L’atto libero è la più
alta e complessa operazione immanente o vitale dell’essere umano. Tutte le
facoltà dell’uomo concorrono ad esso, da quelle sensibili, come le percezioni e
gli istinti, a quelle razionali, come l’intelletto e la volontà, a quelle
motorie. Il fine dell’atto libero è sempre un comportamento particolare,
causato dalla scelta consapevole dell’uomo stesso. Da tutto ciò si ricava che
nell’atto libero è presente la massima manifestazione della dignità della
persona umana.
Nell’atto libero,
infatti, l’uomo può veramente essere la causa consapevole delle sue azioni,
senza il venire predeterminato a priori ad agire in un modo invece che in un
altro da nessun tipo di legge. Come afferma Tommaso, un atto si può dire libero
nel momento che le cause seconde, che sono per sé necessarie alla produzione di
un certo effetto, siano in sé contingenti, ossia possono essere impedite da se
stesse o dal concorso causale di altre cause nel produrre questo stesso
effetto. Sintetizza Gianfranco Basti che, per esserci un atto libero l’effetto
rispetto alla causa non deve derivare univocamente dall’esistenza di quella
stessa causa. L’uomo è, quindi, una causa contingente libera, dato che può
determinare se stesso ad agire senza lasciarsi condizionare solamente da cause
che gli sono esterne. Nonostante questo nel corso della storia vi sono state
delle teorie antropologiche che hanno negato la libertà umana, come il
fatalismo, il naturalismo e lo storicismo, le quali sono accomunate dalla
presenza di un principio assoluto immanente (destino, natura e storia
rispettivamente) e dalla negazione di un’anima spirituale individuale causata
da un principio assoluto che trascende il mondo[1].
La libertà, inoltre,
può essere definita in un duplice modo, uno negativo e uno positivo. La
definizione negativa di libertà è quella di assenza di costrizione (libertà da)
sia fisica, che psicologica, morale, politica e culturale; quella positiva,
invece, vede la libertà come quella facoltà che l’uomo usa per determinare se
stesso all’azione per raggiungere gli scopi che si è prefissato, dopo aver
preso coscienza delle implicazioni morali e delle conseguenze pratiche che tale
azione potrebbe apportare alla sua vita (libertà per).
Il soggetto dell’atto
libero è, quindi, tutto l’uomo come unità psico-fisica di persona. Usando la
terminologia scolastica possiamo dire che rispetto all’atto libero la persona è
da intendersi come la sua causa efficiente principale mentre le facoltà spirituali
dell’uomo sono le cause efficienti strumentali che permettono al soggetto di
esercitare la sua libertà.
L’atto libero è,
dunque, atto della persona umana e come tale si compone di tre momenti ben
precisi che sono la deliberazione, il giudizio e la scelta. Sono questi, in
ordine temporale, a strutturare lo svolgimento di un atto libero. In ognuno di
questi momenti una facoltà, la cogitativa o l’intelletto o la volontà, è
protagonista ma non in maniera assoluta bensì sempre in concorso con le altre.
Questo perché l’atto libero è veramente l’azione umana più complessa e perfetta
tra le operazioni vitali. Ma procediamo con ordine esaminando ognuno di questi
tre momenti che strutturano l’atto libero.
La deliberazione costituisce l’atto attraverso
cui l’essere umano riesce a dare una valutazione affettiva dell’oggetto
conosciuto, per la produzione di un giudizio concreto rispetto all’azione da
compiere e per la scelta consapevole e responsabile di optare o meno per quella
precisa azione. In questo modo la deliberazione fa sì che l’atto sia libero dall’istintività della reazione
della persona alle sollecitazioni provenienti dall’ambiente circostante e sia libero per produrre una risposta tale che contraddistingua
l’essere umano come un soggetto consapevole e responsabile moralmente e
socialmente della sua azione. Per questo motivo è possibile sostenere che la
deliberazione sia il momento che rende umano e morale l’atto libero compiuto
dall’uomo. Come abbiamo prima accennato la deliberazione è composta di una
valutazione affettiva, che mostra come sia proprio la facoltà cogitativa ad
essere predominante in essa. La valutazione affettiva infatti consiste
nell’essere un giudizio di valore di un oggetto in vista di un determinato
scopo e tale valutazione può essere istintiva o razionale. In quest’ultimo caso
gli scopi possono divenire i valori che l’azione vuole perseguire, oppure i
mali che essa vuole evitare o i mezzi in vista del raggiungimento di un altro bene.
Nell’altro caso, quello istintivo, è la valutazione spontanea che ogni uomo,
per la sua componente animale, dà dell’oggetto percepito.
Il secondo momento è
dato dal giudizio, che avviene in prevalenza a livello della facoltà
dell’intelletto, pur rimanendo strettissimo il legame con le altre due facoltà,
specialmente quella volitiva. Dalla volontà infatti dipende la riflessione
razionale che l’intelletto è chiamato a compiere sull’oggetto e che è
generalmente definita con ‘consiglio’. Oltretutto nel giudizio il legame tra
intelletto e volontà conduce alla effettività della scelta di quell’atto
rispetto ad un altro. Se l’intelletto ci dice quale sia il bene, è la volontà
che ci procura la forza per sceglierlo. È bene inoltre ricordare che con
giudizio si intende il giudizio concreto, quello cioè che termina con la scelta
di una singola azione concreta che viene compiuta in una circostanza
particolare. Non stiamo allora nella sfera dell’universale ma del particolare e
per questo motivo le nostre azioni saranno sempre irripetibili, dato che le
circostanze variano da persona a persona e, al tempo stesso, anche la medesima
persona si trova ad affrontare
situazioni diverse.
Ultimo momento
dell’atto libero è dato dalla scelta, che è atto della volontà, della facoltà
appetitiva del desiderio. La electio
infatti si compie generalmente nel desiderare da parte dell’anima un bene
specifico che è stato già prescelto dalla facoltà intellettiva. Nella scelta di
attuare una certa azione da parte dell’uomo, entra in gioco la volontà, la
quale riesce a controllare le facoltà senso-motorie, che sono chiamate ad
operare per questa attuazione. In questo modo si manifesta il carattere
intenzionale della volontà che è sempre un desiderare un qualcosa e non un
generico appetire. Inoltre questo ‘qualcosa’, che altro non è se non il fine
dell’azione, non permetterà mai alla volontà di essere moralmente neutra. Il
fine farà di essa un’azione buona o cattiva e al tempo stesso sarà la causa
della forza che la volontà umana avrà di sceglierlo dopo averlo conosciuto e
giudicato[2].
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