La questione della
legge naturale o morale è molto complessa ed attraversa trasversalmente tutta
la storia del pensiero dell’uomo. Fin dall’antichità classica, infatti, si sono
avviate ed aperte molteplici piste investigative, che possiamo raggruppare in
tre principali scuole, a seconda del diverso fondamento che hanno dato al
concetto di legge naturale:
a) fondazione
naturale: è la via percorsa dai sofisti, che fondano la
legge naturale sugli aspetti biologici della natura umana, per cui è da
considerarsi morale solo ciò che vale secondo la loro natura e non ciò che è
legato ad una legge positiva. Quest’ultima, infatti, viene concepita come
l’espressione classista dei potenti, i quali fanno della legge una entità
meramente arbitraria e, quindi, non affatto necessaria;
b) fondazione
razionale: è la via seguita da Platone, Aristotele e dallo
Stoicismo e consiste nel porre al centro del concetto di legge naturale quelli
che sono gli aspetti razionali della natura umana. Se Platone ed Aristotele
pongono una distinzione tra ciò che è giusto naturalmente e ciò che lo è in
forza di una legge, al tempo stesso però Platone con la sua dottrina delle idee pone un
criterio di giudizio degli atti particolari indipendente dal dato di fatto, mentre
Aristotele evidenzia come la forma di una cosa contenga anche un telos, una finalità. A differenza dei
sofisti, questi due filosofi non considerano l’essere umano solo a partire dai
suoi aspetti biologici, ma da ciò che lo contraddistingue, ossia dalla sua
ragione, che lo rende capace di una conoscenza universale. A partire da ciò la
legge della polis non viene vista
come una minaccia, ma come una via preziosa per la realizzazione dell’essere
umano. Lo stoicismo, poi, elaborerà ancora di più questo concetto, sostenendo
come in Cicerone, che la vera legge è legata alla retta ragione che a sua volta
è conforme alla natura, è costante ed eterna, unica ed immutabile, capace di
spronare a compiere il dovere o a distogliere dalla frode, una legge che può
governare tutti i popoli e in ogni tempo (cfr. Lo Stato, III, xxii, 33);
c) fondazione
teologica: è la strada tracciata da Agostino, il quale
riprende i principi perseguiti dalla filosofia classica, ossia le idee
platoniche, il nous aristotelico e la
ragione a-personale stoica, e li fa coincidere con la persona di Dio. In questo
modo è Dio stesso a divenire la misura della giustizia e la guida verso le
buone azioni per coloro che vogliono seguire la legge naturale (cfr. L’ordine, II, viii, 25).
Nella filosofia
medievale ci sembra di particolare importanza la visione del concetto di legge
morale o naturale che ci fornisce Tommaso d’Aquino, il quale ne parla in
termini di partecipazione. La legge naturale, infatti, è una partecipazione
alla legge eterna e deriva dall’inclinazione naturale della creatura verso un
atto o un fine dovuto. Spiegandoci meglio, l’Aquinate non identifica la legge
naturale con la legge eterna, ma dice che è una partecipazione della ragione
umana alla legge eterna divina. La ragione umana non può creare da sola la
legge naturale, ma può cooperare con Dio nella sua promulgazione. La legge
eterna è quindi quell’istanza oggettiva che fa da misura alla legge naturale.
Secondo Michael Konrad
a questo punto però Tommaso si chiede come può la ragione umana riconoscere la
legge naturale. Per l’Aquinate la ragione umana riesce a farlo a partire da
quelle inclinazioni naturali che scopre presenti nell’essere umano, ossia
l’inclinazione a conservare il proprio essere e quindi la propria
sopravvivenza, l’inclinazione a conservare la propria specie e quindi la
propria famiglia, l’inclinazione a tendere ai beni della ragione e quindi a
ricercare la verità. Le prime due inclinazioni non sono proprie dell’essere
umano ma di qualsiasi essere vivente ed infatti perseguono un fine proprio;
l’ultima, invece, è prettamente un inclinazione umana ed infatti è considerato
un fine dovuto[1].
La legge naturale
possiede allora due caratteristiche fondamentali, ossia quella di essere
universale, in quanto può riguardare gli uomini che abitano in tutto il mondo,
ed immutabile, in quanto riguarda gli uomini che vivono in ogni tempo. Questo è
dovuto al fatto che gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo posseggono la
stessa e medesima natura, che li rende capaci di riconoscerla almeno nei suoi
primi principi. Per quello che concerne, invece, i precetti materiali spesso
capita che non si trovi tra gli esseri umani una unanime condivisione, dovuta
ad un indebolimento della ragione per una corruzione dei costumi o il prevalere
dei vizi. Infatti, sostiene Konrad, «la conoscenza dei precetti materiali della
legge naturale non è dunque innata, ma costituisce piuttosto un compito per
ogni uomo»[2].
Con il sopraggiungere
dell’epoca moderna si è assistito all’entrare in crisi del concetto di naturale
a causa del positivismo giuridico, secondo il quale la fondazione del diritto
poteva non avere niente a che fare con la questione concernente la verità, che
tanto aveva infiammato le epoche precedenti. Il filosofo Hobbes dipinge bene
quanto è avvenuto quando afferma che la legge è fatta dall’autorità e non dalla
verità, senza per questo volere egli stesso pronunciarsi contro il diritto
naturale. In questo modo l’Illuminismo ha visto sempre più il formarsi un’idea
di morale fondata sulla pura ragione, senza tener affatto conto di quelle
radici cristiane che hanno lungo i secoli costituito la fondazione della morale
stessa. Si è così pian piano messo in pratica il pensiero sostenuto da Grozio
qualche secolo prima alla conclusione della Guerra dei Trent’anni. Secondo
questo filosofo, infatti, si sarebbe dovuto vivere come se Dio non esistesse,
ossia proponendo una legge naturale priva di Dio e la quale presentasse un
diritto minimo accettato da tutte le confessioni religiose. Sicuramente Grozio
era rimasto sconvolto da quelle che erano state le atrocità di una lotta
compiuta sotto l’insegna della ricerca della vera religione, ma ha causato
l’emergere di una linea di pensiero che da lì a poco è riuscita a separare la
fede dalla morale. Attualmente, secondo Konrad, la tragedia delle Guerre
Mondiali e il relativismo morale degli ultimi decenni, dovrebbero condurre ad
un capovolgimento dell’affermazione di Grozio, cioè a vivere come se Dio
esistesse[3]. È
di questa idea Ratzinger, per il quale il far riferimento a Dio nella morale
permette all’uomo di prendere maggiormente coscienza della propria
responsabilità in quello che compie.
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