mercoledì 31 dicembre 2014

La teologia filosofica nel razionalismo dell'età moderna


Una caratteristica fondamentale della filosofia moderna in rapporto alla teologia filosofica è il fatto che essa si sia posta il problema di Dio. Infatti, secondo Faggiotto, gli autori che dipingono il panorama filosofico dell’età moderna hanno presentato il problema della metafisica, mettendo in questione la stessa indagine metafisica ed evidenziandone i suoi limiti. In questo modo si è messo in discussione Dio stesso, in quanto è l’oggetto più alto della metafisica. Secondo Leonardo Messinese «porre filosoficamente il problema di Dio significa dare una risposta allo scetticismo e all’ateismo del tempo».[1]

Testimone di quanto abbiamo appena detto è proprio il pensiero filosofico cartesiano, il quale sembra seguire la pista scettica per poi divenire, invece, una apologia della fede cristiana contro gli attacchi della scienza meccanicistica. Il problema dell’esistenza o meno di Dio in Cartesio viene posto considerando l’idea innata di Dio che l’essere umano possiede come di una sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente, onnisciente e dalla quale tutto proviene ed è stato creato. Non può essere un’idea soggettiva, in quanto da un essere finito e limitato non può scaturire l’idea di un essere infinito ed illimitato. Inoltre l’esistenza è parte integrale dell’essenza, tanto che è impossibile possedere l’idea di Dio senza ammetterne l’esistenza (prova ontologica anselmiana). La veridicità dell’esistenza di Dio debella ogni possibile demonio ingannatore ed ogni possibile dubbio ed incertezza relativi all’efficacia delle facoltà conoscitive. Dio è il garante delle verità chiare e distinte a cui l’uomo potrà arrivare con la sua ragione. La ragione umana trova così come garante del suo potere conoscitivo Dio stesso pur rimanendo una ragione umana, finita e non divina. Le verità sono eterne perché Dio è immutabile. Quindi per Cartesio il punto di partenza della conoscenza è la ragione, ma, poi, il filosofo tende a Dio non avendo trovato in essa il garante della verità. In questo modo non si comprende se il fondamento del conoscere sia il cogito o Dio.

Malebranche studia assiduamente il pensiero cartesiano trovando molto interessante in esso la distinzione netta tra anima e corpo che egli rilesse grazie al platonismo agostiniano all’interno della spiritualità cristiana. Secondo la sua prospettiva filosofica l’anima possiede la funzione di pensare e di volere, ma è totalmente separata dal corpo. La conoscenza può avvenire, quindi, solamente a partire dalla sua unione immediata e diretta con Dio. Come sostiene Cartesio anche per Malebranche si conoscono solo le idee, dato che gli oggetti rimangono invisibili allo spirito, non potendo interagire con esso. Quello che il soggetto conosce lo conosce in Dio, senza poter cogliere Dio nella sua essenza assoluta. Noi conosciamo i corpi tramite la rivelazione divina. Dio è, quindi, garante ancora una volta del nostro conoscere. La prova dell’esistenza di Dio poggia per questo filosofo sull’infinitudine ed anche per questo filosofo come per Cartesio l’esistenza di Dio è legata alla presenza del suo concetto in noi. Per questo motivo la proposizione “c’è un Dio” è certa quanto la proposizione “penso, dunque sono”. L’infinitezza di Dio porta il filosofo ad una forma di panteismo, nella quale Dio diviene colui che contiene tutto in sé. Egli ha creato l’universo e l’universo è in Dio; Egli è tutto in tutto, è tutto interamente nella sua immensità e tutto interamente in tutti i corpi estesi localmente.

A partire dalla contraddizione cartesiana nel definire la sostanza, per Spinoza Dio è l’unica sostanza, che è causa di se stesso e che deve esistere necessariamente. Le due res cartesiane, che nel filosofo francese erano sostanze, in questo autore vengono considerati come due degli infiniti attributi dell’unica sostanza, che è libera ed eterna. Il Dio spinoziano non possiede però personalità, non ha né volontà né intelletto, ed è libero in quanto legato alla necessità della sua natura. È causa immanente dell’universo e, perciò, è inseparabile dalle sue creature. Nella necessità divina, per il filosofo olandese, vi può essere la radice di ogni certezza così come la ragione di tutto. Nulla esiste che possa essere contingente dato che tutto proviene dalla necessità assoluta di essere propria di Dio. Se il mondo viene definito dal filosofo come natura naturata, Dio è la natura naturans. Spinoza tratta quindi del Deus sive natura secondo una filosofia panteistica, per la quale tutto è manifestazione necessaria di Dio o addirittura Dio stesso. Anche la mente umana, dato che percepisce le cose secondo verità, è parte dell’intelletto infinito di Dio e possiede una conoscenza adeguata dell’essenza eterna ed infinita di Dio. È impossibile dubitare di Dio, secondo Spinoza, a meno che non si abbia di lui una falsa rappresentazione.

Anche nel sistema filosofico leibniziano si nota come Dio assuma un ruolo davvero centrale, tanto che il filosofo ha cercato di offrire varie prove della sua esistenza. Alla domanda sul perché esista qualcosa al posto del niente, Leibniz, facendo riferimento al principio di ragion sufficiente, da lui stesso tematizzato, sostiene che la ragione che spiega l’essere non appartiene al contingente, il quale, a sua volta, ha sempre bisogno di un’altra ragione, ma faccia capo ad una sostanza che sia un essere necessario e causa di se stesso. Per questo motivo Dio è il solo essere necessario che vi sia, il solo essere in cui coincidono essenza ed esistenza. Nelle cose create, invece, l’esistenza è la realizzazione e l’attuazione delle essenze, ossia dei possibili. È sempre Dio, con la sua perfezione, a risolvere l’altro quesito leibniziano sul perché ciò che esiste non possa essere altrimenti. Le cose che sono rispecchiano il miglior modo possibile di essere, perché Dio, Essere perfettissimo, ha scelto il mondo più perfetto di tutti quelli possibili. Nel creare Dio non segue una necessità metafisica come in Spinoza, bensì una necessità morale, che lo conduce a realizzare il miglior mondo possibile (ottimismo leibniziano).

Come abbiamo visto nel razionalismo dell’età moderna si è cercato in gran parte di dimostrare l’esistenza di Dio rendendo quest’ultimo un oggetto di indagine della ragione e rischiando di oltrepassare l’ambito della filosofia per cadere in quello della scienza. Oltretutto Dio non può essere un mero oggetto della ricerca filosofica, in quanto Egli è il Tutto dell’essere e del pensiero[2].

 




[1] Leonardo Messinese, Il problema di Dio nella filosofia moderna, Lateran University Press, Città del Vaticano 2001, 28.
[2] Cfr. Ivi, 48.

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