sabato 11 aprile 2015

Dal gender ad un "nuovo modo di essere"


«La questione del gender fa riferimento ad una ideologia secondo la quale non è tanto importante come si è fisicamente quanto come ci si sente». Sono state queste le chiare parole con le quali il dottor Tommaso Cosentini, Vice Presidente dell’Associazione Medici Cattolici di Rieti, ha aperto l’incontro-dibattito tenutosi sabato 11 aprile 2015 a Rieti, presso l’Auditorium Varrone, intorno al tema Sesso, sessualità e identità di genere tra autodeterminazione e discriminazione, organizzato dalla Ufficio Pastorale della Salute della Diocesi di Rieti. Il medico ha introdotto i lavori sottolineando come la teoria del gender associ la sessualità alla personalità e come sia stata ben accolta in alcuni paesi europei e in America, credendo che essa possa portare una ventata nuova di uguaglianza nella lotta contro la discriminazione.

La problematica del gender è una questione molto complessa, che trova il suo nodo centrale nell’esser persona, ossia nell’essere capace di relazionarsi agli altri. A fare da guida nei meandri di questa tematica è stato il professor Pietro Grassi, docente  presso la Pontificia Università Santa Croce di Roma. Egli ha cercato di mostrare come il parlare di identità non sia mai una cosa totalizzante, e come soprattutto non lo sia durante il periodo dell’adolescenza. Ognuno, infatti, è uno e molteplice al tempo stesso, ognuno è un mistero a se stesso e lo scadere nel conformismo può essere una trappola veramente mortale. Il dolore e la sofferenza, infatti, conducono allo scontro con la realtà, a partire da quale è possibile comprendere che la vita non è un gioco ma qualcosa di reale, la vita non è un “come se” ma un “come”. Spesso noi vogliamo essere al posto di un altro, ma non essere l’altro, in quanto se siamo lui non siamo io. “Essere io” è l’avventura di una vita, l’esperienza di una vita, la ricerca di ciò che siamo attualmente o in potenza, ma sempre in rapporto all’immensità che siamo. Conosci te stesso, recitava l’oracolo. Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Perché soffro? Sono questi gli interrogativi che pongo continuamente a me stesso. Per i buddisti si è un sogno in un sogno. Ma l’uomo non è sogno, è libertà, è volontà. Sono le persone che amiamo, i libri che leggiamo, la musica che ascoltiamo a dirci chi siamo e a determinare la nostra gioia, la nostra felicità, la nostra sofferenza, il nostro godere. Alcune situazioni feriscono la mia anima ma non posso togliermi dal contesto e dalla situazione che mi trovo a vivere.

Diviene allora prezioso riscoprire nella logica del volto l’incarnazione della identità della persona. Alcune volte si cammina accanto alle persone come sfiorando delle macchine parcheggiate. Questo vuol dire tradire la logica del volto. Il volto è l’altro in cui posso perdermi, smarrire la mia identità, dare un senso alla mia esistenza. Il volto altrui è il mio limite, è sguardo, occhi che vedono. Il volto dell’altro è tutto tranne che un viso anonimo. In ogni uomo è presente il mistero e guardare un volto significa entrare in contatto con quel mistero. Passeggiando mano per la mano con la persona che amo comprendo che il mio corpo non è qualcosa di accessorio. Il corpo è fonte di comunione e siamo tanto più umani quanto siamo in comunione con gli altri. Amare è umano, odiare no, perché conduce al degrado. La tecnologia spesso è divenuta il nostro padrone, disumanizzando le nostre relazioni, impoverendoci in umanità.

La nostra società, invece, è fortemente individualista e insegna a fare a meno degli altri. Si diventa adulti nella misura in cui si diviene sempre più autonomi e non bisognosi degli altri. Noi, però, non smettiamo mai di sentire il bisogno degli altri, anche se solo per vincere la solitudine. Il problema è che però intessiamo rapporti che non ci condizionano o che pretendano qualcosa da noi. Relazioni veloci che riducono il volto altrui in una faccia da scordare il prima possibile. Educati in questa ottica i ragazzi rischiano di essere sempre più dipendenti, purtroppo di altre cose!!!

È stato allora lo psichiatra Paolo Di Benedetto ad approfondire la tematica della identità sostenendo che essa è al tempo stesso una sola e molteplice. L’identità della persona è una realtà dinamica e non statica, risultato di molteplici fattori. Vi è l’identità immaginaria, quella capace di assumere i colori del momento per essere sempre adeguata alla scena in cui viene a trovarsi. Una identità costruita, quindi. Vi è l’identità simbolica, frutto della nostra storia, alla quale appartengono la famiglia, le istituzioni, oppure vi è anche una identità definita reale, in quanto è quella che manifesta ciò che veramente siamo nel momento in cui si è costretti ad abbattere le difese. È l’identità che generalmente noi nascondiamo ma che poi emerge spontaneamente in alcune circostanze. Poi vi sono i sintomi, ossia quegli aspetti che testimoniano la nostra singolarità e dai quali non riusciamo a separarci, come se essi fossero per noi degli “angeli custodi”.

In una società dove l’imperativo categorico non è più quello del dovere ma quello del godere, lo psichiatra Di Benedetto ha evidenziato come l’essere entrato in crisi del “nome del padre” abbia un poco alla volta destrutturalizzato la persona umana. La figura regolatrice non c’è più, quel padre che incarna la figura del desiderio dell’altro è venuto meno per lasciare il posto ad una madre che proteggendo la vita ne simboleggia il godimento.

Oggi si è così dinanzi a quello che Judith Butler definiva essere il “sesso liquido”, ossia una teoria secondo la quale il genere debba essere piegato in favore di un qualcosa di eccentrico e di insolito. Un nomadismo sessuale che priva l’essere umano di identità e genera un trans-umanesimo. In questo modo anche la stessa teoria del gender viene a trovarsi già sorpassata da quella di un “nuovo modo di essere”, che è un qualcosa di non classificabile. Ma questo non è scienza!!! Con queste teorie, infatti, abbiamo a che fare, secondo lo psichiatra, con una vera e propria ideologia mediata da una filosofia gnostica autoreferenziale che non presenta nessun legame con il dato biologico strutturale, anzi nega la corrispondenza con il reale. Il sesso è sottomesso così alla cultura (culturalismo) e non è più un dato ontologico (essenzialismo).

Fondamentale è allora il ruolo della famiglia. Non si può, ha ribadito con forza il dottor Di Benedetto, tutto chiudere con la nascita del fanciullo, in quanto è proprio nella adolescenza che si attua la scelta definitiva del sesso, ossia nel momento in cui tutto si rimette in discussione. Fare l’uomo e fare la donna è un vero apprendimento e non è dato con il solo nascere. La cultura influenza certamente l’identità sessuale, ma quest’ultima non può essere relegata alla scelta del soggetto.

Le riflessioni di questi esperti sono risultate davvero importanti, nel momento in cui a Pechino già da qualche anno si parla di cinque generi mentre salgono a 52 le possibilità di genere delineate nei profili facebook. Dopo numerosi interventi, il Vicario della Diocesi di Rieti, mons. Jaroslaw Krzewicki, ha concluso affermando che l’ideologia gender sta entrando velocemente nelle scuole ed è essenziale comprendere quale sia il meccanismo che ne promuove la diffusione. Indagare le radici del problema non è sufficiente, è necessario scoprire quali sono le ferite che le persone portano con sé. La teoria del gender riguarda dei ragazzi in carne ed ossa e potrebbe ledere quel bene che è la loro crescita e la promozione dei loro “giusti diritti”.

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