Esaminando
questa ulteriore prova storica Pannenberg si imbatte immediatamente in una
prima difficoltà: il silenzio paolino[1].
Perché Paolo in nessuna parte del suo epistolario menziona il fatto della tomba
vuota? Forse perché è una notizia inattendibile a livello della sua fattività
storica? Secondo il nostro Teologo la motivazione potrebbe essere un’altra.
Paolo è assai interessato a mettere in parallelo il comune credente con il Cristo,
affinché il primo veda il suo futuro nel secondo. Logicamente questo può andare
bene per la resurrezione di Cristo, che è prefigurazione e anticipazione della
nostra, ma non per il sepolcro vuoto, che per il Nazareno è rimasto vuoto
mentre non accadrà lo stesso per tutti i suoi credenti. Quindi, si può dedurre,
che è per questo motivo che Paolo non si sia mostrato interessato a ciò che è
accaduto a Gerusalemme. Sulla non conoscenza della tradizione gerosolimitana
del sepolcro vuoto, invece, Pannenberg la ritiene una ipotesi dai fondamenti
alquanto improbabili.
Il
sepolcro vuoto rimane il fondamento della predicazione apostolica, in quanto se
non fosse stato tale tutta la evangelizzazione degli apostoli riguardante il
Cristo morto e risorto sarebbe stata vanificata dal corpo sepolto di quel Gesù
che veniva detto Figlio di Dio. La proclamazione della resurrezione di Cristo,
invece, esige la sicura testimonianza che la tomba sia stata effettivamente
vuota, pensiero che Pannenberg condivide con Althaus[2]. Hirsch,
invece, avvalendosi del cosiddetto “terrore tabuistico”, secondo il quale
nessuno a Gerusalemme, per questo sentimento di paura che si nutre verso le
tombe e i cadaveri, sarebbe mai andato a controllare la presenza o meno del
corpo di Gesù dentro al suo sepolcro, mette in dubbio la attendibilità di
questa prova storica della resurrezione di Gesù. Questa critica non sembra,
però, trovare terreno fertile. Infatti non si nega di sicuro la presenza di
questo sentimento di terrore verso ciò che ha a che fare con il mondo dei
morti, ma non si può neppure trascurare il fatto che le autorità romane siano
state costrette a prendere delle misure di sicurezza contro le profanazioni
delle tombe, in quanto fenomeno molto diffuso in Palestina. Ciò dimostra come
il terrore tabuistico, di cui parla Hirsch, non sarebbe stato un gran
deterrente.
Facilmente
criticabile è anche l’ipotesi di un’esumazione del corpo di Gesù, poiché, se
fosse avvenuta, l’avrebbero potuta aver praticata solamente le autorità
giudaiche, le quali non ci avrebbero pensato poi due volte a diffonderne la
notizia per screditare la comunità giudeo–cristiana che si andava formando. Le
autorità giudaiche, invece, dovettero ammettere che la tomba era vuota e, se si
fosse dimostrata pure la leggendarietà della narrazione di Mc 16, un dato
sarebbe rimasto inamovibile: il sepolcro
fu trovato vuoto! E un ulteriore dato è certo, in Gerusalemme il fatto del
sepolcro vuoto era notissimo. Non possiamo nemmeno addurre prove razionali
riguardanti come questo fatto sia potuto avvenire, come vorrebbe Grass, dato
che è un evento inaudito, non comprensibile attraverso le capacità razionali
umane. Grass, comunque, non si ferma
qui. Egli ritiene che vi possa essere anche l’ipotesi di una congettura che
riguardi la sepoltura di Gesù di Nazareth. Visto che costui era un malfattore e
un bestemmiatore non si poteva essere certi del luogo dove fosse stato
seppellito. Questa insicurezza a lungo andare fece perdere l’interesse di
riuscire a trovare il corpo di Gesù e non lo si è cercò più. Sta di fatto che la
narrazione evangelica ci tramanda notizie sulla questione dei discepoli che
avrebbero trafugato il cadavere del loro Maestro (cfr. Mt 28, 11–15), ma non
spreca una sola parola su questa ricerca affannosa ed inutile da loro compiuta
alcune settimane dopo la morte di Gesù, cosa molto strana! D’altro canto non
possiamo nemmeno accettare l’accusa di congettura nei riguardi della sepoltura
del Nazareno. Mc 15, 42–47, testo che narra della sepoltura di Gesù, non può
essere considerato leggendario e privo di valore storico a causa del suo legame
col nome di Giuseppe d’Arimatea. Non solo. Anche la formula antica di 1Cor 15,
4 menziona l’essere stato sepolto (ἐτάφη) di
Gesù.
L’analisi
compiuta da Wolfhart Pannenberg è strettamente legata al testo evangelico. Sebbene
la tradizione del sepolcro sia l’unica storia della Pasqua comune a tutti i
sinottici, il nostro Teologo concentra la sua attenzione sul testo di Mc 16, 1–8[3]. Le
analisi esegetiche che il nostro Teologo affronta su questo testo lo portano a
concludere che il v. 7 e il v. 8b siano stati posti successivamente in Mc 16[4], dato
che gli sembra che il racconto marciano sia già completo senza di essi, soffermandosi
solo sul racconto della passione e del sepolcro. La narrazione delle
apparizioni, allora, si potrebbe ritenere non presente a Gerusalemme, a
differenza del sepolcro vuoto.
Abbiamo
di fronte, sicuramente, conclude Pannenberg, due tradizioni, quella
gerosolimitana del sepolcro vuoto e quella galilaica delle apparizioni di Gesù.
Molti punti interrogativi rimangono comunque aperti: i discepoli sono tornati
subito in Galilea dopo la cattura di Gesù? La tomba è stata scoperta essere
vuota senza la loro presenza? Oppure i discepoli rimasero a Gerusalemme durante
tutti gli avvenimenti della passione e morte del loro Maestro, per ritornare in
Galilea solo dopo la scoperta del sepolcro vuoto? Ma allora perché essi non figurano
nei testi che raccontano della sepoltura del loro Maestro? Secondo il nostro
Autore potremmo allora considerare le due tradizioni indipendenti e complementari.
Questo fa sì che il nostro Teologo ritenga la realtà «della risurrezione di
Gesù come storicamente molto probabile […] come avviene sempre nelle ricerche
storiche, si deve supporre così fino a nuovo avviso»[5].
[1] Cfr. Ivi, 114-123. Nello studio di Romano Penna,
trattando del sepolcro vuoto, si evince che il silenzio della formula antica di
1Cor 15 sia dovuto al fatto che «nelle testimonianze più antiche la scoperta
del sepolcro vuoto non produce mai la fede nel Risorto, ma è solo causa di sconcerto
e di paura. In quanto tale perciò esso è un segno ambiguo, non costringente,
come dimostra anche l’accusa giudaica del trafugamento del cadavere» (R. Penna, I ritratti originali di Gesù il Cristo, 182-183).
[2] Non di questa stessa opinione è invece Hans Kessler
che sottolinea come «secondo la concezione protocristiana il sepolcro non doveva
essere necessariamente vuoto» (H.
Kessler, La risurrezione di Gesù
Cristo, 450). Per il professore di Francoforte sono almeno tre i motivi in
base ai quali è possibile affermare ciò: a) innanzitutto, perché nella
concezione ebraica vigente al tempo di Gesù vi erano molteplici teorie
riguardanti la speranza in una vita concessa da JHWH nella morte. Si parlava di
risurrezione, di ascensione, di rapimento al cielo, di unione indistruttibile
con Dio e molte altre, per cui assurgere un campo semantico come valido
rispetto agli altri non è cosa giusta a livello scientifico; b) si credeva
nell’esistenza di una vita corporea risuscitata ed elevata in cielo nonostante
il cadavere presente nella tomba (basta far riferimento a 2Mac 7, 1–29 o a
tutta una letteratura apocalittica come il 1Enoc XXIII, 31 e CII-CIV); c)
quando si parla di vita corporea oltre alla morte spesso si intende l’identità
della persona nelle sue relazioni con la comunità e con il mondo e non la sua
propria identità materiale con il corpo sepolto (cfr. Mc 12, 24ss e 1Cor 15,
35–44). Quindi la fede ebraica riteneva che «il corpo della resurrezione (= la
persona risuscitata) è sì personalmente identico con il corpo (= la persona)
defunto, non però materialmente identico con il cadavere distrutto» (H. Kessler, La risurrezione di Gesù Cristo, 451). Dove in At 2, 27. 31 si
legge, riportando il Sal 16, 10, del non vedere la corruzione, il testo rimanda
ad uno dei significati veterotestamentari della salvezza nella morte, per cui
si può concludere, secondo Kessler, che «la risurrezione non ha perciò
direttamente qualcosa a che fare con il cadavere e, di conseguenza, il sepolcro
vuoto non è una parte costitutiva necessaria della fede cristiana nella
resurrezione, ma piuttosto un simbolo illustrativo» (ivi, 452).
[3] «1 Passato il sabato, Maria Maddalena, Maria, madre di
Giacomo, e Salome comprarono degli aromi per andare a ungere Gesù. 2 La
mattina del primo giorno della settimana, molto presto, vennero al sepolcro al
levar del sole. 3 E dicevano tra di loro: «Chi ci
rotolerà la pietra dall'apertura del sepolcro?» 4 Ma,
alzati gli occhi, videro che la pietra era stata rotolata; ed era pure molto
grande. 5 Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto
a destra, vestito di una veste bianca, e furono spaventate. 6 Ma
egli disse loro: «Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato
crocifisso; egli è risuscitato; non è qui; ecco il luogo dove l'avevano messo. 7 Ma
andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là
lo vedrete, come vi ha detto». 8 Esse, uscite, fuggirono
via dal sepolcro, perché erano prese da tremito e da stupore; e non dissero
nulla a nessuno, perché avevano paura».
[4] La
particella ἀλλὰ con cui si
apre il v. 7 si ritiene immotivata e aggiunta, quindi, successivamente insieme
a tutto il versetto, proprio come è avvenuto in Mc 14, 28.
[5] W. Pannenberg, Cristologia, 122-123.
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