“La centralità della preghiera” è stato
il tema del ritiro spirituale di Avvento organizzato dall’Ufficio diocesano per
l’Insegnamento della Religione Cattolica domenica
21 dicembre 2014, dalle ore 9.00 alle 13.00, presso le Suore del Divino
Amore di Rieti e guidato dal Vicario Generale Mons. Jaroslaw Krzewicki.
Don Jarek ha definito
il “mestiere” dell’Insegnante di Religione Cattolica (IRC) come una vera e
propria vocazione, che si nutre e trae la sua forza dal sostegno della
preghiera e dei sacramenti. Egli, infatti, è una persona abitata dallo Spirito Santo
chiamata ad evangelizzare, ossia ad annunciare il Vangelo, nelle aule delle
scuole e non solo a trasmettere dei contenuti dottrinali inerenti la religione
cattolica. La vita dell’IRC mira, quindi, ad essere un’esistenza trasfigurata
dalla presenza di Dio e alimentata costantemente dalla preghiera. Come
sottolinea papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, la preghiera è la linfa che riempie di senso e
di audacia l’azione del cristiano, il quale sa di non poter mai fare a meno del
“polmone della preghiera” per non rischiare di spegnere il suo fervore, di
indebolirsi sotto il peso della stanchezza e delle difficoltà che si possono
incontrare.
Ma cosa significa
pregare? Come si prega? Quali parole si devono usare? Perché è bene pregare? A
queste domande il Vicario ha risposto sottolineando come la preghiera sia un
dialogo che avviene a partire da un incontro tra l’essere umano e Dio, nel quale
nasce un rapporto di fiducia fra i due. Il mezzo che permette di alimentare e
rendere viva e vivificante questa relazione è la preghiera. Ponendosi sulla
scia del grande maestro e scrittore alessandrino della prima metà del III
secolo d.C., Origene, don Jarek ha così proposto agli IRC un vademecum pratico, suddiviso in tre
fasi, della preghiera. Nella prima egli ha detto che il pregare consiste
semplicemente nel recitare alcune parole una accanto all’altra, inizialmente in
maniera meccanica e poi con sempre maggiore cura ed attenzione. Non è un
qualcosa di vano e di inutile o del tempo sprecato, ma è il nostro modo di
parlare con Dio soprattutto quando attraversiamo momenti di stanchezza o di
turbamento. Nella seconda fase si cerca di concentrarsi sul significato delle
parole pronunciate, soffermandosi su di esse e provando a coglierne il
contenuto. È possibile e fortemente consigliato sia l’uso di testi biblici, i
quali diventino la lingua del pregare e il mezzo di meditazione personale per
il dialogo con Dio, sia il rosario, che è il compendio di questo vademecum. Nella terza fase, invece, la
preghiera diviene contemplazione. Si raggiunge così il “monte Tabor”, nel quale
si percepisce la presenza di Dio e si fa esperienza della bellezza, di quella
bellezza che spinge l’orante a ritornare a pregare, a risalire sul monte. Come
affermava Origene, il cristiano serra gli occhi dei sensi ed apre quelli
dell’anima per sollevarsi al di sopra dell’universo delle sue preoccupazioni.
Col pensiero riesce così a raggiungere, guidato dallo Spirito di Dio, una
regione iperurania, dove, anche se solo per un attimo, riesce a far salire a
Dio la sua preghiera, non cercando nulla di piccolo, ma soltanto quelle cose
grandi che avviano sulla strada che porta alla beatitudine.
L’invito rivolto dal
Vicario ad ogni IRC è stato quello di trasformare la propria vita in preghiera
stando sempre davanti a Dio, nella certezza, come sosteneva Cipriano
concludendo il suo commento al Padre Nostro, che nella vita oltre alla morte saremo
«destinati a pregare di continuo e a ringraziare sempre Dio».
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