La questione che viene qui sollevata è legata al
fatto che attualmente la credenza che ‘Dio c’è’ viene salutata non troppo
positivamente poiché essa si presenta come una credenza,
ossia come un assenso che non può essere considerato, nell’ottica di una certa
mentalità positivista, criticamente fondato su evidenze o argomenti razionali
assai rigorosi. In questo modo, in gran
parte della cultura contemporanea, si vuole negare la dignità epistemologica
della credenza teistica. Per l’intelligenza umana, affermano gli oppositori
della credenza teistica, il credere senza prove è assurdo. Nel dare l’assenso
ad una credenza, secondo il pensiero di questi filosofi, l’essere umano si
affida a delle verità senza prima essersi assicurato che essa possa
considerarsi fondata. In epoca moderna dobbiamo però sottolineare che il
concetto di verità assume le caratteristiche della certezza e della evidenza.
In questo modo si è andato delineando un solo tipo di conoscenza, quello
fondato su evidenze chiare ed indubitabili e le cui verità sono giudicate
evidenti, mentre si è scalzata sempre più la credenza teistica, ponendola ai
margini o all’esterno della conoscenza medesima. Molto spesso i teisti sono
caduti, allora, nel tranello provocato dai loro antagonisti di trascorrere il
loro tempo nella ricerca di prove o di dimostrazioni riguardanti l’esistenza di
Dio oppure, d’altra parte, nel tentativo di ragionare secondo il paradigma
groziano, ossia mettendo da parte l’esistenza di Dio.
Secondo il noto filosofo americano Alvin Plantinga
il positivismo logico non vuole tanto attestare se il teismo sia vero o falso
ma che non ha senso il sostenere che esiste una persona come Dio (cfr. Appello, 2). Certamente «il mondo degli
intellettuali del nostro tempo è in gran parte profondamente non-teistico e
quindi non-cristiano, anzi è addirittura anti-teistico. La maggior parte delle
cosiddette scienze umane e molte di quelle non-umane, la gran parte del lavoro
intellettuale di ambito non scientifico e finanche una buona parte della
teologia presumibilmente cristiana è animata da uno spirito del tutto estraneo
a quello del teismo cristiano» (ivi,
3). Dall’appello ai filosofi cristiani, pronunciato da Plantinga nel 1983
all’Università di Notre Dame, si evince come questo filosofo sia voluto entrare
all’interno del dibattito culturale contemporaneo soprattutto per difendere la
dignità intellettuale appartenente alla credenza teistica da tutti quei
paradigmi epistemologici che dominano nella cultura moderna e contemporanea.
Per questo motivo il filosofo americano riconosce come di capitale importanza
l’assegnare al filosofo cristiano il proprio diritto a rifarsi, nella sua
indagine, a quel punto di vista e a quelle assunzioni pre-filosofiche che porta
con sé nel far filosofia (cfr. Ivi,
5). Infatti, «il fatto che queste non siano ampiamente condivise all’esterno
della comunità teistica o cristiana è degno di interesse, ma è fondamentalmente
irrilevante» (ibidem). Plantinga non
ha nessuna intenzione di dare un fondamento al fideismo, bensì egli, come
afferma Roberto Di Ceglie, vuole «mostrare che colui che afferma che Dio esiste
è nel pieno dei propri diritti dal punto di vista epistemologico anche se non
risulta capace di argomentare efficacemente a sostegno della propria tesi»[1].
La credenza teistica diviene così un vero e proprio
problema, a partire anche dallo stesso uso linguistico che viene fatto, per
esempio, nella nostra lingua italiana del termine ‘credenza’. Con esso si
intende, usualmente, un’opinione personale quasi sempre ritenuta infondata.
Basta spostarci però all’interno della lingua inglese per comprendere come
questo non sia più vero. L’inglese belief,
infatti, intende il non aver dubbi in relazione a un qualcosa a cui viene data
credenza. Come sostiene John Henry Newman nella sua Grammar of Assent esistono delle affermazioni che vengono accolte
dall’essere umano con un assenso spontaneo tale che esse stesse possono
costituire quel mobilio della mente capace di distinguere, all’interno della
storia dell’uomo, la condizione di civiltà dallo stato di natura. Queste
affermazioni hanno un carattere pigro e passivo (cfr. IV, 1). Alla vita di ogni
uomo, quindi, appartengono un numero indefinito di credenze, delle quali a
volte nemmeno è consapevole e che gli sembrano plausibili e non in contrasto
con la ragione. La considerazione di Newman, in realtà, trova dei precedenti in
Agostino, il quale considerava le credenze molto importanti anzi indispensabili
(cfr. De utilitate credendi, XII, 26)
e in Tommaso, che distingueva la fides
communiter accepta dalla fede cristiana, come ad indicare che la gran parte
del nostro possesso intellettuale è costituito da ciò che si crede (cfr. De veritate, q.14, a.2). Riprendendo in
mano il pensiero proprio di questi filosofi Plantinga diviene un interlocutore
vigoroso del dibattito inerente la credenza teistica apportando la sua tesi:
«la credenza che Dio esiste può essere ritenuta con pieno diritto sotto il
profilo razionale anche nell’assenza di adeguate argomentazioni a suo sostegno»[2],
una prospettiva tracciata in epoca moderna da Calvino.
A differenza del filosofo americano la cultura
moderna e contemporanea ha spesso obiettato che un contenuto cognitivo può
essere sostenuto solo se si mostra evidente o fondato su evidenze attraverso di
un procedimento anch’esso evidente. In relazione alla credenza teistica il
fondazionalismo ha ritenuto che essa debba essere considerata epistemicamente
infondata e razionalmente
ingiustificata, in quanto non può essere sostenuta sulla base di evidenze o a
partire da dei procedimenti che vengano originati da evidenze. Quanto detto ci
porta a concludere che la credenza teistica non viene critica perché ritenuta
falsa, ma irrazionale, inadeguata ed infondata[3].
Per questo motivo l’obiezione che viene portata avanti contro la credenza
teistica non è tanto de facto quanto de iure.
In relazione a ciò Plantinga introduce il carattere
della basilarità, secondo il quale si dà l’assenso ad una credenza senza
l’appoggio di argomenti. In questo modo basilare diviene la credenza
nell’esistenza degli altri come nell’esistenza del passato. Nella storia della
filosofia si è generalmente attribuita la denominazione di basilare a quegli
asserti caratterizzati o dall’auto-evidenza (le proposizioni per se note di Tommaso) o dall’evidenza
sensibile (tipica di Aristotele e di Tommaso) o l’incorreggibilità (tipica
dell’epoca moderna e in particolare di Cartesio). Plantinga non vuole sminuire
la validità di questi tre criteri di basilarità, ma propone l’esistenza di
altre forme di basilarità, come l’affermazione riguardante il fatto che tutti
moriremo. Per cui secondo il filosofo americano le affermazioni basilari non
possono essere ridotte a quelle evidenti, evidenti ai sensi e incorreggibili,
ma ve ne devono essere delle altre come la credenza in Dio, la quale, proprio
in quanto basilare, può essere affermata anche se priva di argomenti che la
sostengono, anche senza prove. Infatti, se così non fosse, la stessa
proposizione, secondo cui le affermazioni riguardanti i tre criteri prima detti
sono basilari, non è basilare[4].
Un’altra questione interessante riguarda il come
discernere quali credenze possano essere considerate basilari e quali no. La
credenza diviene una conoscenza per la presenza della garanzia della fede,
ossia di uno stato epistemico positivo. Possiamo quindi ritenere una credenza
garantita quando è dovuta ad un uso corretto delle facoltà cognitive, quando si
è in presenza di un ambiente epistemico adeguato, quando si mira con successo
alla verità. Con questo ci sembra giusto affermare che, secondo Plantinga, la
basilarità delle credenze può essere legata alle circostanze. I criteri per la
basilarità non sono, infatti, universali ma dipendono da processi induttivi,
vengono conseguiti dal basso e non dall’alto. Tornando a trattare della
credenza teistica, Plantinga seguendo il pensiero di Calvino, sostiene che vi
possano essere molte circostanze che suscitano nell’essere umano la credenza in
Dio, come il senso di colpa o di gratitudine, la sensazione che Dio è presente
e parla all’uomo, la percezione della bellezza dell’universo. [5].
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