giovedì 13 novembre 2014

Ambito disciplinare della filosofia della religione


Possiamo definire la filosofia della religione come la scienza filosofica seconda, subalterna dell’etica e dell’antropologia filosofica, la quale affronta la questione di cosa sia la religione e del suo rapporto con la società, senza entrare nel merito di quello che concerne la problematica dell’habitus che è una questione interna alla religione stessa. Definire l’ambito disciplinare della filosofia della religione significa però al tempo stesso, secondo Roberto Di Ceglie, entrare all’interno di un dibattito dove l’oggetto e il metodo della disciplina non risultano adeguatamente chiari[1]. Quanto si tratta della filosofia della religione si parla di una disciplina avente uno statuto metafisico ed un metodo realistico. Infatti la filosofia della religione in quanto filosofia si situa all’interno del sapere ed ogni sapere per essere tale possiede un carattere metafisico, dove conoscere significa il poter affermare dell’oggetto sia la sua esistenza che la sua essenza, sia che una cosa è sia il che cosa una cosa è. La filosofia della religione è, quindi, una metafisica della religione, la quale cerca di determinare l’in sé ultimo della religione, senza limitarsi al vissuto coscienziale del soggetto, come farebbe una fenomenologia della religione. La filosofia della religione, in quanto appunto metafisica, svolge un ruolo fondativo e veritativo, che la fanno differire non solo dalla fenomenologia ma anche dalla storia delle religioni, dalla psicologia e dalla sociologia della religione, che sono delle discipline settoriali, ossia in grado di interessarsi solamente di una parte della realtà e non della sua totalità. A questo proposito Di Ceglie afferma che «il compito fondamentale della filosofia della religione consiste dunque nella ricerca e nel conseguimento dell’essenza della religione»[2]. La filosofia della religione costituisce quindi una domanda sull’essenza, la quale prima di essere filosofica è ‘pre-filosofica’, poiché appartenente ad ogni uomo che sia interessato ad accostarsi ad un qualsiasi oggetto del sapere. Per questo motivo alla filosofia della religione non spetta il compito di scoprire niente di nuovo, ma di riuscire a determinare ciò che l’essere umano già conosce della religione prima di esercitare su di essa una qualche riflessione filosofica. Alla filosofia della religione più che pensare spetta riconoscere, non il creare qualcosa di nuovo ma il mettersi in ascolto per fare un’ermeneutica dei dati[3].

Come abbiamo sopra accennato il metodo utilizzato da questa disciplina è quello tipico di ogni sapere, ossia il realismo. Il pensiero, infatti, è sempre pensiero di qualche cosa, così come la verità è l’adeguarsi del pensiero alle cose. L’intelletto è, quindi, quello strumento che permette all’essere umano di poter conoscere l’essenza e la natura delle cose. Come afferma Tommaso d’Aquino solo usando l’intelletto l’uomo può ritenere di raggiungere l’intimità delle cose (S. Th., II-II, q.8, a.1) tramite un procedimento discorsivo che si avvalga del ragionamento, ossia della concatenazione dei giudizi a partire dagli effetti e dalle proprietà delle cose.

Per ciò che riguarda l’oggetto di studio della filosofia della religione, da quando andiamo affermando, possiamo concludere che questa disciplina cerchi di ricavare l’essenza della religione conoscendone le cause e non attraverso una induzione statistica o dalla comparazione delle religioni che esistono o sono esistite nella storia dell’umanità. Il filosofo della religione, in quanto filosofo, deve, quindi, tendere alla verità in relazione al suo oggetto senza accontentarsi di offrire delle semplici descrizioni prive di giudizi e di valutazioni[4]. A partire dalla comparazione delle singole religioni non sarebbe nemmeno possibile il conseguire la nozione stessa di religione. Essa, se teniamo come riferimento l’analisi etimologica di un Cicerone o di un Lattanzio o di un Agostino, ci dovrebbe rimandare al ‘legame’ e alla ‘devozione’, cose che non sembrano essere proprie di tutte le cosiddette ‘pratiche religiose’ di cui abbiamo notizia. La filosofia della religione non può essere confusa però con la teologia naturale, in quanto non si interessa direttamente di Dio, della Trascendenza, dell’Assoluto con cui l’uomo si pone in relazione, bensì della prassi religiosa dell’uomo ed i fondamenti della sua religiosità, come l’esperienza della propria finitezza, l’inquietudine dinanzi alla propria precarietà, il desiderio di assoluto e di verità e così via.

Abbiamo più volte ripetuto che la filosofia della religione è chiamata a definire la natura della religione, ma dobbiamo sottolineare con maggiore precisione, come precisa Di Ceglie, che è impossibile «definire la religione se non alla luce dell’uomo: la religione è per l’uomo, egli la pratica per fini che rispondono alla sua natura»[5]. Solo in un secondo momento, allora, l’indagine filosofica si sposterà a considerare le pratiche delle singole religioni per verificare se queste realizzino o meno la natura dell’essere umano.

L’ambito disciplinare della filosofia della religione riguarda, dunque, l’individuazione di un sapere pre-filosofico relativo alla religione, il quale ne costituisca la natura. È quello di cui parlava in una lettera pastorale rivolta alla diocesi di Milano nel 1957 il cardinale Montini, ossia del senso religioso, il quale richiama a sua volta la nozione di senso comune, ossia, come sostenevano Maritain e Garrigou-Lagrange, l’insieme di quelle conoscenze pre-filosofiche proprie dell’essere umano in quanto tale[6]. Il senso religioso, secondo il futuro papa Paolo VI, è la base soggettiva della religione e senza di esso quest’ultima rischia di rimanere un qualcosa di esteriore e formale o, addirittura, di vacillare e cadere del tutto.

Per quanto riguarda la data di nascita della filosofia della religione è difficile trovarne una condivisa dai vari studiosi. Come evidenzia Adriano Alessi, per alcuni si può far risalire il suo inizio fino ad Aristotele, per altri agli autori medievali, per altri ancora a Bodin o a Grozio, o c’è chi guarda ad Hegel o a Schleiermacher o ai fenomenologi dell’età contemporanea[7]. Per altri studiosi sembra, comunque, che sia stato Senofane il primo filosofo della religione, poiché a lui risalirebbe una critica rivolta all’antropomorfismo della religione greca, la quale può essere considerata proprio come il primo caso di una riflessione  filosofico-religiosa[8]. Sintetizza Italo Mancini a riguardo del rapporto tra filosofia e religione nella storia del pensiero filosofico che è possibile notare due stadi all’interno della filosofia della religione: quello di un’ermeneutica dentro la tradizione, che è stata la prima forma in cui si è sviluppata questa disciplina e che risale al periodo greco-medievale (Agostino e il suo De doctrina christiana); quello di un’ermeneutica della tradizione, che è stato il modo di fare filosofia della religione a partire dal 1670, ossia dal saggio di Spinoza Tractatus theologico-politicus, che ha fatto sì che la filosofia indagasse la religione in maniera del tutto autonoma rispetto al contesto teologico a partire dal quale era stata elaborata[9]. Come evidenzia, infatti, Angelo Marchesi filosofia e religione sono state distinte fin dall’antichità classica senza per questo perdere la precisa consapevolezza del loro rapporto[10]. Con Spinoza, però, si instaura l’idea di compiere un’ermeneutica della tradizione per cui tutto ciò che sa di miracoloso e di profetico viene addebitato a dei limiti esegetici, mentre si va considerando solo ciò che può essere colto dal lumen naturale e riposto in un credo minimo a cui non si va ad aggiungere nessuna forma di autorità esterna. Non servono atti superiori, come i miracoli o le profezie, in quanto è sufficiente avere un animo semplice.




[1] Cfr. Roberto Di Ceglie, Dio e l’uomo. Istituzioni di filosofia della religione, Lateran University Press, Città del Vaticano 2007, 42, nota 3.
[2] Ivi, 133.
[3] Cfr. Italo Mancini, “Religione”, in Giuseppe Cristaldi – Italo Mancini – Piero Rossano (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988, 1239.
[4] Cfr. Roberto Di Ceglie, Dio e l’uomo, cit., 21.
[5] Ivi, 19-20.
[6] Cfr. Ivi, 140.
[7] Cfr. Adriano Alessi, Sui sentieri del sacro. Introduzione alla filosofia della religione, LAS, Roma 1998, 34.
[8] Cfr. Roberto Di Ceglie, Dio e l’uomo, cit., 44.
[9] Cfr. Italo Mancini, Filosofia della religione, Marietti, Genova 1986, III, 12; cfr. Id., “Religione”, cit., 1239.
[10] Cfr. Roberto Di Ceglie, Dio e l’uomo, cit., 43.

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