venerdì 28 novembre 2014

La gnoseologia e l'enciclopedia del sapere nel Medioevo

Una delle questioni centrali della gnoseologia medievale riguarda la problematica degli universali, incentrata sulla determinazione del fondamento e del valore di concetti e termini universali, come ‘animale’ o ‘uomo’, che si possono applicare ad una molteplicità di individui. Trattare degli universali significa interessarsi del rapporto tra le voces e le res, tra il pensiero e l’essere, tra le idee e le categorie mentali e le realtà extramentali. In sintesi possiamo affermare che la domanda di fondo che si pongono i filosofi medievali è questa: gli universalia sono ante rem, in re o post rem? A questo interrogativo possiamo associare le tre soluzioni che vengono maggiormente apportate:

a)      il realismo di Guglielmo di Champeaux, per il quale gli universalia sono delle res, ossia delle realtà metafisiche sussistenti. Secondo questo filosofo vi è una perfetta corrispondenza tra i concetti universali e la realtà, tra il pensiero e la realtà. A questa tesi si contrappone Abelardo, il quale considera nella tesi del maestro Guglielmo la presenza dell’aporia di ammettere nello stesso soggetto più predicati tra loro contraddittori. Rileggendo Aristotele Abelardo sostiene che la posizione realista da un lato svaluta l’individuo, rendendo accidentale la distinzione dei soggetti, e dall’altro non tiene conto del fatto che l’universale debba essere ciò che viene predicato di più enti. Se esso coincide con una res non può, infatti, essere predicato di un altro ente;
b)      il nominalismo di Roscellino, per il quale gli universalia non possiedono nessun valore, dato che non possono riferirsi alla res, poiché le cose che esistono sono individue e non esiste nulla oltre l’individualità. In questo modo viene ad annullarsi ogni forma di conoscenza generale, i quanto gli universalia sarebbero solo flatus vocis che non rimanda a nessuna realtà concreta;
c)      il realismo moderato di Abelardo, per il quale gli universalia sono i sermones, i quali possono essere predicati di molti. Gli universalia, quindi, possono essere intesi come dei discorsi mentali, frutto di un processo di astrazione che genera l’intellezione delle cose. Nella realtà, infatti, tutto è individuale, ma la mente umana ha la capacità di distinguere e separare i diversi elementi che appaiono all’osservazione uniti. In questo modo si riesce a cogliere durante il processo conoscitivo gli aspetti peculiari appartenenti ai molteplici individui di una stessa specie. L’intelletto coglie una similitudo o status communis che non è una ripresentazione dell’essenza degli antichi ma un modo di essere in cui si ritrovano gli individui della stessa specie. Facciamo un esempio. Per i realisti moderati non esiste l’essenza di uomo, ma l’essere uomo come condizione reale e concreta in cui gli uomini-individui convengono.

Uno dei frutti della controversia sugli universalia fu la disputa sull’Eucarestia tra Berengario di Tours e Lanfranco di Pavia tra l’XI e il XII secolo. A partire dal realismo delle essenze Berengario, infatti, interpreta in maniera simbolico-spirituale l’Eucarestia, negando il suo essere sostanzialmente il corpo e il sangue di Cristo. Lanfranco cerca di fronteggiare questa eresia con l’uso della dialettica, rimproverando a Berengario di aver anteposto la ratio alla fides. Il dato rivelato deve essere sempre la fonte da cui deve partire l’indagine. In questo modo si evince che, mentre normalmente le leggi del mondo sensibile ci adducono a constatare che l’alterazione della sostanza comporti un variare dei suoi accidenti, nel caso dell’Eucarestia per la grazia sacramentale mutano miracolosamente le sostanze del pane e del vino mentre gli accidenti permangono dopo la trasformazione sostanziale.
Il dibattito tra Berengario e Lanfrando ci permettono di sostenere che nel Medioevo la cultura possiede un’impronta profondamente cristiana ed orientata soprattutto alla comprensione della dottrina rivelata. In questo modo la ragione diviene funzionale alla fede così come la filosofia alla teologia per l’esegesi della Scrittura e per la costruzione dottrinale sistematica del dato rivelato. Proprio per questo rapporto tra fides e ratio le università medievali erano distinte in Facoltà delle arti liberali e Facoltà di teologia. Lo studio delle arti liberali durava circa sei anni ed era considerato propedeutico all’ingresso nella facoltà di teologia, la cui frequenza durava altri otto anni. Le arti liberali erano divise in trivio e quadrivio ed erano la base della istruzione. Esse riguardavano lo studio della grammatica, della logica, della retorica, dell’aritmetica, della geometria, della musica e dell’astronomia. Sembra che la prima sistematizzazione di queste disciplinae nelll’area latina sia da attribuire a Varrone, il cui testo Disciplinarum libri è andato però perduto. È quindi Agostino a darci la testimonianza della formazione di questi sette distinti ambiti di studio, definiti liberales, poiché riservati maggiormente ai soli uomini liberi da necessità materiali. Sarà successivamente Boezio a dare il nome di ‘quadrivio’ al percorso matematico delle arti liberali, mentre solo in un secondo momento ed in epoca più tarda si fisserà con ‘trivio’ il percorso linguistico. Lo studio delle singole discipline liberali era organizzato a partire dall’analisi dell’insegnamento di quelli che ne furono i primi indagatori (Euclide per la geometria, Aristotele per la logica, Cicerone per la retorica, Donato e Prisciano per la grammatica…).

Il sistema scolastico usato all’interno delle università testimoniava la grande vivacità dialogica di cui si caratterizzava lo studio medievale. Gli studenti, infatti, avevano a disposizione delle Summae composte dai loro maestri come delle esposizioni sistematiche e sintetiche di tutto quanto riguardava la conoscenza che doveva essere saputa. Essi frequentavano poi la lectio e la disputatio, che permettevano un vero e proprio scambio di idee tra i stessi studenti e i loro maestri. Il seminario (disputatio) era il momento il cui gli scolari potevano discutere intorno ad una tematica che veniva proposta a partire da una questio. La Scolastica ha permesso di identificare le arti liberali con il sapere filosofico e, quindi, con il ragionamento scientifico e ha portato ad una armonizzazione delle varie autorità della tradizione filosofica. Ma non solo. Grazie alla Scolastica si è tentata una conciliazione tra la filosofia classica, soprattutto Aristotele e neoplatonismo, e la teologia cristiana. Con la Scolastica si è cercato, inoltre, di indagare la rivelazione con l’ausilio della ragione, facendo della teologia una vera e propria scienza della rivelazione, in grado anche di difendere razionalmente i dogmi che costituiscono il suo credo.

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