Una delle questioni
centrali della gnoseologia medievale riguarda la problematica degli universali,
incentrata sulla determinazione del fondamento e del valore di concetti e
termini universali, come ‘animale’ o ‘uomo’, che si possono applicare ad una
molteplicità di individui. Trattare degli universali significa interessarsi del
rapporto tra le voces e le res, tra il pensiero e l’essere, tra le
idee e le categorie mentali e le realtà extramentali. In sintesi possiamo
affermare che la domanda di fondo che si pongono i filosofi medievali è questa:
gli universalia sono ante rem, in re o post rem? A
questo interrogativo possiamo associare le tre soluzioni che vengono
maggiormente apportate:
a) il
realismo di Guglielmo di Champeaux, per il quale gli universalia sono delle res,
ossia delle realtà metafisiche sussistenti. Secondo questo filosofo vi è una
perfetta corrispondenza tra i concetti universali e la realtà, tra il pensiero
e la realtà. A questa tesi si contrappone Abelardo, il quale considera nella
tesi del maestro Guglielmo la presenza dell’aporia di ammettere nello stesso
soggetto più predicati tra loro contraddittori. Rileggendo Aristotele Abelardo
sostiene che la posizione realista da un lato svaluta l’individuo, rendendo
accidentale la distinzione dei soggetti, e dall’altro non tiene conto del fatto
che l’universale debba essere ciò che viene predicato di più enti. Se esso
coincide con una res non può,
infatti, essere predicato di un altro ente;
b) il
nominalismo di Roscellino, per il quale gli universalia
non possiedono nessun valore, dato che non possono riferirsi alla res, poiché le cose che esistono sono
individue e non esiste nulla oltre l’individualità. In questo modo viene ad
annullarsi ogni forma di conoscenza generale, i quanto gli universalia sarebbero solo flatus
vocis che non rimanda a nessuna realtà concreta;
c) il
realismo moderato di Abelardo, per il quale gli universalia sono i sermones,
i quali possono essere predicati di molti. Gli universalia, quindi, possono essere intesi come dei discorsi
mentali, frutto di un processo di astrazione che genera l’intellezione delle
cose. Nella realtà, infatti, tutto è individuale, ma la mente umana ha la
capacità di distinguere e separare i diversi elementi che appaiono
all’osservazione uniti. In questo modo si riesce a cogliere durante il processo
conoscitivo gli aspetti peculiari appartenenti ai molteplici individui di una
stessa specie. L’intelletto coglie una similitudo
o status communis che non è una
ripresentazione dell’essenza degli antichi ma un modo di essere in cui si
ritrovano gli individui della stessa specie. Facciamo un esempio. Per i
realisti moderati non esiste l’essenza di uomo, ma l’essere uomo come
condizione reale e concreta in cui gli uomini-individui convengono.
Uno
dei frutti della controversia sugli universalia
fu la disputa sull’Eucarestia tra Berengario di Tours e Lanfranco di Pavia
tra l’XI e il XII secolo. A partire dal realismo delle essenze Berengario,
infatti, interpreta in maniera simbolico-spirituale l’Eucarestia, negando il
suo essere sostanzialmente il corpo e il sangue di Cristo. Lanfranco cerca di
fronteggiare questa eresia con l’uso della dialettica, rimproverando a
Berengario di aver anteposto la ratio alla
fides. Il dato rivelato deve essere
sempre la fonte da cui deve partire l’indagine. In questo modo si evince che,
mentre normalmente le leggi del mondo sensibile ci adducono a constatare che
l’alterazione della sostanza comporti un variare dei suoi accidenti, nel caso
dell’Eucarestia per la grazia sacramentale mutano miracolosamente le sostanze
del pane e del vino mentre gli accidenti permangono dopo la trasformazione
sostanziale.
Il
dibattito tra Berengario e Lanfrando ci permettono di sostenere che nel
Medioevo la cultura possiede un’impronta profondamente cristiana ed orientata
soprattutto alla comprensione della dottrina rivelata. In questo modo la
ragione diviene funzionale alla fede così come la filosofia alla teologia per
l’esegesi della Scrittura e per la costruzione dottrinale sistematica del dato
rivelato. Proprio per questo rapporto tra fides
e ratio le università medievali
erano distinte in Facoltà delle arti liberali e Facoltà di teologia. Lo studio
delle arti liberali durava circa sei anni ed era considerato propedeutico
all’ingresso nella facoltà di teologia, la cui frequenza durava altri otto
anni. Le arti liberali erano divise in trivio e quadrivio ed erano la base
della istruzione. Esse riguardavano lo studio della grammatica, della logica,
della retorica, dell’aritmetica, della geometria, della musica e dell’astronomia.
Sembra che la prima sistematizzazione di queste disciplinae nelll’area latina sia da attribuire a Varrone, il cui
testo Disciplinarum libri è andato
però perduto. È quindi Agostino a darci la testimonianza della formazione di
questi sette distinti ambiti di studio, definiti liberales, poiché riservati maggiormente ai soli uomini liberi da
necessità materiali. Sarà successivamente Boezio a dare il nome di ‘quadrivio’
al percorso matematico delle arti liberali, mentre solo in un secondo momento
ed in epoca più tarda si fisserà con ‘trivio’ il percorso linguistico. Lo
studio delle singole discipline liberali era organizzato a partire dall’analisi
dell’insegnamento di quelli che ne furono i primi indagatori (Euclide per la
geometria, Aristotele per la logica, Cicerone per la retorica, Donato e
Prisciano per la grammatica…).
Il
sistema scolastico usato all’interno delle università testimoniava la grande
vivacità dialogica di cui si caratterizzava lo studio medievale. Gli studenti,
infatti, avevano a disposizione delle Summae
composte dai loro maestri come delle esposizioni sistematiche e sintetiche
di tutto quanto riguardava la conoscenza che doveva essere saputa. Essi
frequentavano poi la lectio e la disputatio, che permettevano un vero e
proprio scambio di idee tra i stessi studenti e i loro maestri. Il seminario (disputatio) era il momento il cui gli
scolari potevano discutere intorno ad una tematica che veniva proposta a
partire da una questio. La Scolastica
ha permesso di identificare le arti liberali con il sapere filosofico e,
quindi, con il ragionamento scientifico e ha portato ad una armonizzazione
delle varie autorità della tradizione filosofica. Ma non solo. Grazie alla
Scolastica si è tentata una conciliazione tra la filosofia classica,
soprattutto Aristotele e neoplatonismo, e la teologia cristiana. Con la
Scolastica si è cercato, inoltre, di indagare la rivelazione con l’ausilio
della ragione, facendo della teologia una vera e propria scienza della
rivelazione, in grado anche di difendere razionalmente i dogmi che
costituiscono il suo credo.