- Nei siti internet Giuda è giudicato negativamente e fino a cinquant'anni fa, poco prima del Concilio, non si aveva di lui una impressione positiva. E' il personaggio più diffamato dei Vangeli. Dante Alighieri lo pone nell'inferno e lo priva del volto, ritenendolo immagine della dannazione.
- Giuda rientra però tra gli apostoli, i quali sono stati tutti scelti da Gesù in persona e sembra difficile credere che egli si sia potuto sbagliare.
- Don Primo Mazzolari, prima del Concilio Vaticano II, fu il primo a guardare a Giuda in un'ottica diversa: nel giovedì santo del 1958, durante una sua omelia, parlò del "nostro fratello Giuda" e più volte ripeté l'esclamazione "povero Giuda, povero fratello nostro".
- Dai Vangeli sappiamo di Giuda solo due informazioni: a) faceva parte dei Dodici; b) facilitò la cattura di Gesù.
- Il suo tradimento secondo alcuni studiosi dovrebbe essere fatto risalire a motivazioni di natura politica, facendo egli forse parte del gruppo degli zeloti e in particolar modo dei sicari. Stando sempre ai loro studi sembra che "Iscariota" fosse una deformazione del latino "sicarius". Gli apostoli, essendo giudei, attendevano un messia forte, un liberatore del popolo dalla dominazione romana...Gesù sembrava tradire questa loro aspettativa!!!
- Il Vangelo di Giovanni possiede le espressione più dure nei confronti di Giuda rispetto ai sinottici. Sembra detestare questo apostolo. Secondo Romano Guardini il Quarto Vangelo non fa altro di porre sulle spalle di Giuda tutta la colpa di coloro che lo hanno tradito e rinnegato.
- Il tradimento di Giuda è raccontato in maniera differente nei Vangeli:
- per i Sinottici, Giuda vende Gesù per 30 denari, una cifra davvero ridicola, secondo un patto preso da tempo;
- per Giovanni, la decisione del tradimento è maturata durante l'ultima cena. Inoltre non è presente in questo vangelo il bacio, in quanto l'evangelista vuole sottolineare come luce ed ombre non si possono nemmeno sfiorare.
- I vangeli non usano il verbo "tradire" ma "consegnare", per cui Giuda facilitò l'arresto di Gesù "consegnandolo" loro.
- Giuda fu vittima del fraintendimento dei discepoli sul messianismo di Gesù. La morte di Cristo portò infatti in loro smarrimento e scandalo. Conservare la fede per loro costò molta fatica.
- Secondo alcuni studiosi Giuda non voleva far del male a Gesù, ma solo suscitare un confronto tra lo stesso Gesù e le autorità giudaiche, affinché il Maestro rivelasse il suo essere anche il Messia atteso. Nel momento in cui comprende di essere stato solo manipolato dalle autorità giudaiche, si pente, vorrebbe restituire il denaro, non scappa come gli altri apostoli, ma proclama Gesù innocente.
- L'agire di Giuda allora è quello di un uomo che ha profondamente amato Gesù ma non lo ha al tempo stesso molto capito.
- Come è morto Giuda? In realtà non lo sappiamo. Quello che è sicuro è che dopo l'arresto di Gesù esce di scena. Per il Vangelo di Matteo è morto impiccato. Per gli Atti degli Apostoli ha comperato un terreno ed in esso è caduto spappolandosi tutte le viscere, quasi una punizione divina. Questi due racconti della morte di Giuda potrebbero essere però solo delle morti simboliche, in quanto rimandano a due episodi veterotestamentari.
- Giuda imparò a sue spese che con il potere non ci si può mettere d'accordo, ma di sicuro non può essere giudicato un vile traditore. Ed il "guai" riportato da Mc 14, 21 non deve essere interpretato come una condanna pronunciata da Gesù ma una commiserazione, in quanto era la parola che veniva pronunciata nel lamenti al morto.
Si sacrifica l'essenza della fede ogni volta che si smarrisce la convinzione razionale del suo fondamento. La fede viene così ridotta ad essere una cieca credulità (Wolfhart Pannenberg)
giovedì 26 marzo 2015
Il nostro fratello Giuda: amico di Gesù o traditore?
Nel pomeriggio di giovedì 26 marzo nel Cenacolo San Marco di Terni l'ISTESS (Istituto di Studi Teologici e Storici) ha organizzato una conferenza tenuta dalla teologa ternana Lilia Sebastiani intorno alla figura dell'apostolo Giuda. Riassumo di seguito alcuni punti del suo interessante intervento.
sabato 21 marzo 2015
Il "doppio processo" a Gesù: un paradosso di cattiveria ed amore
Si è tenuto nel pomeriggio di sabato 21 marzo
2015 nell’Auditorium dei Poveri di Rieti la conferenza-dibattito del professore
Massimo Casciani su quello che può essere ritenuto uno dei nodi più controversi
e dibattuti della vita di Gesù Cristo. Fin dall’inizio, il noto insegnante, ha
mostrato come ogni anno siano molti gli scrittori e gli studiosi che non
perdono l’occasione di versare molto inchiostro per cercare di risolvere i
numerosi dubbi e le molteplici perplessità che provengono dalla narrazione
fatta dai quattro evangelisti della passio
Christi.
Casciani ha mostrato fin dall’inizio,
per esempio, come sia difficile ritenere che Gesù abbia veramente subito un
processo prima di essere condannato a morte. In un volume scritto dai fratelli
Lemann, infatti, sembra che solo il cosiddetto processo giudaico a Gesù
contenga ben 27 errori giudiziali, mentre Ratzinger nella famosa ricerca su
Gesù di Nazareth afferma che più che di processi si debba essere trattato di
due interrogatori, quello giudaico prima, quello romano poi.
I vangeli ci narrano che il Nazareno fu
portato di notte davanti al Sinedrio, il quale era composto di ben 71 membri
tra sacerdoti, scribi, anziani, presidente e vicepresidente. Esso era l’organo
preposto alla amministrazione della giustizia, alla dichiarazione di guerra,
alla interdizione di una città e anche al sentenziare pene di morte, cosa
questa che poteva essere fatta solo riunendosi in una specifica sala, detta
delle pietre squadrate. Al sinedrio – ha spiegato il professor Casciani - era
vietato fare udienze notturne, di sabato o alla vigilia di una festa, e prima
dell’alba. Oltretutto prima di emettere la sentenza il sinedrio doveva
ascoltare almeno due testimoni per informarsi della veridicità dell’accaduto.
Tutto questo per Gesù non avvenne!!!
Siccome poi l’imperatore romano, dopo la
conquista della Palestina, aveva tolto lo ius
glaudii, ossia il diritto di commisurare pene capitali, ai giudei, in caso
di messa a morte del condannato si doveva procedere ad un secondo processo
tenutosi nel pretorio romano. Così è stato fatto anche per Gesù, solo che – ha
sottolineato Casciani – tra i due processi dovevano trascorrere almeno cinque
giorni e non si doveva cambiare capo d’accusa. Tutto questo per Gesù non
avvenne!!! Si svolse tutto in un brevissimo lasso di tempo e le accuse
giudaiche di aver bestemmiato, essendosi proclamato figlio di Dio, e di aver
espresso la volontà di distruggere il Tempio di Gerusalemme, davanti a Ponzio
Pilato, si trasformano in una sola accusa: l’essersi fatto re dei Giudei.
Perché è accaduto tutto questo? Il
conoscere l’esattezza di come si sono svolti i fatti quale contributo può
apportare alla fede del credente? Queste sono state solo alcune delle
molteplici interessanti questioni che la conferenza del professore di religione
reatino ha saputo suscitare in coloro che hanno partecipato. Secondo Casciani
diverse devono essere considerate le motivazioni che hanno portato alla
decisione di uccidere Gesù. Di sicuro non è bene trascurare i vari giochi di
potere che la predicazione e lo stile di Gesù, se accolti, sarebbero andati a
scardinare. Dall’altro lato, però, pensandola più positivamente, si potrebbe sostenere
che i sacerdoti volessero vedere da parte del Nazareno il compiersi di un fatto
straordinario per poter credere che lui fosse veramente il Messia, dato che
molteplici persone a quel tempo affermavano di esserlo e non potevano bastare
loro i miracoli che egli aveva compiuto.
Di sicuro, quella data a Gesù di
Nazareth, è stata una morte tremenda e crudele poiché si voleva che fosse
esemplare per tutti. E la specificità storica di questa morte, raccontata dagli
evangelisti non con i criteri di una biografia, consiste nell’essere stata
determinata da un processo “sui generis”, da una condanna ingiusta e da
un’esecuzione violenta.
Nel processo compiuto a Gesù – ha
sottolineato Massimo Casciani – è inoltre possibile ritrovare gli stessi
elementi e personaggi che spesso compongono i processi di tutti i tempi, da
Socrate ai giorni nostri, come, per esempio, i falsi testimoni e la folla, la
quale accusa e condanna, cambiando parere con estrema facilità.
Ma cosa dice all’uomo di oggi l’evento
del doppio processo a Gesù? Esso, secondo Casciani, rimane per tutta l’umanità
l’incredibile testimonianza di un Dio che vuole salvare l’essere umano divenendo
egli stesso l’uomo “peggiore” di tutti, facendosi uno “zerbino” per portare
ognuno di noi ad essere un vero “tappeto volante”.
giovedì 19 marzo 2015
Media, immagini, sentimenti
Quando scelsi di fare il giornalista mi dissero che
dovevo essere una macchina programmata per suscitare emozioni senza però
poterne avere. La televisione fornisce immagini che sono stimili ma non
sentimenti. È importante quindi insegnare agli allievi a leggere tra le righe e
a leggere le immagini. Esse sono costantemente persuasioni.
Non siete voi a guardare la televisione ma la
televisione a guardare voi. Basta pensare alla campagna elettorale. Il margine
di persuasione durante la campagna elettorale è pari a zero. La persuasione si
fa prima. In quei giorni si dà agli elettori solo l’illusione di aver scelto.
Come lo si fa? Con l’immagine.
-
Pensiamo alle torri gemelle: dei
disperati si buttano giù per non venire bruciati. Non è vero niente. Quell’uomo
era semplicemente svenuto per le esalazioni e lo si vede da come era posto il
suo corpo nel cadere.
-
Pensiamo al cormorano nero in
pozzanghere di petrolio trasmessa durante la guerra in Iraq: è stata una foto
rubata dall’affondare di una petroliera.
Non c’è bisogno nemmeno del photoshop basta la frase giusta! Le immagini-shock usate dall’Isis rientrano in questa logica…una guerra
combattuta con i mezzi dell’immagine. L’Isis sa bene che il potere di quelle
immagini valgono più delle battaglie, suscitano in chi le guarda delle
reazioni. Le vittime degli sgozzamenti vengono abituati a sgozzamenti finti
finché poi arriva quello vero: il tutto per trasmettere l’immagine di
sottomissione. L’immagine è un arma usata dai terroristi.
Siamo dei consumatori e siamo sottoposti ad un
continuo tentativo di persuasione. Ci spingono ad immedesimarci nelle persone
ritratte da quelle immagini. Immagini costruite il più delle volte ad arte.
È importante allora non farsi assuefare dalle
immagini, è fondamentale pensare con la nostra testa e confrontarsi tra noi.
di Alessio Porcu
giornalista
martedì 17 marzo 2015
L’amore e l’amicizia nell’era tecnoliquida: da Facebook al sexting
Stiamo crescendo delle generazioni di bambini che
fanno tutto con la tecno-mediazione della relazione. Nel passato due persone guardandosi
negli occhi erano in grado di entrare nei bisogni dell’altro creando azioni di
solidarietà, amicizia ed amore. La grande evoluzione tecnologica e digitale ha
portato a far sì che una bambina di tre anni riesca benissimo ad usare un i-pad ma non sappia cosa fare con un
libro. Siamo alle soglie di una mutazione antropologica. Siamo davanti a
dei “nativi digitali”. Noi siamo per lo più degli “immigrati digitali”, siamo
affascinati dal digitale tanto da tentare di viverci dentro.
La tecnologia digitale è un mondo da
abitare, che genera nuovi assetti cognitivi ed affettivi.
Dai sette anni in poi i bambini considerano superflui gli adulti, in quanto
trovano in internet dei tutorial che rispondono ai loro quesiti. Colui che
inventa facebook è un ragazzino di 17
anni ubriaco appena lasciato dalla fidanzata, il quale ha cambiato il modo di
stringere amicizia e relazionarsi. Si generano così vari fenomeni:
-
la rappresentazione di se stessi,
siamo dei cartelloni pubblicitari di noi stessi. A tutti noi interessa il come
ci si rappresenta e non tanto il come siamo. Il punto di arrivo è più
importante del punto di partenza. I google
glass sono degli occhiali che mi permettono di vedere delle cose prima
ancora di entrarvi e parteciparvi con il solo battere degli occhi. Posso usarli
anche per sapere notizie sugli altri prima di conoscerli. È un narcisismo
digitale legato al livello di popolarità che si ha. Livello di
popolarità = livello di autostima. È il bisogno di rappresentare
l’esperienza che ci porta subito a condividerla, esaltando l’emozione senza
pensare l’esperienza. La mia relazione con te ha senso solo se è emotiva e non
se è sentimentale. Non c’è più narrazione di se stessi. Se l’amicizia è
condivisione i miei amici saranno coloro che condividono con me post, foto, canzoni, etc. Non a caso
l’inventore di facebook era un
disadattato!
-
essere continuamente mix, partecipando
contemporaneamente ad un gruppo e ad un altro opposto e sentendosi all’interno
di una continua trasformazione. Questo porta all’ambiguità e al cadere il tema
del ruolo e della responsabilità nei confronti dell’altro. Se non c’è più
“essere con” non c’è nemmeno “essere per”. Le relazioni si chiudono con un sms
o attraverso la chat.
-
la velocità,
vista come una necessità per essere di successo e non sentirsi fuori. Dalla
dimensione spazio-tempo a quella spazio-velocità. Sparisce l’attesa e
non vi è più la possibilità di star soli. Negli interstizi sociali irrompe
l’umanità (amicizie, litigi…) ma vengono considerati oggi troppo lenti. La
velocità fa sì che amicizia ed amore si consumino velocemente. Non c’è più modo
di sopportare le frustrazioni.
Noi siamo l’ultima
generazione che ha vissuto una dimensione pre-digitale e siamo chiamati a
consegnare agli altri, che sono “nativi digitali”, ciò che riteniamo davvero
importante e non da buttar via: il bisogno di incontrare l’altro nella sua
alterità e in maniera autentica. Questo è il compito che abbiamo e che
permetterà di salvaguardare ciò che è prettamente umano: il dare è la migliore
forma di comunicare!!!
di Tonino CANTELMI
domenica 15 marzo 2015
I sentimenti di Gesù
La compassione. Esso è un sentimento che
nasce dinanzi al bisogno dell’altro. Quando una donna ha un bambino nella
pancia lo sente parte della sua vita. Sentire l’altro come parte della mia
vita, questa è la relazione suscitata dal sentimento. La compassione è ciò che
fa la differenza: non basta il vedere. Bisogna fermarsi perché la compassione
cambi il rapporto e renda un estraneo un familiare. Il cristiano rende
l’estraneo un suo amico. I Vangeli insistono sul vedere come fonte della
compassione. Spesso non vediamo il dolore degli altri.
La misericordia. Essa è provocata dalla
compassione ed è un tratto tipico del Dio di Israele.
L’ira e l’indignazione. Dio si
arrabbia molte volte, non è indifferente al male, se ne occupa in quanto è il
Dio del pathos. Dinanzi
all’ingiustizia e al peccato Gesù si irrita, perché per lui occorre compiere il
bene, occorre guarire, manifestando la gratuità del rapporto con Dio. Non si
può essere indifferenti davanti al male.
Il pianto. Esso più che un sentimento è
l’espressione di un sentimento. Gesù molte volte pianse, per esempio verso
Gerusalemme accorgendosi della violenza e del rifiuto della pace. L’annuncio
del vangelo è annuncio di pace. Quando invia i discepoli a due a due devono
entrare nelle case dicendo: “Pace a questa casa”. Dinanzi alla morte di Lazzaro
Gesù piange in maniera accorata a testimonianza dell’affetto che lui provava
nei confronti di questa persona. Il suo pianto è frutto della tristezza e segno
di amore. E questo fa riflettere davanti alla sofferenza e alla violenza. Non
si può restare indifferenti.
La gioia. Essa è segno di comunione ed
amicizia. Si dice raramente che Gesù gioì. Egli gioisce nel vedere che i
discepoli vincono il male e che i loro nomi sono scritti in cielo nel cuore del
Padre. Gioisce di essere in unità col Padre e con i discepoli. È una gioia che
nasce dalla condivisione. In lui si realizza la pienezza dell’umanità in quanto
si allontana da ogni individualismo.
di Ambrogio SPREAFICO
Vescovo di Frosinone
sabato 14 marzo 2015
La Torah e i sentimenti
Due premesse:
-
per Thorà non intendiamo solo il
Pentateuco ma anche tutta la tradizione
-
vorrei mostrare come Legge e sentimento
non collidono fra loro
La tradizione ebraica lega il sentimento alla relazione,
tra gli uomini, tra l’uomo e Dio, entro Dio stesso.
a) La
relazione uomo – uomo
Abramo ed Isacco.
Ad Abramo è chiesto di sacrificare il figlio Isacco. Abramo sente il peso di
dover scegliere tra i sentimenti provati verso il figlio e quelli verso Dio.
Come può fare Abramo?
-
può congelare il suo sentire, ma questo
contraddice il testo biblico dato che i due continuano a chiamarsi come “papà”
e “figlio mio”.
-
Non abbiamo allora una spersonalizzazione
di Abramo. Il testo dice addirittura che “camminarono ambedue insieme”. Si
potrebbe pensare che il sentimento verso Dio possa rompere quello fra gli
uomini.
Isacco e Rebecca
oppure Giacobbe e Rachele sono l’esempio di coppie:
-
Isacco e Rebecca mostrano come il
sentimento si possa costruire in un percorso di educazione al sentimento e di
educazione all’amore. L’immediatezza del sentimento a volte sa di consumismo
del sentimento stesso.
-
Giacobbe e Rachele si innamorano in
maniera immediata mostrando la forza del sentimento dell’amore. Giacobbe è
figlio di Isacco e questo evidenzia come le due visioni opposte del sentimento
sono poste l’una dentro l’altra.
Il sentimento in ebraico esclude la esclusività,
dato che passa attraverso l’altro. L’amico è letteralmente definibile come
“mano mano” ossia come lo stringersi le mani vicendevolmente.
Altro esempio è dato dalla storia di Mosè,
salvato dalla figlia del faraone, ossia di colui che voleva la morte di tutti
quei bambini. Non sappiamo nulla circa l’educazione ricevuta da Mosè. Da adulto
Mosè vide la sofferenza degli ebrei, “mise i suoi occhi e il suo cuore per
soffrire come loro”. Andò a vedere e a sentire, in quanto non è sufficiente
solamente il vedere. L’inondazione di immagini, che ci bombarda di cose
tremende, non ci aiuta sempre anche a sentire, ossia a metterci il cuore. L’empatia
è la capacità di portare insieme, di mettersi nella condizione dell’altro. Ma
essa non serve solo quando l’uomo è in difficoltà. Essa deve accompagnare
l’uomo finché non torna almeno al suo stato di benessere originario. Mosè
impara da Dio: sul monte Sinai egli risponde “sarò colui che sarò”, ossia
“sarò colui che partecipa alle sofferenze del suo popolo oggi come in futuro”.
Dio si mostra in un roveto, in un misero arbusto, per mostrare la sua compartecipazione.
Sentire e sentire-con non sono coincidenti!!!
b) La
relazione uomo – Dio
Nello Shema
si mostra come l’ascolto sia seguito dall’amore. Nel cuore dell’uomo vi sono
due sentimenti, quello del bene e del male, e l’uomo si coinvolge con Dio solo
nella sua integrità. I buoni sentimenti sono solo una parte dei sentimenti
mentre la relazione con Dio deve essere totalmente coinvolgente.
c) La
relazione Dio-uomo
Nel Talmud è
detto che sappiamo che Dio prega perché si afferma, commentando Isaia, che Lui porterà gli uomini nella
casa della sua preghiera. Dio prega ma cosa? “Sia la mia volontà che la mia
misericordia abbia la meglio conquistando la mia ira e avendo il sopravvento su
tutte le mie misure”, una preghiera sentimentale. Dio è consapevole che tra i
sentimenti vi è anche l’ira e che ci si possa sforzare a far prevalere un
sentimento sull’altro. Dio questo domanda a se stesso, che la misericordia
conquisti l’ira.
La relazione va costruita su di uno zoccolo di
sentimento che sia un sentire-con
l’altro e a questo ci si può educare. Di ogni cosa si può costruire un percorso
che possa raggiungere un qualche obiettivo.
di Benedetto CARUCCI VITERBI
Preside Scuola Ebraica di Roma
venerdì 13 marzo 2015
I giovani, le emozioni e i sentimenti
Diversità tra il giovane della razionalità e il
giovane della affettività e la società è attenta al primo più che al secondo.
Occorre invece misurare anche l’affettività!!! La civiltà occidentale ha
bisogno di parlare, di raccontare tutto anche quello che non sa. Il linguaggio
e il pensiero non mostra l’affettività.
Razionalità è tutto ciò che nell’intelletto è ben
localizzato e che non è detto che debba identificarsi solo con il principio
logico di identità e di ragion sufficiente. A volte un giovane molto
intelligente non è detto che non trovi difficoltà nel comportamento, che è
guidato soprattutto dai sentimenti.
Distinguere le emozioni dai sentimenti. L’emozione
è una sensazione che si ha a seguito di uno stimolo, terminato il quale anche
l’emozione gradualmente scompare. È qualcosa di acuto provato dinanzi ad un
evento inatteso per esempio e riguarda tutto il corpo. Il sentimento
esprime un legame tra individui. Si avverte la presenza dell’assente, ossia lo
si prava anche in assenza della persona che ci fa vivere quel sentimento. È
come se quella persona l’avessimo interiorizzata (es. amore). Si ha bisogno di
chi non c’è (cfr. Cantico dei cantici).
Il sentimento è un legame che ci aiuta a vivere le incertezze per dare risposta
alle nostre paure. Fa parte del nostro essere come necessità dell’altro.
La presenza dell’assente apre tutto il capitolo del
sacro, del religioso (es. eremita).
Uno dei mondi vissuto dai giovani è il mondo o
meglio i mondi di internet: esso
dà emozioni ma non legami. Il tempo passato davanti a quelle immagini offre
degli stimoli che non generano mai legami. Per questo è necessario aumentare
sempre più lo stimolo per non scadere nelle assuefazioni. Internet non appaga
il bisogno di sicurezza, di appartenenza che è proprio dei sentimenti.
L’affettività è fatta di emozioni e sentimenti ed io
faccio l’elogio dei sentimenti non delle emozioni.
Educare vuol dire allora insegnare a vivere,
“allevare” in un mondo che è nuovo affinché la forza dei giovani non sia
solamente diretta verso il mondo di internet, dove ciò che non piace si clicca
e scompare.
In tutto questo la famiglia deve essere il luogo
dei sentimenti, dove il sentimento si fonda sul bisogno dell’altro.
L’educazione non è qualcosa di decorativo ma è qualcosa di essenziale. La
famiglia deve stabilire legami per educare.
La scuola non è scambiabile con la
famiglia e la famiglia non può pensare di delegare alla
scuola. La scuola stabilisce rapporti di stima, di interesse ma non è la
famiglia. Sono due agenzie educative diverse!!!
Anche la comunità genera legami come essere
parte di un insieme. Nella nostra società domina la “cultura” del nemico,
mentre il sentimento genera la cultura del legame, della benevolenza.
Oggi è un grande problema il rapporto tra
sentimenti e sessualità: quest’ultima viene privata del sentimento per
essere una fonte di stimoli. Il corpo sembra essere ridotto solo a questo e non
diviene più espressione del bisogno di unione e di donazione all’altro. Un
mondo di emozioni è un mondo di commercio. I sentimenti invece costruiscono
una storia, in quanto ogni uomo è una piccola storia, non è qualcosa di fermo.
Fin troppo si è insistito sull’IO, anche nella psicologia, come se l’IO fosse
all’origine di tutto. Invece è il NOI che deve essere messo al centro, in
quanto l’IO dipende anche dalle persone che lo contornano.
Il termine felicità deve essere sostituito da
“gioia”. Nella gioia è possibile una grande varietà di espressioni
dell’uomo. La gioia appartiene alla famiglia, alla coppia, alla comunità. Dire
IO significa dire egoismo, egocentrismo. Vuol dire costruire una società del
potere. Il potere ha bisogno dell’altro per dominare.
Dall’IO al NOI: fragilità. Io sogno un
umanesimo della fragilità dove la caratteristica fondamentale è il comprendere
che ognuno di noi ha dei limiti, dove vi è il mistero (del dolore, del
passaggio dal nulla all’essere). La fragilità è la condizione esistenziale
propria dell’uomo. Afferma Rudolf Otto: “il sacro è una categoria della
mente che percepisce il numinoso, tutti gli uomini percepiscono il sacro e
le religioni sono il tentativo di dare una risposta agli interrogativi umani”.
La razionalità è una modalità importante per dare
risposta alle questioni umane, che però possono aspettare. La scienza deve
saper aspettare, in quanto non risponde ai bisogni primari dell’uomo. Per
questi occorre il legame!!!
La nostra società non parla di futuro ai giovani,
non ha progetti per i giovani. In questo modo la parte dei sentimenti è in
profonda crisi e si parla di “consumo dei sentimenti” utilizzando una
terminologia propria degli anni Sessanta per gli oggetti. Oggi sembra che i
sentimenti debbano esseri buttati via.
La fragilità è una condizione umana e non una
malattia: due fragilità insieme danno forza. L’uomo delle emozioni non
costruisce insieme sicurezze.
Per aiutare i giovani a crescere è quindi necessario
che cambino gli adulti!!!
di Vittorino ANDREOLI
psichiatra
I "giovani rotti". Nativi digitali chiamati ad essere fragili
Giovedì 12 marzo 2015 a Cassino, presso
il Teatro Manzoni, si è tenuto il convegno L’Elogio
del sentimento. La visione ebraica e cristiana, organizzato dalla
Commissione Regionale per l’Ecumenismo e il Dialogo della Conferenza Episcopale
Laziale. Gli insegnanti della regione del Lazio, e non solo, hanno avuto così
la possibilità di incontrarsi insieme per cercare di comprendere sempre più
quel mondo fatto di adolescenti e “giovani rotti”, con cui vengono in contatto
ogni giorno nelle aule delle scuole dove lavorano.
Da oggi in poi volevo pubblicare sul blog delle sintesi delle relazioni tenute dai vari esperti.
martedì 3 marzo 2015
Antropologia e cristologia in Wolfhart Pannenberg
L’attenzione
che ripone il teologo di Stettino allo studio di una cristologia dal basso lo
porta ad evidenziare il legame esistente tra cristologia ed antropologia. Nella
sua Cristologia, infatti, Pannenberg
dedica tutta la seconda parte a mostrare come Gesù sia figura dell’uomo davanti
a Dio[1].
L’apertura dell’uomo nei confronti di Dio la chiave di lettura
dell’antropologia pannenberghiana a partire dalla quale il nostro Teologo
rilegge il mistero dell’Incarnazione. La cristologia porta a compimento
l’antropologia. Il pensiero di Pannenberg si trova così in linea anche con il
nostro magistero conciliare, nel quale si afferma che «solamente nel mistero
del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il
primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è
il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore svela
anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»[2]. Gesù
ha portato a compimento l’essere umano, Gesù si è professato Salvatore
dell’uomo e ha mostrato una grande solidarietà con la condizione umana.
Comprendiamo allora come la chiave ermeneutica della proesistenza diventi
risolutiva per cogliere il senso dell’esistenza del Nazareno, in quanto tutta
la vita è stata un pro-esistere, un esistere per gli altri, per l’essere umano,
per la sua salvezza. Commentando la kenosi
del Figlio di Dio, momento culminante del proesistere cristologico, Pannenberg
scrive:
L’autoalienazione
ed autoumiliazione del Figlio, come le troviamo perfettamente espresse nella
storia di Gesù Cristo, non andrebbero interpretate innanzitutto come
dedizione disinteressata agli uomini,
anche se lo sono. In primo luogo esse stanno ad esprimere la dedizione del
Figlio al Padre, in una “obbedienza” che non desidera nulla per sé ma che è
unicamente al servizio del Padre che dev’essere glorificato e del suo regno che
deve venire. Proprio in tal modo la via del Figlio è l’espressione dell’amore di Dio per gli uomini. Con
l’autodistinzione del Figlio dal Padre, Dio stesso si fa vicino all’umanità. La
kenosi del Figlio serve appunto a questo ed esprime l’amore divino, affinché le
creature umane giungano alla loro salvezza: nella vicinanza di Dio e nella
partecipazione alla sua stessa vita[3].
Se da
un lato, per Pannenberg, la cristologia porta a compimento l’antropologia, per
lui è altrettanto vero che è possibile cogliere la filiazione divina di Cristo
volgendo la nostra attenzione sulla sua umanità. Gesù di Nazareth è un uomo
dallo sguardo aperto, dalle braccia spalancate, è l’uomo della croce, non
chiuso in se stesso, ma capace di relazioni estatiche che lo portano fuori di
sé. La sua apertura a Dio e all’uomo non è condizionata dalle logiche del
mondo. Nel suo giovanneo “stare presso” Dio e gli uomini, Gesù ha saputo
costruire la sua personalità di essere libero e capace di rapporti che generano
libertà.
[2] GS 22. Una rilettura antropologica di questa
Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II è offerta da E. Scognamiglio, Il volto dell’uomo. Saggio di antropologia trinitaria, I, La
domanda e le risposte, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, 129-137.
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