Una caratteristica
fondamentale della filosofia moderna in rapporto alla teologia filosofica è il
fatto che essa si sia posta il problema di Dio. Infatti, secondo Faggiotto, gli
autori che dipingono il panorama filosofico dell’età moderna hanno presentato
il problema della metafisica, mettendo in questione la stessa indagine
metafisica ed evidenziandone i suoi limiti. In questo modo si è messo in
discussione Dio stesso, in quanto è l’oggetto più alto della metafisica. Secondo
Leonardo Messinese «porre filosoficamente il problema di Dio significa dare una risposta allo scetticismo e
all’ateismo del tempo».[1]
Testimone di quanto
abbiamo appena detto è proprio il pensiero filosofico cartesiano, il quale
sembra seguire la pista scettica per poi divenire, invece, una apologia della
fede cristiana contro gli attacchi della scienza meccanicistica. Il problema
dell’esistenza o meno di Dio in Cartesio viene posto considerando l’idea innata
di Dio che l’essere umano possiede come di una sostanza infinita, eterna,
immutabile, indipendente, onnisciente e dalla quale tutto proviene ed è stato
creato. Non può essere un’idea soggettiva, in quanto da un essere finito e
limitato non può scaturire l’idea di un essere infinito ed illimitato. Inoltre
l’esistenza è parte integrale dell’essenza, tanto che è impossibile possedere
l’idea di Dio senza ammetterne l’esistenza (prova ontologica anselmiana). La
veridicità dell’esistenza di Dio debella ogni possibile demonio ingannatore ed
ogni possibile dubbio ed incertezza relativi all’efficacia delle facoltà
conoscitive. Dio è il garante delle verità chiare e distinte a cui l’uomo potrà
arrivare con la sua ragione. La ragione umana trova così come garante del suo
potere conoscitivo Dio stesso pur rimanendo una ragione umana, finita e non
divina. Le verità sono eterne perché Dio è immutabile. Quindi per Cartesio il
punto di partenza della conoscenza è la ragione, ma, poi, il filosofo tende a
Dio non avendo trovato in essa il garante della verità. In questo modo non si
comprende se il fondamento del conoscere sia il cogito o Dio.
Malebranche studia
assiduamente il pensiero cartesiano trovando molto interessante in esso la
distinzione netta tra anima e corpo che egli rilesse grazie al platonismo
agostiniano all’interno della spiritualità cristiana. Secondo la sua
prospettiva filosofica l’anima possiede la funzione di pensare e di volere, ma
è totalmente separata dal corpo. La conoscenza può avvenire, quindi, solamente
a partire dalla sua unione immediata e diretta con Dio. Come sostiene Cartesio
anche per Malebranche si conoscono solo le idee, dato che gli oggetti rimangono
invisibili allo spirito, non potendo interagire con esso. Quello che il
soggetto conosce lo conosce in Dio, senza poter cogliere Dio nella sua essenza
assoluta. Noi conosciamo i corpi tramite la rivelazione divina. Dio è, quindi,
garante ancora una volta del nostro conoscere. La prova dell’esistenza di Dio
poggia per questo filosofo sull’infinitudine ed anche per questo filosofo come
per Cartesio l’esistenza di Dio è legata alla presenza del suo concetto in noi.
Per questo motivo la proposizione “c’è un Dio” è certa quanto la proposizione
“penso, dunque sono”. L’infinitezza di Dio porta il filosofo ad una forma di
panteismo, nella quale Dio diviene colui che contiene tutto in sé. Egli ha
creato l’universo e l’universo è in Dio; Egli è tutto in tutto, è tutto
interamente nella sua immensità e tutto interamente in tutti i corpi estesi
localmente.
A partire dalla
contraddizione cartesiana nel definire la sostanza, per Spinoza Dio è l’unica
sostanza, che è causa di se stesso e che deve esistere necessariamente. Le due res cartesiane, che nel filosofo
francese erano sostanze, in questo autore vengono considerati come due degli
infiniti attributi dell’unica sostanza, che è libera ed eterna. Il Dio
spinoziano non possiede però personalità, non ha né volontà né intelletto, ed è
libero in quanto legato alla necessità della sua natura. È causa immanente
dell’universo e, perciò, è inseparabile dalle sue creature. Nella necessità
divina, per il filosofo olandese, vi può essere la radice di ogni certezza così
come la ragione di tutto. Nulla esiste che possa essere contingente dato che
tutto proviene dalla necessità assoluta di essere propria di Dio. Se il mondo
viene definito dal filosofo come natura
naturata, Dio è la natura naturans.
Spinoza tratta quindi del Deus sive
natura secondo una filosofia panteistica, per la quale tutto è
manifestazione necessaria di Dio o addirittura Dio stesso. Anche la mente
umana, dato che percepisce le cose secondo verità, è parte dell’intelletto
infinito di Dio e possiede una conoscenza adeguata dell’essenza eterna ed
infinita di Dio. È impossibile dubitare di Dio, secondo Spinoza, a meno che non
si abbia di lui una falsa rappresentazione.
Anche nel sistema
filosofico leibniziano si nota come Dio assuma un ruolo davvero centrale, tanto
che il filosofo ha cercato di offrire varie prove della sua esistenza. Alla
domanda sul perché esista qualcosa al posto del niente, Leibniz, facendo
riferimento al principio di ragion sufficiente, da lui stesso tematizzato,
sostiene che la ragione che spiega l’essere non appartiene al contingente, il
quale, a sua volta, ha sempre bisogno di un’altra ragione, ma faccia capo ad
una sostanza che sia un essere necessario e causa di se stesso. Per questo
motivo Dio è il solo essere necessario che vi sia, il solo essere in cui
coincidono essenza ed esistenza. Nelle cose create, invece, l’esistenza è la
realizzazione e l’attuazione delle essenze, ossia dei possibili. È sempre Dio,
con la sua perfezione, a risolvere l’altro quesito leibniziano sul perché ciò
che esiste non possa essere altrimenti. Le cose che sono rispecchiano il
miglior modo possibile di essere, perché Dio, Essere perfettissimo, ha scelto
il mondo più perfetto di tutti quelli possibili. Nel creare Dio non segue una
necessità metafisica come in Spinoza, bensì una necessità morale, che lo
conduce a realizzare il miglior mondo possibile (ottimismo leibniziano).
Come abbiamo visto nel
razionalismo dell’età moderna si è cercato in gran parte di dimostrare
l’esistenza di Dio rendendo quest’ultimo un oggetto di indagine della ragione e
rischiando di oltrepassare l’ambito della filosofia per cadere in quello della
scienza. Oltretutto Dio non può essere un mero oggetto della ricerca
filosofica, in quanto Egli è il Tutto dell’essere e del pensiero[2].