martedì 18 novembre 2014

Credenza teistica e fede cristiana


La questione che viene qui sollevata è legata al fatto che attualmente la credenza che ‘Dio c’è’ viene salutata non troppo positivamente poiché essa si presenta come una credenza, ossia come un assenso che non può essere considerato, nell’ottica di una certa mentalità positivista, criticamente fondato su evidenze o argomenti razionali assai rigorosi. In questo modo, in  gran parte della cultura contemporanea, si vuole negare la dignità epistemologica della credenza teistica. Per l’intelligenza umana, affermano gli oppositori della credenza teistica, il credere senza prove è assurdo. Nel dare l’assenso ad una credenza, secondo il pensiero di questi filosofi, l’essere umano si affida a delle verità senza prima essersi assicurato che essa possa considerarsi fondata. In epoca moderna dobbiamo però sottolineare che il concetto di verità assume le caratteristiche della certezza e della evidenza. In questo modo si è andato delineando un solo tipo di conoscenza, quello fondato su evidenze chiare ed indubitabili e le cui verità sono giudicate evidenti, mentre si è scalzata sempre più la credenza teistica, ponendola ai margini o all’esterno della conoscenza medesima. Molto spesso i teisti sono caduti, allora, nel tranello provocato dai loro antagonisti di trascorrere il loro tempo nella ricerca di prove o di dimostrazioni riguardanti l’esistenza di Dio oppure, d’altra parte, nel tentativo di ragionare secondo il paradigma groziano, ossia mettendo da parte l’esistenza di Dio.

Secondo il noto filosofo americano Alvin Plantinga il positivismo logico non vuole tanto attestare se il teismo sia vero o falso ma che non ha senso il sostenere che esiste una persona come Dio (cfr. Appello, 2). Certamente «il mondo degli intellettuali del nostro tempo è in gran parte profondamente non-teistico e quindi non-cristiano, anzi è addirittura anti-teistico. La maggior parte delle cosiddette scienze umane e molte di quelle non-umane, la gran parte del lavoro intellettuale di ambito non scientifico e finanche una buona parte della teologia presumibilmente cristiana è animata da uno spirito del tutto estraneo a quello del teismo cristiano» (ivi, 3). Dall’appello ai filosofi cristiani, pronunciato da Plantinga nel 1983 all’Università di Notre Dame, si evince come questo filosofo sia voluto entrare all’interno del dibattito culturale contemporaneo soprattutto per difendere la dignità intellettuale appartenente alla credenza teistica da tutti quei paradigmi epistemologici che dominano nella cultura moderna e contemporanea. Per questo motivo il filosofo americano riconosce come di capitale importanza l’assegnare al filosofo cristiano il proprio diritto a rifarsi, nella sua indagine, a quel punto di vista e a quelle assunzioni pre-filosofiche che porta con sé nel far filosofia (cfr. Ivi, 5). Infatti, «il fatto che queste non siano ampiamente condivise all’esterno della comunità teistica o cristiana è degno di interesse, ma è fondamentalmente irrilevante» (ibidem). Plantinga non ha nessuna intenzione di dare un fondamento al fideismo, bensì egli, come afferma Roberto Di Ceglie, vuole «mostrare che colui che afferma che Dio esiste è nel pieno dei propri diritti dal punto di vista epistemologico anche se non risulta capace di argomentare efficacemente a sostegno della propria tesi»[1].

La credenza teistica diviene così un vero e proprio problema, a partire anche dallo stesso uso linguistico che viene fatto, per esempio, nella nostra lingua italiana del termine ‘credenza’. Con esso si intende, usualmente, un’opinione personale quasi sempre ritenuta infondata. Basta spostarci però all’interno della lingua inglese per comprendere come questo non sia più vero. L’inglese belief, infatti, intende il non aver dubbi in relazione a un qualcosa a cui viene data credenza. Come sostiene John Henry Newman nella sua Grammar of Assent esistono delle affermazioni che vengono accolte dall’essere umano con un assenso spontaneo tale che esse stesse possono costituire quel mobilio della mente capace di distinguere, all’interno della storia dell’uomo, la condizione di civiltà dallo stato di natura. Queste affermazioni hanno un carattere pigro e passivo (cfr. IV, 1). Alla vita di ogni uomo, quindi, appartengono un numero indefinito di credenze, delle quali a volte nemmeno è consapevole e che gli sembrano plausibili e non in contrasto con la ragione. La considerazione di Newman, in realtà, trova dei precedenti in Agostino, il quale considerava le credenze molto importanti anzi indispensabili (cfr. De utilitate credendi, XII, 26) e in Tommaso, che distingueva la fides communiter accepta dalla fede cristiana, come ad indicare che la gran parte del nostro possesso intellettuale è costituito da ciò che si crede (cfr. De veritate, q.14, a.2). Riprendendo in mano il pensiero proprio di questi filosofi Plantinga diviene un interlocutore vigoroso del dibattito inerente la credenza teistica apportando la sua tesi: «la credenza che Dio esiste può essere ritenuta con pieno diritto sotto il profilo razionale anche nell’assenza di adeguate argomentazioni a suo sostegno»[2], una prospettiva tracciata in epoca moderna da Calvino.

A differenza del filosofo americano la cultura moderna e contemporanea ha spesso obiettato che un contenuto cognitivo può essere sostenuto solo se si mostra evidente o fondato su evidenze attraverso di un procedimento anch’esso evidente. In relazione alla credenza teistica il fondazionalismo ha ritenuto che essa debba essere considerata epistemicamente infondata e  razionalmente ingiustificata, in quanto non può essere sostenuta sulla base di evidenze o a partire da dei procedimenti che vengano originati da evidenze. Quanto detto ci porta a concludere che la credenza teistica non viene critica perché ritenuta falsa, ma irrazionale, inadeguata ed infondata[3]. Per questo motivo l’obiezione che viene portata avanti contro la credenza teistica non è tanto de facto quanto de iure.

In relazione a ciò Plantinga introduce il carattere della basilarità, secondo il quale si dà l’assenso ad una credenza senza l’appoggio di argomenti. In questo modo basilare diviene la credenza nell’esistenza degli altri come nell’esistenza del passato. Nella storia della filosofia si è generalmente attribuita la denominazione di basilare a quegli asserti caratterizzati o dall’auto-evidenza (le proposizioni per se note di Tommaso) o dall’evidenza sensibile (tipica di Aristotele e di Tommaso) o l’incorreggibilità (tipica dell’epoca moderna e in particolare di Cartesio). Plantinga non vuole sminuire la validità di questi tre criteri di basilarità, ma propone l’esistenza di altre forme di basilarità, come l’affermazione riguardante il fatto che tutti moriremo. Per cui secondo il filosofo americano le affermazioni basilari non possono essere ridotte a quelle evidenti, evidenti ai sensi e incorreggibili, ma ve ne devono essere delle altre come la credenza in Dio, la quale, proprio in quanto basilare, può essere affermata anche se priva di argomenti che la sostengono, anche senza prove. Infatti, se così non fosse, la stessa proposizione, secondo cui le affermazioni riguardanti i tre criteri prima detti sono basilari, non è basilare[4].

Un’altra questione interessante riguarda il come discernere quali credenze possano essere considerate basilari e quali no. La credenza diviene una conoscenza per la presenza della garanzia della fede, ossia di uno stato epistemico positivo. Possiamo quindi ritenere una credenza garantita quando è dovuta ad un uso corretto delle facoltà cognitive, quando si è in presenza di un ambiente epistemico adeguato, quando si mira con successo alla verità. Con questo ci sembra giusto affermare che, secondo Plantinga, la basilarità delle credenze può essere legata alle circostanze. I criteri per la basilarità non sono, infatti, universali ma dipendono da processi induttivi, vengono conseguiti dal basso e non dall’alto. Tornando a trattare della credenza teistica, Plantinga seguendo il pensiero di Calvino, sostiene che vi possano essere molte circostanze che suscitano nell’essere umano la credenza in Dio, come il senso di colpa o di gratitudine, la sensazione che Dio è presente e parla all’uomo, la percezione della bellezza dell’universo. [5].




[1] Roberto Di Ceglie, “Introduzione”, in Alvin Plantinga, Dio esiste. Perché affermarlo anche senza prove, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011, VIII.
[2] Ivi, XII.
[3] Cfr. Ivi, XV, nota 12.
[4] Cfr. Ivi, XX.
[5] Cfr. Alvin Plantinga, Dio esiste…, cit., 86-92.

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