato, per renderci atti a giudicare tra
tutte le diverse cose che ci si propongono, e sceverare il prezioso dal vile;
per impedire che fossimo sedotti da ciò che ha un’apparenza grata e piacevole;
per dissipare i sofismi della nostra ragione» (ibidem, 58).
Per essere in grado di compiere questa missione, la coscienza
«ha bisogno di essere guidata e sostenuta; lasciata a se stessa, anche se, in
un primo momento, si esprime secondo verità, tende in seguito a farsi incerta,
ambigua e falsa. Per mantenersi sulla via del dovere, ha bisogno di buoni
maestri e di buoni esempi» (ibidem, 57). Ora la tragedia, secondo Newman, sta
nel fatto che questi necessari maestri ed esempi spesso ci mancano. Anche in
Paesi che si vantano di essere cristiani, la luce nel cuore di tante persone si
è fatta fioca e impotente, perché non hanno più un’idea chiara di Dio e di ciò
che è vero, buono e bello. Per caratterizzare queste persone, Newman impegna
un’immagine forte: assomigliano a uomini che vivono in caverne sotterranee:
«Laggiù lavorano, laggiù prendono i loro piaceri, laggiù forse muoiono»
(ibidem, 58). Esse non vedono mai la luce del giorno e, sebbene abbiano occhi
come tutti, non possono formarsi un’idea esatta dello splendore radioso del
sole, dei bei cieli inarcati, degli spazi azzurri, dei monti impervi, del verde
ridente dei prati. E poiché non possono rimanere nelle tenebre, si creano delle
proprie luci. Esse, infatti, per un bisogno della loro natura, devono poter
levare lo sguardo verso qualche cosa di alto e, se non sanno nulla di Dio e dei
suoi santi, si creano degli idoli che diventano oggetto della loro adorazione
(cfr. Sermoni cattolici, 61).
di Hermann Geissler
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