LA MISERICORDIA CHE DONA PACE ALLA TUA STORIA
Per riconoscere le orme di Dio nella nostra storia personale vogliamo seguire il
percorso compiuto dall’ebrea Etty Hillesum.
1) NOTIZIE
BIOGRAFICHE
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Etty nasce il 15 gennaio 1914 a
Middleburg nei Paesi Bassi
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È un’ ebrea non praticante e non
credente
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Studia ad Amsterdam diritto, lingua e
letteratura russa
-
Si perde in varie relazioni sessuali che
le fanno acquisire sono insicurezze, mancanza di amor proprio e di stima per la
sua persona
-
Incontra il 3 febbraio 1941 il chirologo
Julius Spier, l’ostetrico della sua anima, con il quale inizierà la dura
battaglia di un vero e proprio cammino di umanizzazione
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Il 16 luglio 1942 inizia a lavorare per
il Consiglio ebraico nazionale
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Il 30 luglio 1942 si licenzia per andare
a fare l’assistente sociale nel campo di smistamento di Westerbork
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Il 7 settembre 1943 viene deportata in
treno ad Auschwitz
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Il 30 novembre 1943 viene uccisa
Scrive Etty nel suo Diario l’11 gennaio 1942 alle ore 23.30: «Un anno fa ero proprio
una moribonda, con le mie sieste di due ore e il mio mezzo chilo di aspirine al
mese, era una situazione da far paura. Ormai è “letteratura antica” […]:
Bisogna osar dire che si crede. Osar pronunciare il nome di Dio».
2) QUALE
DIO
A volte sembra che “Dio” sia per noi solamente una
metafora, un suono primordiale, una costruzione di sostegno: di questo Dio non
ne abbiamo bisogno!!!
Dio, invece, è la sorgente molto profonda che è
presente dentro di noi e che spesso è coperta, sepolta, sotto cumuli di pietre
e di sabbia.
Noi siamo dei pozzi
e non delle cisterne: non dobbiamo
portare l’acqua dentro di noi, in quanto essa è già presente in noi.
Il cammino della misericordia allora consiste in un
lento scavo interiore alla ricerca del protofondamento della nostra esistenza,
il quale scopriamo non essere fuori di noi, ma proprio dentro di noi.
Recuperare la relazione con Dio significa percorrere
un cammino di vera umanizzazione, di
ingresso nell’età adulta dell’essere persona, passando dall’esteriorità
all’interiorità. Vedremo che in questo percorso sarà centrale il momento della
misericordia.
Lo scavo:
o
il silenzio:
quell’ora quieta o di pace, la mezz’ora buddhista che la porta a vincere il suo
egocentrismo e a prendere coscienza dei propri limiti e delle proprie pause;
o
la vergogna:
il fare verità su se stessi può portare a sentimenti di sfiducia, all’emergere
di immagini negative di sé, a prendere coscienza di difficoltà di carattere
affettivo, uno «sconfinato senso di solitudine, la percezione che la vita è
così terribilmente difficile, che bisogna fare tutto da soli, che l’aiuto
dall’esterno non è possibile, e insicurezza, paura, tutto era lì dentro di me.
Un minuscolo frammento del caos che, all’improvviso, mi guardava dal profondo
dell’anima». Etty si sentiva nell’intimo «prigioniera di un gomitolo
aggrovigliato […] non sono altro che una poveretta piena di paura»;
o
la ribellione:
sperimento in me stesso di disattendere alle mie aspettative di amore e faccio
esperienza del “fallimento dell’amore”, il quale può generare in me una forma
di ribellione che mi porta ad accusare Dio della tragedia della mia esistenza,
incolpandolo di aver permesso la colpa o di aver addirittura dato l’esistenza
al diavolo che ha causato quel male: ci vogliamo “deresponsabilizzare” dalla
domanda della Genesi: «dove sei?»;
o
la sacra
Scrittura: compagna di vita, guida nelle scelte da compiere, la cui lettura
reca equilibrio e serenità. Scrive Etty nel suo Diario: «Che forza primordiale vien fuori dall’Antico Testamento
[…]. Magnifiche figure, forti e poetiche, vivono in quelle pagine. Un libro
davvero avvincente, aspro e tenero, ingenuo e saggio, interessante non solo per
ciò che dice, ma anche perché permette di conoscere chi lo dice»;
o
la preghiera:
è il piccone da usare per scavare fino alla sorgente. Pregare è:
§ affidarsi
a
Dio sentendolo presente e vivo durante questo cammino di discesa interiore;
§ ringraziare
un Dio che mai ci abbandona e che abita dentro
di noi e ringraziarlo ogni mattina per come si è;
§ dialogare
«in modo pazzo, infantile o serissimo con la parte più profonda di me»;
§ permettere
a Dio di trasformare nel cuore la nostra esistenza. La preghiera dona
forza, pazienza e fortezza in questo cammino di umanizzazione;
§ intercedere
per qualcuno donandogli forza nel sopportare le difficoltà della vita ed
accettare il quotidiano;
o
l’atto
umano della fede: la fede non è solo dono di Dio ma anche virtù, atto
conoscitivo umano guidato dalla volontà nel quale si accetta una verità in
quanto amabile.
3) MISERICORDIA
ED UMANIZZAZIONE
A cosa porta questo scavo interiore? Etty ci insegna,
con la sua esperienza e la testimonianza della sua vita in un momento
difficilissimo della storia dell’umanità, nel quale si è vissuto il periodo
infernale del sonno di una ragione che ha abdicato all’umanità, come direbbe la
scienziata e filosofa Helene Metger, che questo scavo l’ha portata ad acquisire
fiducia in se stessa:
ü guardandosi
come un prodigio
ü considerandosi
un balsamo per molte ferite
ü definendosi
il cuore pensante della baracca
ü dominando
l’odio e trasformandolo alla lunga in amore
ü facendo
sì che il dolore e la sofferenza diventino una parte di noi stessi, del nostro
corpo e della nostra anima senza fuggirli ma sopportandoli da persone adulte
ü non
permettendo al male di divenire odio dando sfogo a piani di vendetta che
porteranno solo ad una crescita del dolore interiormente ed esteriormente
ü non
cercando le proprie comodità ma l’esserci e il guardare in faccia la realtà che
ci circonda
ü giudicando
la vita bella nonostante le fatiche e le atrocità che si vivono
ü scoprendo
la bellezza del mondo che ci circonda (es. gelsomino)
ü accogliendo
la morte come il momento in cui la vita diviene completa (es. rosa tea)
ü perdonando
se stessa (accettando le proprie pause) e gli altri (i nemici sono vittime
della sofferenza e persone da amare e da salvare)
ü dando
un nuovo senso alle cose attinto dai pozzi profondi della miseria e della
disperazione
ü il
riconoscere in Dio la vera fonte della gioia: «Il mondo rotola melodiosamente
dalla mano di Dio» (Verwey)
ü il
riconoscere in Dio il nostro «alto ricetto» (rifugio)
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