Possiamo definire la
filosofia della religione come la scienza filosofica seconda, subalterna
dell’etica e dell’antropologia filosofica, la quale affronta la questione di
cosa sia la religione e del suo rapporto con la società, senza entrare nel
merito di quello che concerne la problematica dell’habitus che è una questione interna alla religione stessa. Definire
l’ambito disciplinare della filosofia della religione significa però al tempo
stesso, secondo Roberto Di Ceglie, entrare all’interno di un dibattito dove
l’oggetto e il metodo della disciplina non risultano adeguatamente chiari[1]. Quanto
si tratta della filosofia della religione si parla di una disciplina avente uno
statuto metafisico ed un metodo realistico. Infatti la filosofia della
religione in quanto filosofia si situa all’interno del sapere ed ogni sapere
per essere tale possiede un carattere metafisico, dove conoscere significa il
poter affermare dell’oggetto sia la sua esistenza che la sua essenza, sia che
una cosa è sia il che cosa una cosa è. La filosofia della religione è, quindi,
una metafisica della religione, la quale cerca di determinare l’in sé ultimo
della religione, senza limitarsi al vissuto coscienziale del soggetto, come
farebbe una fenomenologia della religione. La filosofia della religione, in
quanto appunto metafisica, svolge un ruolo fondativo e veritativo, che la fanno
differire non solo dalla fenomenologia ma anche dalla storia delle religioni,
dalla psicologia e dalla sociologia della religione, che sono delle discipline
settoriali, ossia in grado di interessarsi solamente di una parte della realtà
e non della sua totalità. A questo proposito Di Ceglie afferma che «il compito
fondamentale della filosofia della religione consiste dunque nella ricerca e
nel conseguimento dell’essenza della religione»[2].
La filosofia della religione costituisce quindi una domanda sull’essenza, la
quale prima di essere filosofica è ‘pre-filosofica’, poiché appartenente ad
ogni uomo che sia interessato ad accostarsi ad un qualsiasi oggetto del sapere.
Per questo motivo alla filosofia della religione non spetta il compito di
scoprire niente di nuovo, ma di riuscire a determinare ciò che l’essere umano
già conosce della religione prima di esercitare su di essa una qualche
riflessione filosofica. Alla filosofia della religione più che pensare spetta
riconoscere, non il creare qualcosa di nuovo ma il mettersi in ascolto per fare
un’ermeneutica dei dati[3].
Come abbiamo sopra
accennato il metodo utilizzato da questa disciplina è quello tipico di ogni
sapere, ossia il realismo. Il pensiero, infatti, è sempre pensiero di qualche
cosa, così come la verità è l’adeguarsi del pensiero alle cose. L’intelletto è,
quindi, quello strumento che permette all’essere umano di poter conoscere
l’essenza e la natura delle cose. Come afferma Tommaso d’Aquino solo usando
l’intelletto l’uomo può ritenere di raggiungere l’intimità delle cose (S. Th., II-II, q.8, a.1) tramite un
procedimento discorsivo che si avvalga del ragionamento, ossia della
concatenazione dei giudizi a partire dagli effetti e dalle proprietà delle
cose.
Per ciò che riguarda
l’oggetto di studio della filosofia della religione, da quando andiamo
affermando, possiamo concludere che questa disciplina cerchi di ricavare
l’essenza della religione conoscendone le cause e non attraverso una induzione
statistica o dalla comparazione delle religioni che esistono o sono esistite
nella storia dell’umanità. Il filosofo della religione, in quanto filosofo,
deve, quindi, tendere alla verità in relazione al suo oggetto senza
accontentarsi di offrire delle semplici descrizioni prive di giudizi e di
valutazioni[4].
A partire dalla comparazione delle singole religioni non sarebbe nemmeno
possibile il conseguire la nozione stessa di religione. Essa, se teniamo come
riferimento l’analisi etimologica di un Cicerone o di un Lattanzio o di un
Agostino, ci dovrebbe rimandare al ‘legame’ e alla ‘devozione’, cose che non
sembrano essere proprie di tutte le cosiddette ‘pratiche religiose’ di cui
abbiamo notizia. La filosofia della religione non può essere confusa però con
la teologia naturale, in quanto non si interessa direttamente di Dio, della
Trascendenza, dell’Assoluto con cui l’uomo si pone in relazione, bensì della
prassi religiosa dell’uomo ed i fondamenti della sua religiosità, come
l’esperienza della propria finitezza, l’inquietudine dinanzi alla propria
precarietà, il desiderio di assoluto e di verità e così via.
Abbiamo più volte
ripetuto che la filosofia della religione è chiamata a definire la natura della
religione, ma dobbiamo sottolineare con maggiore precisione, come precisa Di
Ceglie, che è impossibile «definire la religione se non alla luce dell’uomo: la
religione è per l’uomo, egli la pratica per fini che rispondono alla sua
natura»[5].
Solo in un secondo momento, allora, l’indagine filosofica si sposterà a
considerare le pratiche delle singole religioni per verificare se queste
realizzino o meno la natura dell’essere umano.
L’ambito disciplinare
della filosofia della religione riguarda, dunque, l’individuazione di un sapere
pre-filosofico relativo alla religione, il quale ne costituisca la natura. È
quello di cui parlava in una lettera pastorale rivolta alla diocesi di Milano
nel 1957 il cardinale Montini, ossia del senso religioso, il quale richiama a
sua volta la nozione di senso comune, ossia, come sostenevano Maritain e
Garrigou-Lagrange, l’insieme di quelle conoscenze pre-filosofiche proprie
dell’essere umano in quanto tale[6].
Il senso religioso, secondo il futuro papa Paolo VI, è la base soggettiva della
religione e senza di esso quest’ultima rischia di rimanere un qualcosa di
esteriore e formale o, addirittura, di vacillare e cadere del tutto.
Per quanto riguarda la
data di nascita della filosofia della religione è difficile trovarne una
condivisa dai vari studiosi. Come evidenzia Adriano Alessi, per alcuni si può
far risalire il suo inizio fino ad Aristotele, per altri agli autori medievali,
per altri ancora a Bodin o a Grozio, o c’è chi guarda ad Hegel o a
Schleiermacher o ai fenomenologi dell’età contemporanea[7]. Per
altri studiosi sembra, comunque, che sia stato Senofane il primo filosofo della
religione, poiché a lui risalirebbe una critica rivolta all’antropomorfismo
della religione greca, la quale può essere considerata proprio come il primo
caso di una riflessione
filosofico-religiosa[8].
Sintetizza Italo Mancini a riguardo del rapporto tra filosofia e religione
nella storia del pensiero filosofico che è possibile notare due stadi
all’interno della filosofia della religione: quello di un’ermeneutica dentro la
tradizione, che è stata la prima forma in cui si è sviluppata questa disciplina
e che risale al periodo greco-medievale (Agostino e il suo De doctrina christiana); quello di un’ermeneutica della tradizione,
che è stato il modo di fare filosofia della religione a partire dal 1670, ossia
dal saggio di Spinoza Tractatus
theologico-politicus, che ha fatto sì che la filosofia indagasse la
religione in maniera del tutto autonoma rispetto al contesto teologico a
partire dal quale era stata elaborata[9].
Come evidenzia, infatti, Angelo Marchesi filosofia e religione sono state
distinte fin dall’antichità classica senza per questo perdere la precisa
consapevolezza del loro rapporto[10].
Con Spinoza, però, si instaura l’idea di compiere un’ermeneutica della
tradizione per cui tutto ciò che sa di miracoloso e di profetico viene
addebitato a dei limiti esegetici, mentre si va considerando solo ciò che può
essere colto dal lumen naturale e
riposto in un credo minimo a cui non si va ad aggiungere nessuna forma di
autorità esterna. Non servono atti superiori, come i miracoli o le profezie, in
quanto è sufficiente avere un animo semplice.
[1] Cfr. Roberto Di Ceglie, Dio e l’uomo. Istituzioni di filosofia della religione, Lateran
University Press, Città del Vaticano 2007, 42, nota 3.
[2] Ivi, 133.
[3] Cfr. Italo Mancini, “Religione”, in Giuseppe Cristaldi – Italo Mancini – Piero Rossano (a cura di), Nuovo
Dizionario di Teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988, 1239.
[4] Cfr. Roberto Di Ceglie, Dio e l’uomo, cit., 21.
[5] Ivi, 19-20.
[6] Cfr. Ivi, 140.
[7] Cfr. Adriano Alessi, Sui sentieri del sacro. Introduzione alla filosofia della religione,
LAS, Roma 1998, 34.
[8] Cfr. Roberto Di Ceglie, Dio e l’uomo, cit., 44.
[9] Cfr. Italo Mancini, Filosofia della religione, Marietti, Genova 1986, III, 12; cfr. Id., “Religione”, cit., 1239.
[10] Cfr. Roberto Di Ceglie, Dio e l’uomo, cit., 43.
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