venerdì 5 dicembre 2014

La teoria delle idee in Platone


La teoria delle Idee viene formulata per la pima volta da Platone nel dialogo giovanile Eutifrone, nel quale il filosofo, indagando intorno alla pietà religiosa, si domanda se la santità è santa. In maniera maggiormente esplicita, però, questa teoria viene presentata in un altro dialogo, il Fedone, che ha per oggetto la morte di Socrate e la dimostrazione dell’immortalità dell’anima.

La fondazione della teoria delle Idee prende avvio dall’individuazione del concetto di causa, ossia della ragione che permette alla realtà di essere quella che effettivamente è. La spiegazione di causa fornita dai presocratici per Platone è da considerarsi inadeguata, poiché confondono il mezzo con la causa (cfr. 99b). Aria, fuoco, acqua e tutti gli altri elementi sono solo i mezzi di cui si serve il principio primo ma non costituiscono l’aspetto fondativo della realtà. Il farsi trasportare dal vento dell’apparenza è stato quello in cui è consistita la prima navigazione dei presocratici; ora per Platone vi è bisogno di una seconda navigazione con la quale andare alla ricerca della causa senza cadere in contraddizioni (cfr. 99d).

Nel Fedone il filosofo porta due esempi molto interessanti per la comprensione della fondazione delle Idee: quello di Socrate che è in carcere e quello dell’altezza e bassezza di Simmia e Cebete. Secondo i filosofi corporeisti la causa della presenza in carcere di Socrate è dovuta al fatto che egli possiede muscoli, ossa, articolazioni che gli permettevano di muoversi e di arrivare lì. Questa tesi così fisicista è assurda, in quanto non tiene conto della virtù di giustizia che animò Socrate stesso e che si scontrò con l’ingiustizia degli Ateniesi. Stessa assurdità si ha nel secondo esempio, se si pone come causa dell’esser alto di Simmia la misura della sua testa. Infatti, in questo modo una stessa cosa, la testa, viene ad essere causa sia dell’altezza dell’uno che della bassezza dell’altro, ad una stessa causa verrebbero così attribuite sue conseguenze opposte. Oltretutto una cosa piccola, la testa, viene a dare vita a qualcosa di grande (lo stesso Simmia).

La causa va ricercata, allora, nella relazione che Simmia e Cebete posseggono, rispettivamente, con l’Idea di altezza e di bassezza. Allo stesso modo la causa della bellezza di una cosa non risiede né nel suo colore, né nella sua figura fisica, ma nella relazione di quella cosa con l’Idea di bellezza. Con le parole di Platone, poste sulle labbra di Socrate, «nessun’altra ragione fa essere quella cosa bella, se non la presenza o la comunanza di quella Bellezza in sé, o quale altro sia il modo in cui ha luogo questo rapporto» (100d). Per Platone la ragion d’essere della cosa stessa non sta nella cosa stessa, ma nell’altro della cosa stessa. Accanto alla cosa sensibile ce ne è un’altra che ne rende ragione. In questo modo «tutte le cose belle sono belle per la Bellezza […] tutte le case grandi siano grandi per la Grandezza, e che le maggiori siano maggiori per la Grandezza, e che le cose minori siano minori per la Piccolezza» (101a). Questa Bellezza, Grandezza e Piccolezza è l’universale che unifica la molteplicità dei particolari.

Le Idee diventano dunque la causa delle essere delle cose e del loro esser-così, una causa non fisica ma metafisica, soprasensibile. ‘Idea’ deriva dalla radice del verbo vedere e con questo termine Platone intende «ciò a cui il pensiero si rivolge quando pensa […] qualcosa che è […], in senso assoluto, il vero essere»[1]. La dottrina delle Idee diviene così la risposta a due forme di relativismo della sua epoca, quella sofistico-protagorea, nella quale il soggetto è considerato la misura ed il criterio di verità, e quella eraclitea, nella quale il perenne divenire conduce a disperdere ogni cosa nel molteplice, rendendola inconoscibile ed inintelligibile. L’essere in sé e l’essere immutabile delle Idee segnano il superamento di queste due forme di relativismo. Ogni Idea, infatti, è stabile, è assoluta anche se l’essere delle Idee è differenziato. In questo modo la natura delle cose non può essere manipolata a piacimento dell’uomo, poiché la misura delle cose non è più il soggetto, ma la natura, l’essenza, l’Idea, la Forma delle cose stesse. D’altra parte l’Idea non è solo indipendente dal soggetto ma è anche sottratta alla mobilità e al divenire delle cose empiriche[2].

In Platone le Idee possono, inoltre, essere definite come la causa dell’essere e dell’esser-così di tutte le cose, il criterio di giudizio della realtà sensibile, il fondamento ontologico della realtà, l’originario qualitativo immateriale e la Forma per eccellenza. Le loro caratteristiche fondamentali sono l’incorporeità, a differenza di quanto sostenevano i naturalisti, l’intelligibilità, l’immutabilità, la perseità (sono oggetto del pensiero ma non prodotto del pensiero), l’unità e semplicità, l’essere in senso pieno.

Nella filosofia di Platone si nota sia un richiamo alla dottrina dell’Essere di Parmenide per quello che concerne la teoria delle Idee, sia un rimando al divenire di Eraclito per ciò che riguarda il mondo sensibile. Egli, infatti, cerca di fondare il mondo sensibile su un livello di realtà che è ad esso completamente opposto, quello intelligibile. Tra le Idee e la realtà sensibile intercorrono quattro tipologie di relazione: imitazione, in quanto la realtà sensibile è copia di quella intelligibile, partecipazione, dato che la realtà sensibile ha parte a quella intelligibile, comunanza, visto il punto di tangenza tra le cose e l’Idea, e presenza, dovuto al fatto che l’intelligibile è presente nel sensibile come suo fondamento[3].

Le Idee non si possono cogliere se non con l’uso del puro raziocinio e della mente, perché sono invisibili. Abbiamo, secondo Platone, due specie di esseri, uno visibile e l’altro invisibile; uno che non permane mai nella medesima condizione e un altro che invece vi permane (cfr. 79a). La dottrina delle Idee di Platone cerca allora di conciliare Parmenide con Eraclito e di fondare al tempo stesso la metafisica occidentale.



[1] Giovanni Reale, “Temi di fondo struttura e significato del ‘Fedone’”, in Platone, Fedone, Rusconi, Santarcangelo di Romagna 1999, 33.
[2] Cfr. Ivi, 34-38.
[3] Cfr. David Ross, Platone e la teoria delle idee, Il Mulino, Bologna 1989, 57.

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