L’attenzione
che ripone il teologo di Stettino allo studio di una cristologia dal basso lo
porta ad evidenziare il legame esistente tra cristologia ed antropologia. Nella
sua Cristologia, infatti, Pannenberg
dedica tutta la seconda parte a mostrare come Gesù sia figura dell’uomo davanti
a Dio[1].
L’apertura dell’uomo nei confronti di Dio la chiave di lettura
dell’antropologia pannenberghiana a partire dalla quale il nostro Teologo
rilegge il mistero dell’Incarnazione. La cristologia porta a compimento
l’antropologia. Il pensiero di Pannenberg si trova così in linea anche con il
nostro magistero conciliare, nel quale si afferma che «solamente nel mistero
del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il
primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è
il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore svela
anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»[2]. Gesù
ha portato a compimento l’essere umano, Gesù si è professato Salvatore
dell’uomo e ha mostrato una grande solidarietà con la condizione umana.
Comprendiamo allora come la chiave ermeneutica della proesistenza diventi
risolutiva per cogliere il senso dell’esistenza del Nazareno, in quanto tutta
la vita è stata un pro-esistere, un esistere per gli altri, per l’essere umano,
per la sua salvezza. Commentando la kenosi
del Figlio di Dio, momento culminante del proesistere cristologico, Pannenberg
scrive:
L’autoalienazione
ed autoumiliazione del Figlio, come le troviamo perfettamente espresse nella
storia di Gesù Cristo, non andrebbero interpretate innanzitutto come
dedizione disinteressata agli uomini,
anche se lo sono. In primo luogo esse stanno ad esprimere la dedizione del
Figlio al Padre, in una “obbedienza” che non desidera nulla per sé ma che è
unicamente al servizio del Padre che dev’essere glorificato e del suo regno che
deve venire. Proprio in tal modo la via del Figlio è l’espressione dell’amore di Dio per gli uomini. Con
l’autodistinzione del Figlio dal Padre, Dio stesso si fa vicino all’umanità. La
kenosi del Figlio serve appunto a questo ed esprime l’amore divino, affinché le
creature umane giungano alla loro salvezza: nella vicinanza di Dio e nella
partecipazione alla sua stessa vita[3].
Se da
un lato, per Pannenberg, la cristologia porta a compimento l’antropologia, per
lui è altrettanto vero che è possibile cogliere la filiazione divina di Cristo
volgendo la nostra attenzione sulla sua umanità. Gesù di Nazareth è un uomo
dallo sguardo aperto, dalle braccia spalancate, è l’uomo della croce, non
chiuso in se stesso, ma capace di relazioni estatiche che lo portano fuori di
sé. La sua apertura a Dio e all’uomo non è condizionata dalle logiche del
mondo. Nel suo giovanneo “stare presso” Dio e gli uomini, Gesù ha saputo
costruire la sua personalità di essere libero e capace di rapporti che generano
libertà.
[2] GS 22. Una rilettura antropologica di questa
Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II è offerta da E. Scognamiglio, Il volto dell’uomo. Saggio di antropologia trinitaria, I, La
domanda e le risposte, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, 129-137.
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