Ci siamo da poche ore lasciati alle spalle le grandi parole e
riflessioni che ogni anno si ripetono – ovviamente con ragione – nei vari
palcoscenici televisivi, radiofonici, politici che sembra ritornare sempre più attuale
la spettrale immagine dell’inutile strage accaduta durante la guerra mondiale.
I testimoni di quegli avvenimenti parlano di atrocità, di inferno, di sonno o
deviazione della ragione e della libertà umana. Ma mi chiedo: cosa
rappresentano per l’Europa i circa centoventimila migranti, di cui molti
bambini, morti tra le acque del nostro Mediterraneo?
Sembriamo non voler dimenticare giustamente il passato, ma al
tempo stesso sembriamo essere ciechi davanti al presente, non meno tragico di
decenni fa. Vediamo giorno dopo giorno corpi umani divenuti freddi cadaveri
arrivare sulle spiagge europee trascinati dalle onde e sembra che dinanzi a
queste vite negate si alzi solo il grido forte della paura. Gli altri, le altre
culture ci fanno paura, la fraternità fa paura. Ma la fraternità e la diversità
è una sfida che ci rimanda ad una dimensione alta della vita. Una sfida che
consiste nell’imparare ad abitare anche la conflittualità che può nascere tra
gli esseri umani nel momento che si trovano a vivere l’uno accanto all’altro.
Le relazioni non possono essere costruire o basate sul “mi
piace” o “non mi piace” tipici di social network come facebook. Imparare a conoscere l’altro e ciò di cui l’altro è
capace è essenziale. Stigmatizzare una persona, costruire muri e non ponti non
produrrà mai una società fraterna.
Quei migranti sono uomini e donne e bambini…persone che solo
perché tali esigono da noi quella “cura” di cui parlano alcune delle parabole
raccontate nei vangeli. E il termine “persona” rimanda di per sé al volto. Nel
Mediterraneo sono stati sfigurati centoventimila volti! Affermava lo scrittore
svizzero Max Picard nel 1962: «Non è senza turbamento che si guarda un volto,
poiché esso esiste innanzitutto per essere guardato da Dio…E’ soltanto
nell’atmosfera dell’amore che un volto umano può conservarsi tale quale Dio lo
creò, a sua immagine. Se non è circondato d’amore, il volto umano si
irrigidisce e l’uomo che l’osserva ha allora davanti a sé…soltanto la materia
senza vita» di cui si sta riempiendo il nostro mare.
L’Europa si sta sgretolando come la famosa torre di Babele.
Si parlano le molte lingue della finanza, della tecnica, del diritto, della
giustizia ad ogni costo ma non ci si capisce più, in quanto manca l’unico
linguaggio che unisce tutti, quello della misericordia. «La giustizia non basta
- sosteneva nel 1949 don Primo Mazzolari – essa è nelle mani di pochi, la
misericordia è nelle mani di tutti…Dove la giustizia si ferma, la misericordia
continua». L’Europa li rinchiude nel lager
dell’etichetta “immigrati”, ma loro
sono cuori che amano, sorrisi di donne, lacrime di uomini, pianti e voci
tremolanti di bambini…dove è la pietà? a quando la fine di questa inutile
strage?
È giusto accogliere tutti? È giusto rimandarli a casa,
chiudere le porte, innalzare dei muri? È giusto…Dice Mazzolari: «La giustizia
pianta un limite, afferma un diritto: cose che sembrano necessarie per vivere
insieme. E lo sono. Ma se la siepe non si apre, se la muraglia non ha una
fessura, se non si affaccia alla finestra un volto, se non sentite una mano che
vi stringe, ditemi che cosa diventa la giustizia?» E come sussurrò Giovanni XXIII ai
carcerati di Roma, mettiamo i nostri occhi nei loro occhi, il nostro cuore nel
loro cuore perché loro hanno bisogno di essere guardati senza vergogna, senza
paura, ma testimoniando di sentirci uomini di fronte ad altri uomini.
E mentre i politici del nostro vecchio ma poco saggio
Continente pensano a delle soluzioni per risolvere o gestire il problema dei
migranti, cerchiamo di non farci trascinare nel vortice del loro gioco in
quanto gli esseri umani non sono mai un problema o una questione da sbrigare ma
esseri viventi da curare!