venerdì 21 novembre 2014

La legge morale naturale


La questione della legge naturale o morale è molto complessa ed attraversa trasversalmente tutta la storia del pensiero dell’uomo. Fin dall’antichità classica, infatti, si sono avviate ed aperte molteplici piste investigative, che possiamo raggruppare in tre principali scuole, a seconda del diverso fondamento che hanno dato al concetto di legge naturale:

 

a)      fondazione naturale: è la via percorsa dai sofisti, che fondano la legge naturale sugli aspetti biologici della natura umana, per cui è da considerarsi morale solo ciò che vale secondo la loro natura e non ciò che è legato ad una legge positiva. Quest’ultima, infatti, viene concepita come l’espressione classista dei potenti, i quali fanno della legge una entità meramente arbitraria e, quindi, non affatto necessaria;

b)      fondazione razionale: è la via seguita da Platone, Aristotele e dallo Stoicismo e consiste nel porre al centro del concetto di legge naturale quelli che sono gli aspetti razionali della natura umana. Se Platone ed Aristotele pongono una distinzione tra ciò che è giusto naturalmente e ciò che lo è in forza di una legge, al tempo stesso però Platone  con la sua dottrina delle idee pone un criterio di giudizio degli atti particolari indipendente dal dato di fatto, mentre Aristotele evidenzia come la forma di una cosa contenga anche un telos, una finalità. A differenza dei sofisti, questi due filosofi non considerano l’essere umano solo a partire dai suoi aspetti biologici, ma da ciò che lo contraddistingue, ossia dalla sua ragione, che lo rende capace di una conoscenza universale. A partire da ciò la legge della polis non viene vista come una minaccia, ma come una via preziosa per la realizzazione dell’essere umano. Lo stoicismo, poi, elaborerà ancora di più questo concetto, sostenendo come in Cicerone, che la vera legge è legata alla retta ragione che a sua volta è conforme alla natura, è costante ed eterna, unica ed immutabile, capace di spronare a compiere il dovere o a distogliere dalla frode, una legge che può governare tutti i popoli e in ogni tempo (cfr. Lo Stato, III, xxii, 33);

c)      fondazione teologica: è la strada tracciata da Agostino, il quale riprende i principi perseguiti dalla filosofia classica, ossia le idee platoniche, il nous aristotelico e la ragione a-personale stoica, e li fa coincidere con la persona di Dio. In questo modo è Dio stesso a divenire la misura della giustizia e la guida verso le buone azioni per coloro che vogliono seguire la legge naturale (cfr. L’ordine, II, viii, 25).

 

Nella filosofia medievale ci sembra di particolare importanza la visione del concetto di legge morale o naturale che ci fornisce Tommaso d’Aquino, il quale ne parla in termini di partecipazione. La legge naturale, infatti, è una partecipazione alla legge eterna e deriva dall’inclinazione naturale della creatura verso un atto o un fine dovuto. Spiegandoci meglio, l’Aquinate non identifica la legge naturale con la legge eterna, ma dice che è una partecipazione della ragione umana alla legge eterna divina. La ragione umana non può creare da sola la legge naturale, ma può cooperare con Dio nella sua promulgazione. La legge eterna è quindi quell’istanza oggettiva che fa da misura alla legge naturale.

Secondo Michael Konrad a questo punto però Tommaso si chiede come può la ragione umana riconoscere la legge naturale. Per l’Aquinate la ragione umana riesce a farlo a partire da quelle inclinazioni naturali che scopre presenti nell’essere umano, ossia l’inclinazione a conservare il proprio essere e quindi la propria sopravvivenza, l’inclinazione a conservare la propria specie e quindi la propria famiglia, l’inclinazione a tendere ai beni della ragione e quindi a ricercare la verità. Le prime due inclinazioni non sono proprie dell’essere umano ma di qualsiasi essere vivente ed infatti perseguono un fine proprio; l’ultima, invece, è prettamente un inclinazione umana ed infatti è considerato un fine dovuto[1].

La legge naturale possiede allora due caratteristiche fondamentali, ossia quella di essere universale, in quanto può riguardare gli uomini che abitano in tutto il mondo, ed immutabile, in quanto riguarda gli uomini che vivono in ogni tempo. Questo è dovuto al fatto che gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo posseggono la stessa e medesima natura, che li rende capaci di riconoscerla almeno nei suoi primi principi. Per quello che concerne, invece, i precetti materiali spesso capita che non si trovi tra gli esseri umani una unanime condivisione, dovuta ad un indebolimento della ragione per una corruzione dei costumi o il prevalere dei vizi. Infatti, sostiene Konrad, «la conoscenza dei precetti materiali della legge naturale non è dunque innata, ma costituisce piuttosto un compito per ogni uomo»[2].

Con il sopraggiungere dell’epoca moderna si è assistito all’entrare in crisi del concetto di naturale a causa del positivismo giuridico, secondo il quale la fondazione del diritto poteva non avere niente a che fare con la questione concernente la verità, che tanto aveva infiammato le epoche precedenti. Il filosofo Hobbes dipinge bene quanto è avvenuto quando afferma che la legge è fatta dall’autorità e non dalla verità, senza per questo volere egli stesso pronunciarsi contro il diritto naturale. In questo modo l’Illuminismo ha visto sempre più il formarsi un’idea di morale fondata sulla pura ragione, senza tener affatto conto di quelle radici cristiane che hanno lungo i secoli costituito la fondazione della morale stessa. Si è così pian piano messo in pratica il pensiero sostenuto da Grozio qualche secolo prima alla conclusione della Guerra dei Trent’anni. Secondo questo filosofo, infatti, si sarebbe dovuto vivere come se Dio non esistesse, ossia proponendo una legge naturale priva di Dio e la quale presentasse un diritto minimo accettato da tutte le confessioni religiose. Sicuramente Grozio era rimasto sconvolto da quelle che erano state le atrocità di una lotta compiuta sotto l’insegna della ricerca della vera religione, ma ha causato l’emergere di una linea di pensiero che da lì a poco è riuscita a separare la fede dalla morale. Attualmente, secondo Konrad, la tragedia delle Guerre Mondiali e il relativismo morale degli ultimi decenni, dovrebbero condurre ad un capovolgimento dell’affermazione di Grozio, cioè a vivere come se Dio esistesse[3]. È di questa idea Ratzinger, per il quale il far riferimento a Dio nella morale permette all’uomo di prendere maggiormente coscienza della propria responsabilità in quello che compie.




[1] Cfr. Michael Konrad, Dalla felicità all’amicizia. Percorso di etica filosofica, Lateran University Press, Città del Vaticano 2007, 144.
[2] Ivi, 145.
[3] Cfr. Ivi, 147.

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