La bioetica è nociva? In un intervento intitolato «The moral
imperative for bioethics», pubblicato nei giorni scorsi in «The Boston Globe»,
lo psicologo Steven Pinker sostiene che il primo dovere morale della bioetica
dovrebbe essere togliersi di mezzo: un bioeticista che rispettasse davvero
l’etica non dovrebbe, secondo Pinker, ostacolare la ricerca con principi
nebulosi come “dignità”, “sacralità”, “giustizia sociale”.

Secondo Pinker la
bioetica impedisce il raggiungimento di risultati benefici per l’umanità
perché, ingiustamente, vede nella ricerca la causa di catastrofi future simili
“alla bomba atomica” o a un “circo dei mostri con eserciti di Hitler clonati”.
Soprattutto da una decina di anni accade periodicamente che qualche autore, più
o meno noto, scriva pesanti accuse contro la bioetica e scateni un notevole
baccano, anche se in genere di breve durata. L’intervento di Pinker ha
suscitato un diluvio di commenti, che hanno inondato non solo i vari blog e
forum online, ma anche riviste scientifiche di ogni livello, incluse le più
prestigiose, come «Nature».
Alcuni concentrano le
critiche principalmente sui comitati etici. Altri — e Pinker è sulla scia di
questi — criticano soprattutto il fatto che la bioetica richiami continuamente
i valori fondamentali. Secondo tali autori i valori fondamentali sono (nella
migliore delle ipotesi) inutili, oppure addirittura un nocivo fardello. La
“dignità umana” è uno dei principi più criticati: si possono ricordare a questo
proposito, per esempio, il noto articolo di Ruth Macklin pubblicato nel 2003
nel «British Medical Journal» con il titolo «Dignity is a useless concept»,
nonché il duro intervento dello stesso Pinker nel 2008 sulla “stupidità della
dignità” (ma anche le decine di commenti critici che entrambi hanno ricevuto).
Nel 1982, in un celebre saggio, il filosofo Stephen Toulmin
sostenne che la bioetica, da circa un decennio configuratasi come disciplina
autonoma, avesse salvato l’etica: infatti, secondo Toulmin, i nuovi risultati
della medicina raggiunti negli anni precedenti (per esempio trapianti, dialisi,
progressi della genetica, pillola contraccettiva) costrinsero gli eticisti a
confrontarsi con problemi concreti e a trovare soluzioni operative,
abbandonando inutili speculazioni astratte.
Oggi ci si potrebbe chiedere se l’etica abbia restituito il
favore alla medicina. Leggendo Pinker, così come altri autori critici verso la
bioetica, dovremmo dare risposta negativa: la bioetica sembrerebbe un ostacolo
soffocante che impedisce il progresso della biomedicina.
In realtà, con un’analisi scevra da pregiudizi,
difficilmente si può affermare che la bioetica impedisca o abbia impedito alla
ricerca il raggiungimento di risultati. Nei vari commenti a Pinker, molti
autori sottolineano innegabili (e abbastanza ovvie) evidenze, e in particolare
il fatto che l’etica non contrasta la ricerca e il progresso, bensì impedisce
che essi causino gravi danni alle persone. Si possono citare, a questo
proposito, numerosi esempi di ricerche che, in assenza di un vaglio etico, sono
state condotte violando gravemente i diritti umani. A chi dimentica ciò si
potrebbe suggerire la lettura, per esempio, di The abuse of man di Wolfgang
Weyers o di Dark medicine di William R. LaFleur e coautori. L’accusa secondo
cui il richiamo ai principi fondamentali, come la dignità della persona e la
giustizia, costituisce un ostacolo è, quindi, facilmente smentita dai fatti.
Vi sono, però, altri modi con cui la bioetica può diventare
un freno alla scienza. Due tra questi meritano particolare attenzione: la
burocratizzazione e la perdita di vivacità culturale. La burocratizzazione è un
problema reale. Il secondo rischio, e cioè la perdita della funzione di stimolo
da parte della bioetica, fu messo in evidenza già nel 1999 da Albert R. Jonsen
in una lectio magistralis tenuta all’American Society for Bioethics and the
Humanities. Dalla lectio fu tratto un gustoso articolo intitolato «Why
bioethics has become so boring?». Secondo Jonsen la bioetica è diventata noiosa
per molte ragioni. Una di queste è il fatto che
la bioetica è diventata una riverita parte del mondo della medicina e
della scienza. Al contrario, i primi bioeticisti, agli inizi degli anni
Settanta del secolo scorso, erano outsider e gli scienziati li percepivano come
stranieri. L’etica non ha soffocato la
medicina, ma forse ha bisogno di essere nuovamente salvata, per affrancarsi
dalla burocrazia, dalle sterili dispute politiche, dallo stato liquido tipico
di tanta parte delle nostre società.
di Carlo Petrini
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