martedì 25 novembre 2014

L'atto libero


L’atto libero è la più alta e complessa operazione immanente o vitale dell’essere umano. Tutte le facoltà dell’uomo concorrono ad esso, da quelle sensibili, come le percezioni e gli istinti, a quelle razionali, come l’intelletto e la volontà, a quelle motorie. Il fine dell’atto libero è sempre un comportamento particolare, causato dalla scelta consapevole dell’uomo stesso. Da tutto ciò si ricava che nell’atto libero è presente la massima manifestazione della dignità della persona umana.

Nell’atto libero, infatti, l’uomo può veramente essere la causa consapevole delle sue azioni, senza il venire predeterminato a priori ad agire in un modo invece che in un altro da nessun tipo di legge. Come afferma Tommaso, un atto si può dire libero nel momento che le cause seconde, che sono per sé necessarie alla produzione di un certo effetto, siano in sé contingenti, ossia possono essere impedite da se stesse o dal concorso causale di altre cause nel produrre questo stesso effetto. Sintetizza Gianfranco Basti che, per esserci un atto libero l’effetto rispetto alla causa non deve derivare univocamente dall’esistenza di quella stessa causa. L’uomo è, quindi, una causa contingente libera, dato che può determinare se stesso ad agire senza lasciarsi condizionare solamente da cause che gli sono esterne. Nonostante questo nel corso della storia vi sono state delle teorie antropologiche che hanno negato la libertà umana, come il fatalismo, il naturalismo e lo storicismo, le quali sono accomunate dalla presenza di un principio assoluto immanente (destino, natura e storia rispettivamente) e dalla negazione di un’anima spirituale individuale causata da un principio assoluto che trascende il mondo[1].

La libertà, inoltre, può essere definita in un duplice modo, uno negativo e uno positivo. La definizione negativa di libertà è quella di assenza di costrizione (libertà da) sia fisica, che psicologica, morale, politica e culturale; quella positiva, invece, vede la libertà come quella facoltà che l’uomo usa per determinare se stesso all’azione per raggiungere gli scopi che si è prefissato, dopo aver preso coscienza delle implicazioni morali e delle conseguenze pratiche che tale azione potrebbe apportare alla sua vita (libertà per).

Il soggetto dell’atto libero è, quindi, tutto l’uomo come unità psico-fisica di persona. Usando la terminologia scolastica possiamo dire che rispetto all’atto libero la persona è da intendersi come la sua causa efficiente principale mentre le facoltà spirituali dell’uomo sono le cause efficienti strumentali che permettono al soggetto di esercitare la sua libertà.

L’atto libero è, dunque, atto della persona umana e come tale si compone di tre momenti ben precisi che sono la deliberazione, il giudizio e la scelta. Sono questi, in ordine temporale, a strutturare lo svolgimento di un atto libero. In ognuno di questi momenti una facoltà, la cogitativa o l’intelletto o la volontà, è protagonista ma non in maniera assoluta bensì sempre in concorso con le altre. Questo perché l’atto libero è veramente l’azione umana più complessa e perfetta tra le operazioni vitali. Ma procediamo con ordine esaminando ognuno di questi tre momenti che strutturano l’atto libero.

 La deliberazione costituisce l’atto attraverso cui l’essere umano riesce a dare una valutazione affettiva dell’oggetto conosciuto, per la produzione di un giudizio concreto rispetto all’azione da compiere e per la scelta consapevole e responsabile di optare o meno per quella precisa azione. In questo modo la deliberazione fa sì che l’atto sia libero dall’istintività della reazione della persona alle sollecitazioni provenienti dall’ambiente circostante e sia libero per  produrre una risposta tale che contraddistingua l’essere umano come un soggetto consapevole e responsabile moralmente e socialmente della sua azione. Per questo motivo è possibile sostenere che la deliberazione sia il momento che rende umano e morale l’atto libero compiuto dall’uomo. Come abbiamo prima accennato la deliberazione è composta di una valutazione affettiva, che mostra come sia proprio la facoltà cogitativa ad essere predominante in essa. La valutazione affettiva infatti consiste nell’essere un giudizio di valore di un oggetto in vista di un determinato scopo e tale valutazione può essere istintiva o razionale. In quest’ultimo caso gli scopi possono divenire i valori che l’azione vuole perseguire, oppure i mali che essa vuole evitare o i mezzi in vista del raggiungimento di un altro bene. Nell’altro caso, quello istintivo, è la valutazione spontanea che ogni uomo, per la sua componente animale, dà dell’oggetto percepito.

Il secondo momento è dato dal giudizio, che avviene in prevalenza a livello della facoltà dell’intelletto, pur rimanendo strettissimo il legame con le altre due facoltà, specialmente quella volitiva. Dalla volontà infatti dipende la riflessione razionale che l’intelletto è chiamato a compiere sull’oggetto e che è generalmente definita con ‘consiglio’. Oltretutto nel giudizio il legame tra intelletto e volontà conduce alla effettività della scelta di quell’atto rispetto ad un altro. Se l’intelletto ci dice quale sia il bene, è la volontà che ci procura la forza per sceglierlo. È bene inoltre ricordare che con giudizio si intende il giudizio concreto, quello cioè che termina con la scelta di una singola azione concreta che viene compiuta in una circostanza particolare. Non stiamo allora nella sfera dell’universale ma del particolare e per questo motivo le nostre azioni saranno sempre irripetibili, dato che le circostanze variano da persona a persona e, al tempo stesso, anche la medesima persona si trova  ad affrontare situazioni diverse.

Ultimo momento dell’atto libero è dato dalla scelta, che è atto della volontà, della facoltà appetitiva del desiderio. La electio infatti si compie generalmente nel desiderare da parte dell’anima un bene specifico che è stato già prescelto dalla facoltà intellettiva. Nella scelta di attuare una certa azione da parte dell’uomo, entra in gioco la volontà, la quale riesce a controllare le facoltà senso-motorie, che sono chiamate ad operare per questa attuazione. In questo modo si manifesta il carattere intenzionale della volontà che è sempre un desiderare un qualcosa e non un generico appetire. Inoltre questo ‘qualcosa’, che altro non è se non il fine dell’azione, non permetterà mai alla volontà di essere moralmente neutra. Il fine farà di essa un’azione buona o cattiva e al tempo stesso sarà la causa della forza che la volontà umana avrà di sceglierlo dopo averlo conosciuto e giudicato[2].



[1] Cfr.Gianfranco Basti, Filosofia dell’uomo, ESD, Bologna 20083, 258-265.
[2] Cfr. Ivi, 268-281.

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