martedì 30 dicembre 2014

La critica kantiana alla teologia filosofica


Secondo Kant la teologia filosofica si è avvalsa di tre tipi di argomenti per dimostrare l’esistenza di Dio, fisico-teologico, cosmologico e ontologico, ma la ragione non fa più strada perseguendo un cammino rispetto ad un altro, poiché essa cerca solo invano di elevarsi al di sopra del mondo sensibile servendosi della potenza della speculazione. Con queste parole nella Critica della ragion pura  il filosofo di Königsberg affronta il problema riguardante Dio.

Riguardo all’argomentazione a posteriori o cosmologica Kant riconosce che il nostro intelletto non possiede la capacità di usare i principi sintetici della ragion pura in maniera trascendente invece che immanente per giungere alla conoscenza di un Essere supremo. La stessa legge riguardante la relazione di causalità non può condurci a Dio, poiché è una legge empirica che lo farebbe divenire nient’altro che un oggetto esperibile come tutti i fenomeni.

Per questo motivo potrebbe sembrare più adeguata alla natura non empirica di Dio l’argomentazione detta ontologica o a priori, che consiste in un ragionamento fondato su concetti. In questo modo, però, la questione inerente Dio diviene sintetica e non analitica: essa richiede infatti di affermare l’esistenza di questo Essere supremo a partire al concetto che ne abbiamo. Si richiede allora che la conoscenza del soggetto si possa estendere oltre i limiti dell’esperienza, fino all’esistenza di un essere che dovrebbe corrispondere alla idea che il soggetto possiede di Dio. Rispetto a questa idea nessuna esperienza può dirsi adeguata. Per Kant una conoscenza sintetica a priori di un oggetto è possibile solo nella misura in cui l’oggetto possieda quelle condizioni formali che permettono una sua possibile esperienza. I principi che regolano questa conoscenza hanno un valore immanente, dato che sono inerenti ad oggetti propri della conoscenza empirica. La prova ontologica, che risale ad Anselmo e che Kant riprende da Cartesio e da Leibniz, prevede che al concetto di un essere perfettissimo non possa mancare l’attributo dell’esistenza. Ma l’esistenza è sempre frutto dell’esperienza attraverso l’intuizione e non del solo pensiero. Dall’idea è impossibile dedurre la realtà, per cui la prova ontologica è contradditoria.

Per quello che concerne poi la prova fisico-teologica, questa secondo Kant a partire dall’ordine e dalla finalità presente nel mondo pretende di giungere a provare l’esistenza di una mente perfetta creatrice del cosmo. Questa prova però, secondo il filosofo di Königsberg, deve essere criticata, in quanto dall’esperienza dell’ordine presente nel mondo pretende poi di elevarsi all’idea di una causa trascendente, non tenendo conto del fatto che la causa dell’ordine potrebbe essere immanente alla stesso mondo e alle sue leggi. Questa prova riprensenta, quindi, in qualche modo delle tracce delle argomentazioni precedentemente criticate dal filosofo.

Per questi motivi Kant riprende la sua trattazione di Dio nella Critica della ragion pratica, dove l’Essere supremo diviene il garante necessario messo in gioco dall’uomo nel suo agire morale. L’essere umano, secondo il filosofo, trova la sua piena realizzazione, confacente con la sua dignità, nell’agire morale, consistente nella ricerca della virtù. Da qui la necessità che vi sia un giudice giusto che possa giudicare delle sue azioni, assicurando la felicità, come premio, in un’altra vita. Infatti la ricerca della virtù rende degni di essere felici e l’essere degni di essere felici ma il non poterlo essere è, per il filosofo, una cosa assurda. Da ciò si dimostra l’esigenza di un postulato circa l’esistenza di un mondo intelligibile e di un Dio, il quale sia onnisciente ed onnipotente, che doni ad ognuno una felicità in base ai meriti che ha avuto nel seguire la virtù e la legge morale. Dio diviene allora la ragionevole garanzia dell’esistenza di un sommo bene, di una felicità che è proporzionata alla moralità dell’uomo. Il filosofo di Königsberg tratta di un imperativo categorico, una legge morale fondata sul dovere e sull’essere universale. La formula più appropriata di questa legge morale, “agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre, al tempo stesso, come principio di una legislazione universale”, fa comprendere come la volontà personale debba adeguarsi al dovere della legge, che vale proprio perché è universale e privo di eccezioni. L’intenzione di fare il proprio dovere, secondo Kant, deve essere libero da fini secondari, in quanto la legge morale non può essere subordinata al desiderio o al piacere personale. Da questa intenzione si genera allora l’altro postulato della filosofia kantiana, quello dell’immortalità dell’anima. Per riuscire ad ottenere il sommo bene, la massima felicità, ci deve essere per Kant una perfetta adeguatezza della volontà alla legge morale. In questo consiste la santità secondo il filosofo di Königsberg, santità che però non è raggiungibile in questo mondo e che abbisogna di un progresso morale che va all’infinito.

La critica compiuta da Kant, secondo l’esame che ne fa lo stesso filosofo, non vuole danneggiare la fede del popolo, anzi essa vuole essere l’opposto, ossia un aiuto contro l’ateismo, il materialismo e l’incredulità di liberi pensatori. Da questo possiamo comprendere la celebre frase kantiana, «Io ho dovuto sopprimere il sapere per sostituirvi la fede», contenuta nella Critica della ragion pura e che è divenuta una chiave di lettura della stessa teologia filosofica hegeliana, tutta racchiusa tra i termini ‘fede’ e ‘sapere’.

Il pensiero critico kantiano non pone fine alla metafisica, come alcuni pensatori sostengono. Egli, secondo Bontadini, ha semplicemente fatto giustizia di una metafisica dogmatica, che fosse una mera scienza delle cose in sé. Kant ha affermato l’ordine ontologico come ciò che trascende l’idea e nega il valore rappresentativo che è stato assegnato all’idea dalla filosofia razionalista moderna. L’operato di Kant è consistito soprattutto nell’aver voluto smascherare la contraddizione nella quale la metafisica razionalista si è trovata avvinghiata. Per questo motivo troviamo nel filosofo di Königsberg una valorizzazione del compito umanistico della filosofia, che ci fa comprendere come a ragione il Bontadini ha ritenuto riduttivo l’intendere la filosofia kantiana come una semplice fondazione della conoscenza scientifica, trascurando quella eccedenza oltre l’ambito indagato dalla scienza a cui essa ci rimanda.

1 commento:

  1. Penso alle critiche che faceva Florenskij nel tuo libro e mi pare che questo articolo che evidenzia la metafisica kantiana non come un tentativo distruttivo della metafisica ma come una critica a una metafisica troppo dogmatica. Anch'io, senza affermare che la nuova metafisica kantiana sia un tentativo pienamente riuscito, condivido i suoi pregi. In questa direzione Heid sosteneva la crisi giacchè la vecchia metafisica non finiva di morire e la nuova non era ancora in grado di sostituirla....

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