La teoria delle Idee
viene formulata per la pima volta da Platone nel dialogo giovanile Eutifrone, nel quale il filosofo,
indagando intorno alla pietà religiosa, si domanda se la santità è santa. In
maniera maggiormente esplicita, però, questa teoria viene presentata in un
altro dialogo, il Fedone, che ha per
oggetto la morte di Socrate e la dimostrazione dell’immortalità dell’anima.
La fondazione della
teoria delle Idee prende avvio dall’individuazione del concetto di causa, ossia
della ragione che permette alla realtà di essere quella che effettivamente è.
La spiegazione di causa fornita dai presocratici per Platone è da considerarsi
inadeguata, poiché confondono il mezzo con la causa (cfr. 99b). Aria, fuoco,
acqua e tutti gli altri elementi sono solo i mezzi di cui si serve il principio
primo ma non costituiscono l’aspetto fondativo della realtà. Il farsi
trasportare dal vento dell’apparenza è stato quello in cui è consistita la
prima navigazione dei presocratici; ora per Platone vi è bisogno di una seconda
navigazione con la quale andare alla ricerca della causa senza cadere in
contraddizioni (cfr. 99d).
Nel Fedone il filosofo porta due esempi
molto interessanti per la comprensione della fondazione delle Idee: quello di
Socrate che è in carcere e quello dell’altezza e bassezza di Simmia e Cebete.
Secondo i filosofi corporeisti la causa della presenza in carcere di Socrate è
dovuta al fatto che egli possiede muscoli, ossa, articolazioni che gli
permettevano di muoversi e di arrivare lì. Questa tesi così fisicista è
assurda, in quanto non tiene conto della virtù di giustizia che animò Socrate
stesso e che si scontrò con l’ingiustizia degli Ateniesi. Stessa assurdità si
ha nel secondo esempio, se si pone come causa dell’esser alto di Simmia la
misura della sua testa. Infatti, in questo modo una stessa cosa, la testa,
viene ad essere causa sia dell’altezza dell’uno che della bassezza dell’altro,
ad una stessa causa verrebbero così attribuite sue conseguenze opposte.
Oltretutto una cosa piccola, la testa, viene a dare vita a qualcosa di grande
(lo stesso Simmia).
La causa va ricercata,
allora, nella relazione che Simmia e Cebete posseggono, rispettivamente, con
l’Idea di altezza e di bassezza. Allo stesso modo la causa della bellezza di
una cosa non risiede né nel suo colore, né nella sua figura fisica, ma nella
relazione di quella cosa con l’Idea di bellezza. Con le parole di Platone,
poste sulle labbra di Socrate, «nessun’altra ragione fa essere quella cosa
bella, se non la presenza o la comunanza di quella Bellezza in sé, o quale
altro sia il modo in cui ha luogo questo rapporto» (100d). Per Platone la
ragion d’essere della cosa stessa non sta nella cosa stessa, ma nell’altro
della cosa stessa. Accanto alla cosa sensibile ce ne è un’altra che ne rende
ragione. In questo modo «tutte le cose belle sono belle per la Bellezza […]
tutte le case grandi siano grandi per la Grandezza, e che le maggiori siano
maggiori per la Grandezza, e che le cose minori siano minori per la Piccolezza»
(101a). Questa Bellezza, Grandezza e Piccolezza è l’universale che unifica la
molteplicità dei particolari.
Le Idee diventano
dunque la causa delle essere delle cose e del loro esser-così, una causa non
fisica ma metafisica, soprasensibile. ‘Idea’ deriva dalla radice del verbo vedere e con questo termine Platone
intende «ciò a cui il pensiero si rivolge
quando pensa […] qualcosa che è
[…], in senso assoluto, il vero essere»[1].
La dottrina delle Idee diviene così la risposta a due forme di relativismo
della sua epoca, quella sofistico-protagorea, nella quale il soggetto è
considerato la misura ed il criterio di verità, e quella eraclitea, nella quale
il perenne divenire conduce a disperdere ogni cosa nel molteplice, rendendola
inconoscibile ed inintelligibile. L’essere in sé e l’essere immutabile delle
Idee segnano il superamento di queste due forme di relativismo. Ogni Idea,
infatti, è stabile, è assoluta anche se l’essere delle Idee è differenziato. In
questo modo la natura delle cose non può essere manipolata a piacimento
dell’uomo, poiché la misura delle cose non è più il soggetto, ma la natura,
l’essenza, l’Idea, la Forma delle cose stesse. D’altra parte l’Idea non è solo
indipendente dal soggetto ma è anche sottratta alla mobilità e al divenire
delle cose empiriche[2].
In Platone le Idee
possono, inoltre, essere definite come la causa dell’essere e dell’esser-così
di tutte le cose, il criterio di giudizio della realtà sensibile, il fondamento
ontologico della realtà, l’originario qualitativo immateriale e la Forma per
eccellenza. Le loro caratteristiche fondamentali sono l’incorporeità, a
differenza di quanto sostenevano i naturalisti, l’intelligibilità,
l’immutabilità, la perseità (sono oggetto del pensiero ma non prodotto del
pensiero), l’unità e semplicità, l’essere in senso pieno.
Nella filosofia di
Platone si nota sia un richiamo alla dottrina dell’Essere di Parmenide per
quello che concerne la teoria delle Idee, sia un rimando al divenire di
Eraclito per ciò che riguarda il mondo sensibile. Egli, infatti, cerca di
fondare il mondo sensibile su un livello di realtà che è ad esso completamente
opposto, quello intelligibile. Tra le Idee e la realtà sensibile intercorrono
quattro tipologie di relazione: imitazione,
in quanto la realtà sensibile è copia di quella intelligibile, partecipazione, dato che la realtà
sensibile ha parte a quella intelligibile, comunanza,
visto il punto di tangenza tra le cose e l’Idea, e presenza, dovuto al fatto che l’intelligibile è presente nel
sensibile come suo fondamento[3].
Le Idee non si possono
cogliere se non con l’uso del puro raziocinio e della mente, perché sono
invisibili. Abbiamo, secondo Platone, due specie di esseri, uno visibile e
l’altro invisibile; uno che non permane mai nella medesima condizione e un altro
che invece vi permane (cfr. 79a). La dottrina delle Idee di Platone cerca
allora di conciliare Parmenide con Eraclito e di fondare al tempo stesso la
metafisica occidentale.
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