giovedì 2 aprile 2015

La resurrezione di Gesù come evento storico


La risurrezione è stata la chiave interpretativa in base alla quale venne riletta tutta la vita di Cristo nella prima comunità cristiana delle origini. Ma non solo. Anche il senso pieno della Scrittura viene rivelato nell’incontro con il Risorto, dato che il suo significato centrale è proprio la resurrezione di Gesù Cristo, il Crocefisso[1]. In passato, invece, si era posta la resurrezione in un atrio nascosto di qualche scantinato, lasciando alla soteriologia il compito di analizzare soltanto la passione e la croce di Gesù. Col XX secolo si è riusciti a ricollocare la risurrezione nel posto centrale che meritava all’interno degli studi soteriologici ed anche escatologici[2].

Ma la risurrezione di Cristo è stata un evento storico oppure no? È a questo interrogativo che cercheremo ora di rispondere analizzando il pensiero di Wolfhart Pannenberg. Il primo problema che ci troviamo ad affrontare, però, è quello inerente il concetto di storicità. Interessante a questo riguardo è il confronto riportato dal nostro Teologo nel secondo volume della sua Teologia sistematica[3] ed avente come protagonisti lui e Walter Kasper. Secondo il nostro Autore giudicare della storicità di un evento non implica necessariamente il sostenere che di quell’evento non si possa discutere sulla sua effettualità. Tanto che «nel caso della resurrezione di Gesù, ogni cristiano dovrebbe sapere che fino a quando il mondo non si sarà realizzato compiutamente, escatologicamente, la fattività di tale evento rimarrà controversa, in quanto rappresenta una sfida per un modo d’intendere la realtà orientato al mondo che passa, mentre la nuova realtà inaugurata con la resurrezione di Gesù non è ancora apparsa in tutta la sua universalità e definitività»[4]. E il nostro Teologo ci tiene a sottolineare che ciò che è “storico” non coincide con ciò che è “storicamente dimostrabile”.

Kasper non è, invece, di questo avviso, tanto che accusa Pannenberg di imporre all’indagine storica «un onus probandi davvero enorme»[5]. Egli esamina il significato che il nostro Teologo attribuisce al sepolcro vuoto. Una caratteristica del metodo di ricerca pannenberghiano, che viene sottolineata in questo dibattito, è quella di inserire la problematica storica entro un orizzonte ermeneutico più ampio, cercando di non scadere mai o in una mera fatticità verificabile o in un dissolvimento fideistico. Kasper accetta di buon grado questo modo di fare, evidenziando che anche la teologia cattolica si comporta in ugual modo, tramite l’uso della categoria del “segno”[6].

Per comprendere il pensiero del nostro Autore a riguardo della storicità della resurrezione di Gesù è doveroso richiamare alla mente una precisazione terminologica. Martin Kähler distingue i due termini che nella lingua tedesca traducono “storia”, Historie e Geschichte. Con il primo termine si intende la storia come cronaca, il fatto nudo e crudo, mentre con il secondo la storia come una realtà operante nel tempo e nello spazio[7]. Dove Pannenberg situa la risurrezione di Cristo? Di sicuro non solamente nella Historie ma anche nella Geschichte, in quanto è un fatto accaduto in un tempo e in uno spazio ma ancora operante in mezzo a noi, in quanto si estende a tutti coloro che parteciperanno alla stessa sorte del Cristo Risorto[8]. Ma cosa ne hanno pensato i contemporanei di Pannenberg di questa conclusione? Grazie allo studio analitico e schematico di Gerald O’Collins[9] possiamo tentare un piccolo confronto con alcuni teologi da lui analizzati, come Barth, Bultmann, Marxen e Moltmann, per renderci conto dell’atmosfera culturale che ha accompagnato questi dibattiti teologici.

Tra coloro che si sono opposti al ritenere la risurrezione di Cristo un evento storico, troviamo Karl Barth, il quale, dalle pagine del suo commento alla Lettera ai Romani dell’Apostolo Paolo, ha sostenuto che «la resurrezione di Gesù dai morti non è un avvenimento datato di estensione storica accanto agli altri avvenimenti della sua vita e della sua morte, ma è la relazione “non-istorica” (4:17b) della sua intera vita storica con la sua origine in Dio»[10]. In un’altra opera, intitolata La resurrezione dei morti, Barth ha aggiunto, a quanto sopra già affermato, che «tempo e spazio rappresentano una questione assolutamente indifferente. Di ciò che questi occhi videro, poteva ugualmente essere affermato che non era, non è, non sarà mai in nessun luogo, o che era, è, sarà sempre e in ogni luogo possibile»[11]. Egli infatti riteneva che se si fosse voluto pensare la risurrezione di Gesù come un avvenimento storico lo si sarebbe potuto fare solo in quanto esso era avvenuto nell’anno 30 a Gerusalemme, dove fu scoperto e riconosciuto[12].

Nel corso degli anni il pensiero del teologo di Basilea è mutato profondamente, tanto che, nel momento della stesura della Dogmatica ecclesiale, Barth rilesse la risurrezione di Cristo senza trascurarne il punto di vista storico. Non per questo, però, possiamo giungere alla facile conclusione che vi sia stata una convergenza con gli interessi di ricerca di Pannenberg, dato che rimangono aperte ancora delle divergenze. Una di queste, per esempio, riguarda il comprendere in che modo una prova possa dirsi storica. Secondo Barth, per essere tale, essa deve essere addotta da testimoni che sono estranei all’accaduto e quindi imparziali. Facendo poi riferimento al testo di 1Cor 15, preso come punto di riferimento anche da Pannenberg, Barth ha ribadito ciò che aveva già espresso in tempi passati, ne La resurrezione dei morti, quando aveva affermato che l’elenco paolino dei testimoni della resurrezione di Cristo non poteva essere addotto come una prova storica di quest’ultima, in quanto lo scopo di quel testo non era quello di essere una dimostrazione storica della resurrezione di Gesù[13].

O’ Collins denota allora la presenza di una tensione all’interno del pensiero del teologo di Basilea: da un lato l’apertura all’indagine storica della resurrezione, dall’altro lato però la negazione della possibilità da parte dei nostri metodi di indagine di poterla affermare. Lo studioso conclude che secondo Barth si può classificare il racconto della resurrezione di Gesù di Nazareth nel genere della saga o legenda, ossia di quel filone di eventi realmente accaduti ma aventi dei particolari tali da non rientrare nella verifica del metodo storico. Non stiamo parlando o alludendo ad alcunché di mitologico, poiché Barth ha evidenziato la realtà del loro accadimento[14]. È interessante notare come secondo il teologo di Basilea sono da ritenersi discorsi solamente superstiziosi quelli che proverebbero che solo ciò che è storicamente verificabile possa essere accaduto nel tempo. Per questo motivo la risurrezione «implica una visione precisa attraverso gli occhi, un ascolto attraverso gli orecchi, e un contatto fisico attraverso le mani, come le storie pasquali dicono in modo così deciso e inequivocabile e come è anche sottolineato in 1Gv 1. Implica azioni reali di mangiare e bere, di parlare e di rispondere, di ragionare […] e di dubitare e, quindi, di credere»[15]. Il pericolo, manifestato da O’Collins, è che, a questo punto, Barth abbia rischiato di usare un linguaggio, come quello riportato nella precedente citazione, che potrebbe denotare un fraintendimento tra la resurrezione e una semplice rivivificazione di un cadavere[16].

Mentre in Barth si è notato un certo sviluppo del suo pensiero intorno alla storicità della resurrezione, in Bultmann sappiamo già che questo non è accaduto. In lui, infatti, troviamo una scissione tra i dati della storia e la scelta della fede, a tal punto che la seconda sembra non dipendere dalla prima. La scienza storica indaga gli avvenimenti passati, la Historie, la quale però non riesce a penetrare la sfera della fede. In questo modo il pensiero di Bultmann sembra portare alla conclusione che i fatti oggettivi e storici della resurrezione non comportino una scelta di fede.

Di fronte al racconto della risurrezione O’Collins sottolinea come Bultmann si sia sentito libero di rigettare la storia del sepolcro vuoto, considerandola una legenda apologetica, la cui importanza era totalmente secondaria[17]. È stato nella sua opera Nuovo Testamento e mitologia, che il teologo di Marburg ha concluso: «il cristiano che ha la fede pasquale non ha interesse per la questione storica; per lui, così come per i primi discepoli, quell’evento storicamente accertato che consiste nell’insorgere della fede pasquale, significa l’autodimostrazione del risorto, l’intervento di Dio per cui si compie il fatto salvifico della croce»[18]. In fin dei conti, egli non ha ritenuto che la risurrezione possa essere solamente un evento della storia passata. In quanto evento escatologico per eccellenza, essa ha dovuto riguardare tutta la nostra esistenza.

Né Barth né Bultmann, però, con le loro teorie si sono distanziati tanto dalla posizione di Pannenberg, quanto il teologo Willi Marxsen dinanzi alla questione di una fede nata negli apostoli successivamente alla venuta del Cristo risorto: «In che modo Pietro abbia sperimentato questo, noi non possiamo più stabilirlo con sicurezza. Alcuni che vennero dopo di lui dissero che Pietro aveva sperimentato Gesù per mezzo di una visione. Può esser vero, come può non esserlo. Io non lo so. Ma chi pensa di saperne di più, deve render conto di dove l’ha ricavato»[19]. Per Marxsen nessuno in fin dei conti ha potuto definirsi testimone dell’evento della resurrezione, nessuno ha mai visto, nessuno ha mai sperimentato quello che lì è accaduto. Hanno visto il Crocefisso risorto, non la risurrezione, dedotta, casomai, proprio da questo come riflessione secondaria[20]. Marxsen, quindi, non ha dato assoluta importanza alla risurrezione in quanto evento; egli stesso ci ha ricordato che il miracolo vero è la fede donataci dal Cristo, non la sua risurrezione dalla morte. Questo insigne studioso non ha preferito parlare della resurrezione usando questo termine, bensì quello del venire di Gesù e della sua causa. Così egli ha scritto: «Egli [Gesù] viene ancora oggi e ci propone ciò che ho chiamato “la causa di Gesù” […]. Ma allora io rischio di fare questo contro ogni umana razionalità […]. Ma poi avviene che si rischia ancora, poi un’altra volta ed un’altra ancora, in fondo contro ogni razionalità. E ad un tratto ci si accorge di essere, durante questa vita, sulla via che porta alla via»[21].

O’Collins, tra i problemi che le espressioni di Marxsen hanno suscitato, annota una concezione positivistica della storia, che diviene nel suo pensiero una mera concatenazione di fatti percepiti a livello sensoriale, a tal punto che la storia è letteralmente legata a ciò che si percepisce tramite i sensi[22]. Oltretutto, vi sarebbe da evidenziare come il semplice sostenere che “la causa di Gesù continua”, come fa Marxsen, sia insufficiente, poiché se è vero che quello che Gesù ci ha insegnato sia a parole sia con i fatti continua ad essere ancora attuale, questo lo si potrebbe affermare anche dell’insegnamento di Socrate o di Platone. Invece una differenza si pone: Gesù è risorto, è vivo e non è morto come questi filosofi. È, quindi, lo stesso Gesù che viene personalmente oggi in mezzo a noi, non tanto una causa che potremmo definire impersonale e disincarnata[23]. Allora, sarebbe più opportuno sostenere che non è tanto “la causa di Gesù che va avanti” quanto lo stesso Gesù.

Per ultimo prendiamo in considerazione il pensiero di Jürgen Moltmann. Il teologo Franco Giulio Brambilla mostra come, secondo il collega di Wolfhart Pannenberg, sia bene analizzare la categoria della storia all’interno dell’ottica della resurrezione[24]. Moltmann, infatti, nel tentativo di non ridurre la concezione della storia ad un mero accadere di fatti o ad un principio soggettivo, ha introdotto il concetto di totalità della realtà, cercando di recuperare la categoria di “storia universale”, riscontrabile nella concezione apocalittica pannenberghiana di attesa della fine della storia.

La resurrezione è divenuta nella riflessione del teologo di Tübinga la chiave di lettura della storia e, anche in lui, è ritornato con forza il problema ermeneutico del linguaggio. L’esperienza storica è divisa tra l’esperienza (Erfahrung) e l’attesa (Erwartung), in quanto la storia passa sempre tra il ricordo e la speranza. A questo proposito, nelle pagine de La teologia della speranza leggiamo che «abbandonare se stessi e tutta la realtà esistente alle onde mutevoli della storia ha un senso soltanto in rapporto alla prospettiva di raggiungere una nuova terra […]. La comprensione della storia, delle sue possibilità di bene e di male, della sua direzione e del suo significato, si trova nella sfera delle speranze, e soltanto in quell’ambito la si può acquisire»[25]. La speranza a cui Moltmann ci ha richiamato trova le sue profonde radici nella storia di Israele, dato che si fonda su di una fede nella promessa in ciò che si realizzerà in futuro. Questo è un dato fortemente presente non solo nell’ebraismo ma anche nel cristianesimo e nell’islamismo, in quelle religioni che vengono generalmente classificate come “religioni della storia”. Sempre ne La teologia della speranza Moltmann ha esteso tutto questo ragionamento allo studio della stessa scienza storica, in quanto «non ci si potrà più limitare a leggere il passato arche–ologicamente prendendolo soltanto come origine di quello che di volta in volta è il presente. Bisognerà studiare il passato in rapporto al suo proprio futuro. Tutto ciò che è storico è pieno di possibilità, possibilità utilizzate e non utilizzate, còlte o soffocate […]. Bisognerà dunque comprendere le epoche passate a partire dalle loro speranze»[26]. Conclude Franco Giulio Brambilla, riprendendo le parole del professore di Tübinga, che «la resurrezione dei morti non parla solo di un’apertura al futuro e di una pregnanza di futuro del passato, ma anche di un futuro per il passato e perciò abbraccia le direzioni del tempo»[27].

Ma cosa ne pensa Moltmann della storicità della resurrezione di Cristo? Indubbiamente il legame tra storia e resurrezione è presente nelle sue riflessioni anche se con accenni che si diversificano fortemente da quelli di Pannenberg, dato che egli ha sottolineato soprattutto come la resurrezione di Cristo si possa dire storica non in quanto rientra nella storia, ma in quanto fa storia. Questo dato è molto rilevante. Nel teologo di Tübinga la resurrezione è stata messa in relazione ad un mondo contingente (contingentia mundi) nei confronti del quale la resurrezione stessa si presenta come una creazione nuova[28], una possibilità non esistente entro il mondo ed entro la sua storia e, per questo, «una possibilità totalmente nuova per il mondo, per l’esistenza e per la storia»[29]. Un evento che fa storia, più che un evento della storia, un evento che diventa luce per la storia stessa e non solo. Fa storia perché ci apre tutto un futuro escatologico entro il quale dovremmo vivere. Nelle pagine de La teologia della speranza Moltmann ha scritto che «la realtà della risurrezione possiamo scoprirla soltanto nel fatto di essere direttamente toccati dalla predicazione della fede che vien fatta oggi, soltanto nel volgere lo sguardo al Signore, soltanto nell’obbedire oggi alla sua esigenza assoluta nella quale si esprime oggi la salvezza»[30]. La vicinanza a Bultmann è palese e si è rivelata nel momento in cui Moltmann non ha ritenuto possibile per le scienze storiche indagare la resurrezione di Gesù: queste scienze possono solamente indagare, secondo lui, la fede pasquale dei discepoli di Cristo[31].

Comunque non possiamo sottacere la presenza di una valenza soteriologia della resurrezione di Cristo nel pensiero del teologo di Tübinga. Egli ha riletto questo evento come l’adempimento delle speranze decadute con la morte di Gesù, del Messia. In quel momento, infatti, subentrarono sentimenti di abbandono, di giudizio, di maledizione, di esclusione dalla vita promessa, di dannazione. La risurrezione ha sostenuto Moltmann,

 

non va intesa come un puro e semplice ritorno alla vita, ma come vittoria sul carattere mortale di questa morte: vittoria sull’abbandono da parte di Dio, vittoria sul giudizio, sulla maledizione, come inizio dell’adempimento della vita promessa, e dunque come vittoria su ciò che vi è di morto nella morte, come negazione del negativo (Hegel), come negazione della negazione di Dio […]. La percezione dell’evento della resurrezione di Cristo è dunque una conoscenza di quell’evento, piena di speranza e di aspettazione[32].

 

Dopo questo sguardo panoramico possiamo ritornare al nostro Pannenberg, il quale crede fortemente che nel decidere se un evento sia storico oppure meno è bene lasciar fare alle analisi della ricerca storica, sapendo però che di fronte all’evento della resurrezione ci poniamo dinanzi ad una realtà appartenente alla nuova creazione e non alla vecchia. Per utilizzare i termini adoperati anche dal nostro Teologo dobbiamo parlare, secondo lui, della resurrezione come di un “nuovo eone” da indagarsi secondo le tecniche usate per il “vecchio eone”. In fin dei conti, «non esiste alcuna ragione valida per sostenere che la resurrezione di Gesù è un evento veramente accaduto, se non la si può difendere come tale dal punto di vista storico. Del verificarsi o no di un certo evento duemila anni fa, di questo non ci fornisce certezza la fede, ma solo la ricerca storica, nella misura in cui in simili questioni si può ottenere la certezza»[33].

Il ragionamento di Pannenberg è molto chiaro: un fatto si può dire storico solo se passa il vaglio della ricerca storica e non se viene sottoposto alla sola fede! Già nel 1959 il nostro Autore aveva sottoscritto questo suo pensiero: il rapporto tra la fede e la storia è assai stretto, per cui è logicamente corretto che chi crede non può non voler cercare il fondamento storico su cui poggia la sua fede. Sarebbe, in fin dei conti, del tutto controproducente rifugiarsi in una zona sicura da ogni assalto da parte della ricerca storico–critica[34]. La scelta della fede, che l’uomo compie nella integrità della sua persona, non può essere fatta con troppa semplicità e superficialità, poiché in essa ci si gioca tutta la vita. L’istanza veritativa su Gesù e sulla sua pretesa pre–pasquale noi la troviamo proprio nella sua resurrezione dai morti. Nel manifesto programmatico del Pannenberg Kreis, il professore Ulrich Wilckens cercò di mostrare quanto andiamo affermando in un suo prolisso articolo, al termine del quale sostenne che «la rivelazione […] c’è soltanto nell’avvenimento della resurrezione dai morti di Gesù di Nazareth, crocifisso, con il quale avvenimento Dio ha fatto iniziare il suo nuovo eone»[35]. Il Gesù terreno viene così ad essere legittimato dall’avvenimento della sua risurrezione e tutta la chiesa primitiva vide nella sorte di Gesù l’autorivelazione di Dio stesso.




[1] Cfr. H. Schlier, Sulla resurrezione di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 1971, 68.
[2] Cfr. C. Duquoc, “Risurrezione di Cristo”, in P. Coda (a cura di), Dizionario critico di teologia, Borla-Città Nuova, Roma 2005, 1142.
[3] Cfr. W. Pannenberg, Teologia sistematica, II, Queriniana, Brescia 1994, 408–409, nota 115.
[4] Ivi, 409.
[5] W. Kasper, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1975, 185.
[6] Kasper sostiene che «in genere la teologia cattolica del presente cerca di risolvere il problema impiegando la categoria del “segno”. Di per se stessi gli eventi storici o sono insignificanti o rimangono ambigui; diventano significativi e chiari soltanto se inseriti in un più ampio nesso di significato. Viceversa, anche le interpretazioni rimangono vuote quando non interpretano ciò che è realmente accaduto e non trovano in esso la loro conferma. Non si dovrebbe parlare di prove storiche, bensì di segni» (ivi, 186).
[7] Cfr. N. Ciola, Gesù Cristo Figlio di Dio. I. Vicenda storica e sviluppi della tradizione ecclesiale Borla, Roma 2012, 102.
[8] Cfr. W. Pannenberg, Cristologia, 112.
[9] G. O’Collins, Gesù Risorto. Un’indagine biblica, storica e teologica sulla risurrezione di Cristo, Queriniana, Brescia 20002.
[10] K. Barth, L’epistola ai Romani, Feltrinelli, Milano 1962, 174–175.
[11] Id., La resurrezione dei morti. Lezioni universitarie su I Cor 15, Marietti, Casale Monferrato 1984, 91.
[12] Cfr. Id., L’epistola ai Romani, 6.
[13] «Davanti a questi versetti, tanto l’interesse del lettore quanto quello dell’interprete solitamente si concentra su di un punto che come tale, per quanto possa essere effettivamente in sé interessante, non costituisce certamente l’oggetto dell’interesse di Paolo […]. Si deve invece mettere in chiaro fin dall’inizio che tanto per Paolo, quanto per la tradizione […] non si tratta affatto di fornire, come si usa dire, un “resoconto della risurrezione”, cioè una relazione sul fatto storico “resurrezione di Gesù” o addirittura (Lietzmann) una “prova storica della risurrezione”» (Id., La resurrezione dei morti, 88).
[14] Cfr. G. O’Collins, Gesù Risorto, 45–47.
[15] K. Barth, Dogmatics Church, IV/2, London 1983, 143, riportato in G. O’Collins, Gesù Risorto, 48.
[16] È interessante quanto sosteneva Ratzinger circa l’attenzione al linguaggio. Il noto professore sottolineava la differenza tra una vita come bíos e una come zoe. La vita  del Risorto non è del primo tipo, dato che non è più un’esistenza intra–storica soggetta alla morte, ma è una vita nuova, diversa e definitiva. Per questo motivo con il Risorto non si ripete l’episodio di Lazzaro, vivificato per poi ri–morire ancora. Ratzinger ci tiene ad evidenziare che gli incontri col Risorto sono definiti “apparizioni”, per differenziarli da quelli pre–pasquali e sono difficili da descrivere e raccontare. Quando gli evangelisti provano a parlarne sembra che balbettino e che si contraddicano tra loro (cfr. J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico, Queriniana, Brescia 200312, 297–298).
[17] Cfr. G. O’Collins, Gesù Risorto, 56–57.
[18] R. Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia: il manifesto della demitizzazione, Queriniana, Brescia 1973, 170–171.
[19] W. Marxsen, La resurrezione di Gesù di Nazareth, EDB, Bologna 1970, 172.
[20] Cfr. G. O’Collins, Gesù Risorto, 74.
[21] W. Marxsen, La resurrezione di Gesù di Nazareth, 240–241.
[22] Cfr. G. O’Collins, Gesù Risorto, 75–77.
[23] Cfr. Ivi, 76.
[24] Cfr. F. G. Brambilla, Il Crocifisso risorto. Risurrezione di Gesù e fede dei discepoli, Queriniana, Brescia 19992, 225.
[25] J. Moltmann, Teologia della speranza. Ricerche sui fondamenti e sulle implicazioni di una escatologia cristiana, Queriniana, Brescia 20027, 270.
[26] Ivi, 274.
[27] F. G. Brambilla, Il Crocifisso risorto, 228.
[28] «Soltanto se è possibile comprendere il mondo come una creazione contingente determinata dalla libertà di Dio ed avvenuta ex nihilo, soltanto sulla base di questa contingentia mundi, diventa possibile intendere la resurrezione di Cristo come nova creatio» (J. Moltmann, Teologia della speranza, 274).
[29] Ivi, 184.
[30] Cfr. Ivi, 190.
[31] Cfr. Ivi, 191.
[32] Ivi, 216.
[33] W. Pannenberg, Cristologia, 113.
[34] Cfr. Id., “Avvenimento di salvezza e storia”, 72.
[35] U. Wilckens, “L’intelligenza della rivelazione nella storia del cristianesimo primitivo”, in Aa. Vv., Rivelazione come storia, Dehoniane, Bologna 1969, 156.

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