martedì 19 gennaio 2016

Meditazione come antitodo alla fuga da se stessi

Il lavoro, l’agitazione, le chiamate, gli impegni. Tutto sembra cospirare per distoglierci da noi stessi. Alla fine, ovunque siamo, la domanda «chi sono?», che risuona di continuo, non ottiene risposta. Ci affanniamo allora per riempirci di più lavoro e più agitazione, di più impegni e più corse, di più andirivieni, messaggi, chiamate, commissioni, appuntamenti.

Facciamo di tutto pur di non ascoltare quella domanda insopportabile e insistente: chi sono? dove vado? che senso ha il mondo? Ma quella domanda, comunque la formuliamo, sta sempre lì, palpitando costantemente, nascosta dietro l’angolo. Lo scrive Pablo d’Ors aggiungendo che in un volto che incrociamo. In un secondo che sembra non passare mai. Nel rumore del termosifone, nel gocciolio di un rubinetto, o in una sveglia che suona. «Chi sei? Dove vai? Che fai qui? Che stai facendo della tua vita?». Tutto per sapere una sola cosa: «Sono amato? Ho diritto a esistere?». Infine accade qualcosa.
Infine ci fermiamo. Forse solo per un minuto. Forse per due o tre o per pochi secondi. Allora la domanda risuona chiaramente e alla fine ci arrendiamo. Che bello è il momento della resa! Che bello quando gettiamo le armi e, nudi, ci arrendiamo a quell’evidenza che è la vita e che ci ostiniamo tanto a coprire!
La vita, è questo tutto il mistero. La paura, è questo tutto il nostro problema. Meditiamo per non sfuggire dalla vita. Per ascoltare quella domanda. Per lasciarla palpitare, come se fosse viva. Meditiamo per imparare a fermare la macchina dei desideri e il motore dei pensieri. Per fare una sosta nella corsa. Per entrare in sintonia con l’universo, questa sì che è una bella definizione di meditazione. Per renderci conto che facciamo parte di un tutto, di una realtà superiore.
 
 

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