martedì 3 marzo 2015

Antropologia e cristologia in Wolfhart Pannenberg


L’attenzione che ripone il teologo di Stettino allo studio di una cristologia dal basso lo porta ad evidenziare il legame esistente tra cristologia ed antropologia. Nella sua Cristologia, infatti, Pannenberg dedica tutta la seconda parte a mostrare come Gesù sia figura dell’uomo davanti a Dio[1]. L’apertura dell’uomo nei confronti di Dio la chiave di lettura dell’antropologia pannenberghiana a partire dalla quale il nostro Teologo rilegge il mistero dell’Incarnazione. La cristologia porta a compimento l’antropologia. Il pensiero di Pannenberg si trova così in linea anche con il nostro magistero conciliare, nel quale si afferma che «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»[2]. Gesù ha portato a compimento l’essere umano, Gesù si è professato Salvatore dell’uomo e ha mostrato una grande solidarietà con la condizione umana. Comprendiamo allora come la chiave ermeneutica della proesistenza diventi risolutiva per cogliere il senso dell’esistenza del Nazareno, in quanto tutta la vita è stata un pro-esistere, un esistere per gli altri, per l’essere umano, per la sua salvezza. Commentando la kenosi del Figlio di Dio, momento culminante del proesistere cristologico, Pannenberg scrive:

 

L’autoalienazione ed autoumiliazione del Figlio, come le troviamo perfettamente espresse nella storia di Gesù Cristo, non andrebbero interpretate innanzitutto come dedizione  disinteressata agli uomini, anche se lo sono. In primo luogo esse stanno ad esprimere la dedizione del Figlio al Padre, in una “obbedienza” che non desidera nulla per sé ma che è unicamente al servizio del Padre che dev’essere glorificato e del suo regno che deve venire. Proprio in tal modo la via del Figlio è l’espressione  dell’amore di Dio per gli uomini. Con l’autodistinzione del Figlio dal Padre, Dio stesso si fa vicino all’umanità. La kenosi del Figlio serve appunto a questo ed esprime l’amore divino, affinché le creature umane giungano alla loro salvezza: nella vicinanza di Dio e nella partecipazione alla sua stessa vita[3].

 

Se da un lato, per Pannenberg, la cristologia porta a compimento l’antropologia, per lui è altrettanto vero che è possibile cogliere la filiazione divina di Cristo volgendo la nostra attenzione sulla sua umanità. Gesù di Nazareth è un uomo dallo sguardo aperto, dalle braccia spalancate, è l’uomo della croce, non chiuso in se stesso, ma capace di relazioni estatiche che lo portano fuori di sé. La sua apertura a Dio e all’uomo non è condizionata dalle logiche del mondo. Nel suo giovanneo “stare presso” Dio e gli uomini, Gesù ha saputo costruire la sua personalità di essere libero e capace di rapporti che generano libertà.



[1] Cfr.W. PANNENBERG, Cristologia, 239-382.
[2] GS 22. Una rilettura antropologica di questa Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II è offerta da E. Scognamiglio, Il volto dell’uomo. Saggio di antropologia trinitaria, I, La domanda e le risposte, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, 129-137.
[3] W. Pannenberg, Teologia sistematica, II, 247.

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